Solennità per l’Anniversario della Dedicazione della Cattedrale

Bologna, Cattedrale

 (1 Re 8, 22-23.27-30; Ap 21, 9-14; Mt 16, 13-19)

A pochi giorni dalla solenne apertura dell’Anno dell’Eucaristia, indetto da Giovanni Paolo II per tutta la Chiesa, siamo qui riuniti per celebrare l’anniversario della dedicazione della nostra Cattedrale.

Pur non essendo il più famoso degli edifici sacri bolognesi è tuttavia «il più illustre, il più carico di memorie, ecclesialmente il più rilevante», perché «centro propulsore dell’intera vita diocesana» (LPB, 601).

L’indagine storica più attenta e aggiornata ci dice che in questo luogo, fin dai suoi inizi, la Chiesa di Bologna ha posto il suo centro di irradiazione missionaria e da qui, attraverso il magistero e il genio pastorale dei suoi Vescovi, ha diffuso il Vangelo e inculturato la fede nella nostra terra.

La Cattedrale, dunque, è la chiesa del Vescovo, «il grande sacerdote del suo gregge, dal quale deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo» (SC, 41). E proprio oggi, in questa solenne celebrazione, eleviamo al Signore una speciale preghiera per il nostro Arcivescovo Carlo, nel 9° anniversario della sua ordinazione episcopale: una circostanza, questa, che amplifica la rilevanza spirituale di questa convocazione e ci sprona ad accogliere il magistero del nuovo Arcivescovo con animo grato e cordiale.

La grande preghiera di Salomone, pronunciata in occasione della dedicazione del tempio di Gerusalemme, esprime la meraviglia di chi vede Dio, assolutamente incontenibile, farsi condiscendente fino al punto di accettare una dimora in mezzo agli uomini.

Entrando in questo tempio si riverbera anche in noi lo stupore di Salomone: «Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra?» (1 Re 8, 27). Sì è vero, da quando il Verbo di Dio ha preso dimora tra gli uomini, nel mistero dell’Incarnazione.

Questa dimora ha al suo centro l’Arca dell’Alleanza, il punto d’incontro tra Dio e il suo popolo, quel popolo oggi approdato nella Chiesa di Cristo, «adunato dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (LG, 4) e, per questo, divenuto tempio di Dio edificato con pietre vive, nel quale viene adorato il Padre «in spirito e verità» (Gv 4, 23).

È soprattutto in questa chiesa metropolitana che trova continuità la preghiera di Salomone rivolta a mantenere salda l’«Alleanza» e abbondante la «misericordia del Signore» verso il suo popolo. È in questo luogo che assume concretezza e forma stabile la «principale manifestazione della Chiesa», nella Liturgia presieduta dal Vescovo, circondato dal suo presbiterio.

Il Santo Padre, nella sua recente Lettera Apostolica «Mane Nobiscum Domine», afferma che l’Anno dell’Eucaristia si presenta come un’occasione propizia per riscoprire la particolare epifania della Chiesa, espressa ogni volta che «il Vescovo celebra in Cattedrale coi suoi presbiteri e i diaconi e con la partecipazione del popolo di Dio in tutte le sue componenti» (n. 22).

In questo contesto – lo dice il Libro dell’Apocalisse – «sul monte grande e alto» noi contempliamo la nuova Gerusalemme, «la città santa», tutta risplendente della gloria che viene da Dio (Cf. Ap 21, 10).

Questa parola esprime il vertice della visione apocalittica di S. Giovanni e celebra il risvolto positivo del giudizio di Dio sulla storia umana, che assume le caratteristiche del rapporto sponsale tra Cristo e la sua Chiesa: «Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell’Agnello» (Ap 21, 9).

Come è noto, questo testo è nato dalla liturgia e, come tutta l’Apocalisse, trova nella celebrazione liturgica il proprio ambiente vitale che ne illumina il contenuto e ne chiarisce il senso. L’Eucaristia, infatti, in quanto ripresentazione sacramentale della Pasqua del Signore, di fatto si pone come crocevia delle tre dimensioni del tempo e ci permette di fare sintesi tra passato, presente e futuro e di indicare a ogni generazione la risurrezione come «centro del mistero del tempo… e asse portante della storia, al quale si riconducono il mistero delle origini e quello del destino finale del mondo» (DD, 2).

Di fatto, in questo tempio, specialmente nella celebrazione plenaria attorno alla Cattedra del Vescovo, troviamo il “luogo teologico in cui situarci per interpretare l’«oggi» della storia della salvezza” nella nostra terra e per entrare in sintonia con quanto lo Spirito dice alla nostra Chiesa.

L’appuntamento sacramentale ci rivela che le «cose vecchie» sono passate, che la «città del caos» (Is 24, 10), l’antica Babilonia, è stata sconfitta e con lei la convivenza umana costruita sull’orgoglio e sulle logiche perverse dell’egoismo, dell’ingiustizia e della violenza.

Garanzia di questa «novità di vita», di questa sintesi tra Antica e Nuova Alleanza, è «la Città Santa», la Chiesa, ben salda sui «dodici basamenti, sopra i quali sono i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (Ap 21, 14), oggi viventi nei loro successori, posti a capo delle Chiese pellegrine nel mondo.

In tale prospettiva, la festa della dedicazione della Cattedrale, ogni anno, si presenta come un appello concreto e visibile alla successione apostolica, per mezzo della quale entriamo in connessione diretta con il Signore Gesù; siamo coinvolti nella missione salvifica promossa dal Risorto (Cf. Mt 28, 16-20); veniamo compaginati in un’unica Chiesa (Cf. LPB, 630).

Il magistero conciliare insegna che il popolo di Dio affidato alle cure pastorali di un Vescovo, coadiuvato dal suo presbiterio, quando aderisce al suo Pastore ed è a lui unito per mezzo del Vangelo e dell’Eucaristia nello Spirito Santo, costituisce una Chiesa particolare, nella quale è veramente presente e agisce la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica (Cf. CD, 11).

Pertanto, oggi, mentre festeggiamo la dedicazione di questa chiesa-madre, noi assimiliamo i principi ispiratori dell’ecclesiologia conciliare e poniamo in essere le condizioni per approfondire la conoscenza del mistero della nostra Chiesa particolare, che ci spinge a riscoprire e a frequentare con assiduità la Cattedrale, come punto di riferimento e approdo sicuro per le nostre vicende piccole e grandi, personali e comunitarie, certi di intersecare la storia della salvezza articolata per noi fin dall’eternità.

In questa Cattedrale – dove vengono benedetti gli oli a servizio della vita sacramentale diocesana e dove avvengono le ordinazioni diaconali, presbiterali ed episcopali – noi troviamo la sorgente della vita ecclesiale e il principio vitale della comunione tra tutti i carismi e tutti i ministeri.

«La presenza del corpo di S. Zama, nostro primo Vescovo, e delle reliquie dei nostri protomartiri Vitale e Agricola, ci aiuta a capire la primaria rilevanza teologica di questo tempio, che oggi abbiamo la gioia di contemplare totalmente rinnovato» (LPB, 631).

Infine, il Vangelo di Matteo ci ricorda il patronato dell’Apostolo Pietro su questa Cattedrale, che risale ai primordi del cristianesimo bolognese e sta ad indicare l’affetto e la devozione del nostro popolo verso la Sede Apostolica, affetto coralmente manifestato anche verso Giovanni Paolo  «nuova evangelizzazione», che sarà efficace nella misura in cui, in sintonia piena con il nostro Arcivescovo Carlo, manterremo viva la comunione con il successore di Pietro e la persuasione che «su questa pietra» il Signore «edificherà la sua Chiesa» (Cf. Mt 16, 19).

 

21/10/2004
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