“te deum” di fine anno

Bologna, Basilica di San Petronio

Se a bruciapelo mi si chiedesse: qual è la parola che ti sembra più bella – o almeno che particolarmente ti affascina – del linguaggio umano? sarei invogliato a rispondere senza pensarci troppo: è la parola “grazie”.

Molteplici e tutti preziosi sono i sentimenti che vibrano in questa parola: la gentilezza dell’animo che ci fa attenti al dono, l’umiltà di riconoscerci debitori, la generosità che sa scorgere il bene anche esiguo e apprezza anche il più tenue filo di benevolenza entro la congerie delle numerose esperienze spiacevoli.

E’ caro agli uomini chi nella sua conversazione non è mai restìo a dire “grazie”. Ma si può pensare che egli sia caro anche a Dio, il quale ci ha insegnato a indicare proprio con il termine “eucaristia” (cioè “ringraziamento”) l’atto più alto e quasi onnicomprensivo del culto che gli dobbiamo rendere.

“Rendiamo grazie al Signore nostro Dio”: stasera siamo qui convenuti per questo.

Rendiamo grazie per questo straordinario anno Duemila, che abbiamo avuto la fortuna di vivere.

Rendiamo grazie per il ricordo del “Festeggiato”; ricordo che in questi mesi è stato rinvigorito un po’ in tutti: il Signore Gesù si è fatto presente alla nostra consapevolezza come colui che è davvero il centro e il senso della storia, è l’anèlito magari anche inconscio di ogni esistenza e di ogni cuore, è la sola speranza che ci rianima e ci rasserena in mezzo alle ritornanti delusioni delle vicende umane.

Rendiamo grazie perché è brillato davanti ai nostri occhi in maniera più vivida e persuasiva – di là da tutte le ambiguità circolanti e le nuove voci discordi – la certezza antica, anzi eterna e incontestabile, che “uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2,5); e perciò “non c’è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12).

Rendiamo grazie per il sussulto di vitalità della Sposa di Cristo, che nelle manifestazioni giubilari di quest’anno ha maternamente accolto nei suoi sacri recinti una moltitudine immensa di figli, venuti a esprimere la loro volontà di conversione e di rinascita morale, e a cantare la loro gioia di appartenere alla “Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità” (1 Tm 3,14).

Renda grazie ciascuno di noi per le illuminazioni dall’alto, di cui in questi mesi è stato gratificato, che hanno reso più acuto e penetrante il suo occhio e gli hanno consentito di valutare le persone, gli accadimenti, le idee, in conformità al giudizio e all’insegnamento di colui che è l’unico autentico Maestro di vita.

Renda grazie ciascuno di noi per le ispirazioni e gli impulsi a liberarsi da ogni indegnità, anche se piccola, e a crescere nell’amore operoso del bene, che nell’anno trascorso gli sono stati interiormente donati.

Renda grazie ciascuno di noi anche per qualche eventuale momento di pena e di incomprensione, che l’hanno assimilato di più a Cristo crocifisso e risorto, primogenito e principio dell’umanità nuova.

Nella liturgia cristiana, la lode e l’inno di riconoscenza al Datore “di ogni buon regalo e di ogni dono perfetto” (Gc 1,17) non sono mai disgiunti dall’implorazione e dalla ricerca di aiuto. Anche stasera noi non chiuderemo il canto del “Te Deum” senza elevare l’appassionata preghiera: “Salva il tuo popolo, Signore, guida e proteggi i tuoi figli”.

In questa basilica ci viene spontaneo pregare in primo luogo per la nostra città e per tutta la gente bolognese perché, fregiandosi e onorandosi del nome di san Petronio, essa con l’intercessione dell’antico Patrono si inoltri nel terzo millennio restando fedele alla sua storia, alla sua identità caratteristica, alla sua amabile umanità.

Preghiamo anche per la nostra nazione e per il suo futuro di pace, di benessere, di inalienabile civiltà. Raccomandare a Dio l’Italia vuol dire anche raccomandare in special modo quanti portano la pubblica responsabilità della nostra vita associata: la Provvidenza conservi sempre nei nostri governanti e nei nostri legislatori le indispensabili doti di saggezza, di buon senso, di quel sano realismo che non sconfina mai nella cinica spregiudicatezza, di una intelligente lungimiranza, così che il nostro popolo sia posto in condizione di affrontare senza troppi guai le incognite del ventunesimo secolo.

Naturalmente, le stesse doti di saggezza, di buon senso, di realismo, di lungimiranza la comunità dei credenti le implora anche e soprattutto per coloro che “lo Spirito Santo ha posto come vescovi a pascere la Chiesa di Dio” (cfr. At 20,28).

Preghiamo infine per l’intera famiglia dei figli di Adamo, diffusa su tutta la terra, perché – riscoprendo e amando il Padre comune che è nei cieli – ritrovi efficacemente l’ideale della fraternità universale, antitesi di ogni violenza e di ogni razzismo; perché, riconoscendo in Cristo il Re misericordioso dell’universo, accolga fattivamente la legge evangelica dell’amore; perché, aprendosi docilmente alla luce dello Spirito Santo, si convinca e si allieti del mirabile destino di gioia e di gloria cui è stata chiamata.

Questo nostro raduno orante di fine d’anno ci infonde una fiducia nuova e ci dà un nuovo coraggio di vivere. Questo significa appunto l’affettuosa invocazione con cui si conclude il nostro “Te Deum”: “Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno”.

31/12/2000
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