Trigesimo della morte di padre Gabriele Digani

San Lazzaro di Savena, Città dei Ragazzi

C’è una provvidenza del Signore nel collocare il ricordo di Padre Gabriele proprio in questa domenica del Buon Pastore. Tutti siamo suoi, sperimentiamo la sua protezione, l’amore, che non è il mercenario, che non si accorda con il lupo, che non vuole bene finché le cose vanno bene, ma è custode del suo gregge. Oggi per volontà di Paolo VI è la giornata delle vocazioni. Sì, ognuno – ripeto ognuno – è chiamato a seguire il Signore nel suo modo, come è ciascuno con il suo dono. E lo capiamo, il dono, solo donandolo. Oggi capiamo meglio la vocazione che è stata il dono di padre Marella che, imparando dal pastore buono, è stato pastore di tante pecore che ha difeso dal lupo rapace di questo mondo.

Vorrei ricordare, in questo giorno in cui si celebra la liberazione dell’Italia dal nazifascismo, come Marella andava a prendere i cadaveri dei partigiani uccisi, con la pietà che purtroppo il male fa morire. Padre Marella è stato pastore buono di tante pecore indifese, delle più indifese e le ha protette dal lupo rapace della dispersione, della criminalità, della corruzione. Pandemie frutto della pandemia. Padre Gabriele ha continuato la sua opera, sempre indicando l’unico centro di tutto che è Gesù. Quanto c’è bisogno di aiutare il pastore buono, colui che ha sempre compassione della folla, perché vediamo come è stanca e sfinita, proprio come chi non ha una direzione e una protezione. Gesù non giudica: ama. Gesù parla di sé come il Buon Pastore per fare capire a uomini vulnerabili che sperimentano la cattiveria del lupo, di colui che ghermisce la vita e la “disperde”, che nessuno è abbandonato a se stesso. Per il Signore non conta il numero, conta la persona! Vuole proteggere tutti, anche le pecore che non sono di questo ovile, perché ama le pecore e sa bene, più delle pecore stesse che se ne accorgono solo quando arriva il lupo, dei pericoli cui sono esposte e della loro fragilità. È buono e il suo nome è la via del cielo. Il pastore è definito dal gregge, vive per questo, si pensa per le sue pecore. Gesù è un pastore innamorato del suo gregge, per il quale, infatti, dona la vita per difenderlo. Non è un pastore qualsiasi, ma “buono”. Solo Dio è buono, dirà Gesù a quell’uomo che riduceva la bontà ad un complimento o ad una perfezione individuale. Buono è chi dona la vita per gli altri. Buono, e tutti siamo chiamati ad esserlo e lo diventiamo affidandoci al pastore buono, è chi non conserva se stesso.

Sembra così difficile capire cosa significa essere buoni in una generazione che riduce la bontà a sentimento ingenuo perché ha inquinato tutto con il calcolo e dove tutto ha un prezzo. La forza dei cristiani è la gratuità, perché l’amore è gratuito. Gesù è un pastore che solo per amore di una pecora che si è perduta si mette in movimento, si dispera finché non la trova, perché non può accettare che una sola di queste si perda. La cerca, non la giudica; la cerca, non si accontenta delle altre; la cerca perché ama ogni persona unica com’è; non è interessato al numero ma alla persona; non la interpreta o la lascia a vagare anche se si è allontanata per sua scelta. Il suo amore non è possesso: è pensarsi insieme. Senza un pastore le pecore sono un insieme di individui; il pastore le rende un gregge, una famiglia. Se siamo figli diventiamo anche fratelli. Padre Gabriele ci ha lasciato. Oggi ne ricordiamo il giorno. Ma ci ha anche lasciato tutto di sé. Quando non lasciamo niente tutto finisce e la morte è anche l’ultima parola. Chi lascia la vita può lasciarla. La morte ci aiuta a scegliere. Bisogna lasciare l’amore, vera eredità che portiamo con noi proprio perché lasciamo. Padre Gabriele ci ha lasciato alcuni tesori. Lui ha aiutato il pastore buono ed è stato un pastore, in maniera originale. Coinvolgeva tutti.

Non faceva tutto lui! Pensava che ognuno potesse dare qualcosa e con semplicità francescana chiedeva a ciascuno qualcosa. Ed era difficile dire di no di fronte ad una richiesta così diretta. Ci ha lasciato tanta accoglienza. Più di una pianificazione, di una ottimizzazione della mano d’opera è l’accoglienza frutto del servizio che si manifesta con il sorriso, sornione: era il primo modo per fare sentire a proprio agio, per manifestare interesse. Il Buon Pastore non è un cacciatore di teste: è un padre che dà fiducia e ci aiuta a tirare fuori la parte migliore della nostra anima. E iniziava facendo sentire accolti, amati, attesi. Il sorriso permetteva questo: ti sentivi a tuo agio e non avevi paura di chiedere. Tutte le disperazioni trovavano accoglienza. Ci ha lasciato il dono della perseveranza. Lo aveva chiesto a lui fin dall’inizio il padre Marella perché l’incostanza, fare quello che mi sento o sentirmi buono per il poco che faccio, delude. E questi bambini hanno già avuto tante ragioni di diffidare, troppe delusioni. Tutti sapevano che padre Marella c’era. Se decidevo sapevo che lo avrei trovato. Quanto è importante con la propria perseveranza dare sicurezza agli altri, essere un punto di riferimento che permette a qualcuno di cambiare, di pensare che si possono trovare risultati importanti. È un riferimento dal Cielo.

Ci ha lasciato tanta fiducia. Dava fiducia senza nessun filtro, mettendo a proprio agio, scommettendo come un padre con il figlio. Così aiutava la vocazione, cioè il dono, che siamo ciascuno di noi. Qualcuno ha raccontato: «Quando avevo sedici anni alla mattina bevevo qualche bicchiere di vino, per non pensare, bevevo a stomaco vuoto. Il parroco del mio paese sapeva tutta la storia, si è messo in contatto con Padre Gabriele che mi ha accettato all’Opera. Ci sono stato tre anni. Quante volte Padre Gabriele veniva a prendermi nel bar e io lo offendevo, lo mandavo a quel paese… ma non ero io che parlavo, era l’alcol. Poi sono riuscito a uscirne, con la terapia e con l’amicizia e l’ostinazione di Padre Gabriele. Ho smesso completamente con l’alcol. E Padre Gabriele era molto contento, è questo l’importante. L’Opera e Padre Gabriele sono diventati più che una famiglia».

Vorrei concludere leggendo queste parole con cui Padre Gabriele descriveva il suo rapporto con il fratello Giorgio, morto un anno fa. «Il rapporto tra me e Giorgio è stato talmente intenso che si potrebbe dire gemellare. Non riesco a credere che non ci sia più: ogni volta che vado a cena di ritorno dalla messa a San Lazzaro mi aspetto sempre di vederlo seduto accanto a tenermi il posto a tavola, per accogliermi con un sorriso che spesso riusciva a farmi dimenticare per un attimo le tante fatiche quotidiane… e alla sera attendo ancora il suo timido bussare al mio ufficio perché non poteva accettare di andare a letto senza avermi dato la buonanotte. Grazie Signore per tutto quanto di bello, di umile, di genuino mi hai insegnato attraverso la vita di questo fratello. E attendo con fede il momento in cui potrò riabbracciare tutta la mia amatissima famiglia». Diciamo noi lo stesso di te, caro fratello Gabriele, e attendiamo anche noi con fede di potere riabbracciare la nostra bellissima famiglia insieme al Buon Pastore che vuole un solo gregge e un ovile.

25/04/2021
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