Terza domenica di Quaresima

Siamo tutti assetati e abbiamo un enorme bisogno di qualcuno che ci offra un bicchiere d’acqua. E di acqua chiara. La sete non finisce mai. Non l’avremo più nella pienezza dell’amore di Dio, quando saremo amati da Lui e ameremo, tanto che la sua luce sarà dentro di noi e non avremo più bisogno del sole. Non possiamo vivere senz’acqua. Anzi. Quando non ci accorgiamo più del bisogno che abbiamo è pericoloso perché senz’acqua si muore, tanto che ci forzano a bere. A volte questa ricerca è drammatica, perché in realtà siamo tutti proprio nella stessa condizione del popolo di Israele, in mezzo al deserto, un deserto grande, spaventoso, difficile da attraversare, del quale non si vede la fine e cerchiamo una terra che ancora non conosciamo ma sappiamo che c’è. Quanto deserto di vita intorno a noi, in un mondo percorso da tanta violenza e ingiustizia, di “pianto e riso che non abbiamo diviso”, di solitudine che inaridisce i cuori e li rende violenti! Tutti noi cerchiamo acqua e ricordiamoci sempre che anche gli altri la cercano, in tanti modi. Cerchiamo l’acqua di un amore che spenga la sete del cuore. E in quel bicchiere di acqua fresca che ci è donato, e che noi tutti possiamo donare, capiamo il nostro futuro. Non possiamo evitare il deserto, dobbiamo affrontarlo. La vita improvvisamente si rivela senz’acqua, perché accade qualcosa, si rivela la forza del male, muore qualcuno e ci sentiamo soli. Andiamo avanti lo stesso, ma è come sopravvivere, non vivere. E poi verso dove? Cosa ci sarà dopo? Non possiamo accontentarci di qualsiasi liquido, perché “avremo di nuovo sete”. Non serve scavare tante inutili buche superficiali, come le infinite esperienze spesso così banalmente ripetitive. Perché solo andando faticosamente in profondità, penetrando l’interiorità e non fermandoci alle passioni di superficie, troviamo l’amore che cerchiamo, quello di Dio, che lo ha messo nel profondo del nostro cuore. Se c’è la sete vuol dire che c’è l’acqua. Lo capiamo, e capiamo quanto è importante, confrontandoci con le pandemie, quando sperimentiamo le prove della vita così com’è, quando facciamo nostra la sete dei tanti fratelli più piccoli di Gesù. Capiamo la sete perché senz’amore non c’è vita. Sant’Agostino descrive così l’assenza di un amico cui era molto legato e che era morto. “A causa di quel dolore il mio cuore fu interamente avvolto nelle tenebre e tutto ciò che vedevo era morte. La casa paterna mi era di una sorprendente infelicità e tutto quello che avevo avuto in comune con lui mi si trasformava in un immane tormento. I miei occhi lo cercavano avidamente in ogni dove; e non era loro dato. Io odiavo tutte le cose poiché non avevano lui e non potevano dirmi: eccolo, verrà!”. È questa la stessa ricerca di Dio verso di noi e di noi verso di Lui. Sempre Sant’Agostino ce lo spiega: “Cerchiamo Dio per trovarlo, cerchiamolo una volta trovato. Egli sazia chi lo cerca nella misura della sua capacità e rende chi lo cerca ancora più capace, affinché cerchi di essere riempito”. L’amore è una strada che si apre continuamente davanti a noi, l’amore è inizio di quello che non finisce. Papa Benedetto XVI disse: “In questi decenni è avanzata una «desertificazione» spirituale. È il vuoto che si è diffuso. Ma è proprio a partire dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto, che possiamo nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per noi uomini e donne. Nel deserto si riscopre il valore di ciò che è essenziale per vivere; così nel mondo contemporaneo sono innumerevoli i segni, spesso espressi in forma implicita o negativa, della sete di Dio, del senso ultimo della vita. E nel deserto c’è bisogno soprattutto di persone di fede che, con la loro stessa vita, indicano la via verso la Terra promessa e così tengono desta la speranza. La fede vissuta apre il cuore alla Grazia di Dio che libera dal pessimismo”. Oggi il Vangelo ci ricorda che non siamo soli e che Gesù per primo soffre la sete proprio per cercare noi, per dare Lui l’acqua di cui abbiamo bisogno, per spegnere la nostra sete di un amore vero. Lui è l’acqua buona, di solo amore, che ci fa credere di nuovo all’amore e ci fa scoprire la sorgente che è in noi. La sua acqua, chiara, non ci fa accontentare di qualsiasi acqua. Alla fine della sua vita, dalla croce, amore fino alla fine, Gesù dirà: “Ho sete!”. Scrive il Card. Tolentino, che ascolteremo prossimamente qui in Cattedrale: “Di cosa ha sete Gesù? Ha sete di te, ha sete della tua fede. Sete della tua presenza, sete del tuo sì. Ha sete della sete che tu puoi avere di Dio, della mancanza di verità che ti abita, di un desiderio di salvezza che sussiste in te, anche se è un desiderio occulto e sepolto da ferite e macerie. Gesù ha sete di darti a bere il suo amore”. Fa sua la nostra sete, cerca il cuore assetato di amore, rassegnato dopo cinque mariti e ferito da tante delusioni, amaro o irresponsabile, scettico e guardingo. Insomma è alla ricerca, però di amore, perché senz’amore si muore. E il suo amore fa scoprire l’acqua buona che può sgorgare in noi. Mosè batté la roccia. Gesù batte il nostro cuore perché da questo sgorghi una sorgente, la sua e la nostra, tanto che impariamo a dare noi da bere l’acqua buona dell’amore. Ma abbiamo bisogno di Lui, perché solo il suo amore ci fa trovare il nostro e ci toglie la sete! Altrimenti restiamo sempre al pozzo, come quella donna samaritana, con i suoi tanti amori. Sì, noi possiamo dire e mostrare a tutti l’acqua gratuita del Vangelo, per rispondere alla domanda che agitava il popolo di Israele e tutti noi nelle difficoltà: “Il Signore è in mezzo a noi sì o no?”.  Sì, il Signore è in mezzo a noi e dentro di noi. L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato, dice l’apostolo. Gesù non si vergogna di chiedere perché tutti abbiamo bisogno dell’altro e dell’altra. Ha sete per davvero: non offre facili indicazioni o spiegazioni sulla sete, non elargisce facili e interessate sintesi, non dà istruzioni per l’uso senza aiutare a vivere. Gesù stesso ha sete, si danna per i suoi, per non perdere nessuno. Abbiamo sete e la affrontiamo pur di andare a cercare le pecore perdute in tutte le città e i villaggi? Questo atteggiamento libero stupisce la donna e i suoi stessi discepoli: come mai parla con una donna samaritana? Perché parli con me? Spesso noi non parliamo l’uno con l’altro. Pensiamo che parlare sia compromettersi, relativizzare le proprie convinzioni, mentre è proprio capirne il senso e stabilire così un’indispensabile relazione. Non c’è dialogo senza identità e non c’è identità senza dialogo. Sembra, infatti, che Gesù non possa darci nulla e che, invece, dobbiamo cercare faticosamente da soli, con le nostre anfore, l’acqua che ci serve. In realtà è proprio Gesù che spiega quello di cui abbiamo davvero bisogno. La ama, come nessuno aveva fatto fino ad allora. Le spiega tutto, le dice tutto quello che era, la ama con la sua storia complicata, della quale non ha più paura perché amata, non interpretata e non lasciata sola. Gesù la rende consapevole della fonte che ha nel cuore e che inizia a sgorgare, tanto che va poi incontro agli altri, donando a tutti l’amore che ha ricevuto. “L’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”. Per sé e per il prossimo. La Chiesa è la fontana del villaggio ma anche un cristiano, pieno dell’amore, può donare tanti bicchieri di acqua fresca. “Sono io, che parlo con te”, l’uomo vero che cerchi e che ti insegna ad amare tutti gli uomini. Non un ente senza volto, imprendibile e cangiante, che lascia soli con se stessi, che al massimo ti rende autosufficiente, ma una persona, un amore, una presenza che non ti lascia più. Indico la terza virtù da far crescere per vivere bene in questo tempo difficile e per restare pieni del Signore: la Fortezza. Noi, spesso, ci sentiamo fragili, inadeguati, e cerchiamo una forza e una motivazione che non troviamo o che ci rendono duri, respingenti, arroganti. La fortezza, infatti, è proprio dei deboli, dei fragili, degli umili. Siamo forti quando siamo deboli, dice l’apostolo. La nostra fortezza, per cui resistiamo alla delusione e alla tentazione di salvare noi stessi, di arrenderci, di lasciar perdere, di accontentarci delle intenzioni, di non sognare e di non credere che i sogni possono diventare realtà, è sapere che il Signore non abbandona e non farà mancare il cibo e il vestito. Fortezza è affrontare le difficoltà che vogliono farci perdere, buttare via. Per questo siamo così forti di amore, con tutti i nostri limiti e contraddizioni, che vinciamo l’inimicizia porgendo l’altra guancia o facendo due miglia con chi ci chiede di farne uno. L’amore di Dio è forza e rende gli amati umili e fortissimi.  Dissetiamoci oggi di quello che sarà pieno in cielo: “A colui che ha sete io darò gratuitamente da bere alla fonte dell’acqua della vita”. “Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita” (Ap. 22,18).

Bologna, cattedrale
12/03/2023
condividi su