Candidatura al sacerdozio di tre seminaristi

Bologna, Cattedrale

Oggi celebriamo la domenica del Buon Pastore. Gesù parla di sé come il buon pastore per fare capire a uomini che si scoprono vulnerabili (sic!) e che sperimentano la cattiveria del lupo che nessuno è abbandonato a se stesso. Il mercenario davanti al lupo salva se stesso. Il pastore salva il gregge. Non manda altri, non osserva da lontano come si comportano le pecore per poi giudicarle, per metterle alla prova. È un pastore, sa che loro senza la sua guida e la sua difesa sono indifese davanti alle minacce del lupo. Le conosce una per una e si fa riconoscere da tutte con la sua voce. Chi ascolta la sua parola trova orientamento nell’incertezza della vita, in quel caos dove il male vuole farci precipitare, nella babele degli uomini che parlano con convinzione ognuno la propria lingua, si parlano addosso o parlano sopra gli altri, non si capiscono. Chi ascolta la voce del pastore impara anche ad ascoltare quella delle pecore che ha accanto a sé perché il pastore unisce e protegge. Le pecore per il mercenario sono un numero. Il pastore ha una relazione con ognuna, unica, irripetibile com’è. La va a cercare perché gli manca proprio quella lì, non perché la migliore, ma perché ama ciascuna. L’amore è per tutti ma è sempre molto personale.

Quello che definisce il pastore è che è buono a differenza del mercenario che salva se stesso e buono non è. Buono non è una condizione naturale che finisce scontrandosi con la inevitabile cattiveria. Nasciamo tutti buoni ed anche incredibilmente capaci di fare e farci del male. Buono non è una condizione astratta, morale: buono è chi ama, non chi è perfetto. Diceva con disarmante semplicità San Giovanni XXIII, definito proprio il “Papa buono”: «Fate del bene, cioè siate buoni e troverete dappertutto facce allegre. Queste parole illuminano la vita. Fare del bene significa rappresentare perfettamente Gesù, figlio di Dio, figlio di Maria, maestro universale e Salvatore del mondo. Non c’è scienza; non c’è ricchezza: non c’è forza umana che eguagli il valore della bontà: dolce, amabile, paziente».

Buono è tutt’altro che ingenuo o debole. Anzi. Buono è chi vive la fortezza e la temperanza, le virtù – quanto necessarie! – di non arrendersi e di dominare sé stessi per non farsi dominare dall’istinto. Buono è chi dona la vita per gli altri. Come don Giovanni Fornasini, cui affido il vostro cammino, prete ordinario, con tanti limiti e uomo di amore straordinario, che nella pandemia della guerra seppe imitare il buon pastore ed essere pastore fino alla fine e per questo martire, testimone. Il pastore buono ispira tanti che aiutano, consolano, scelgono di amare e non di farsi gli affari propri. Buono significa che gli altri possono contare su di te. Di fronte alla pandemia se non amiamo siamo travolti e diventiamo più incattiviti! L’amore non è possesso: è pensarsi insieme a qualcuno. Spesso ascoltiamo di più i mercenari perché ci danno facilmente ragione, assecondano, sembrano più facili e comprensivi, ci fanno credere che siamo felici se siamo soli, se affermiamo il nostro individuo, anche al prezzo di essere soli, di diventare rapaci, persuadono alla cupidigia del possedere che è alla fine distruttiva, perché uccide l’altro. La differenza si vede quando arriva il lupo. Quando le cose vanno bene si fa più fatica, ma il pericolo, dovere amare più delle proprie paure, rivela chi è pastore. Il mercenario ha un limite: la sua convenienza. Non serve il gregge, se ne serve.

Oggi è la giornata delle vocazioni, giustamente al plurale perché è quello che il Signore chiede a ognuno di noi e che in realtà coincide con quello che cerchiamo nel profondo, che abbiamo dentro. Il cristiano, ogni cristiano, ha la sua vocazione, ciascuno la sua. Qualcuno si sorprende che una persona scelga e sia contenta! Sceglie ed è felice perché ha capito e trovato quello che vuole, che la definisce. Non smettiamo di comprenderlo, perché l’amore è lo stesso e si trasforma, non si perde mai anche quando facciamo fatica a trovarlo, sappiamo che è più forte perché non è una sensazione che passa, ma è il sentimento che è scritto nella nostra anima e niente ci può separare dall’amore di Cristo. Quando ascoltiamo il Signore e lo seguiamo si accende il mondo intorno, sappiamo riconoscere la bellezza nei tanti frammenti di cielo sparsi sulla terra, nell’incontro con il prossimo che prima ci spaventava. Vinciamo la paura, perché la vocazione è trovare il cammino. Non è arrivare, ma camminare. Non mette al riparo dai rischi, ma ci dona la forza per superarli. Non è stare bene, è molto di più, è amare, che include anche la sofferenza, il sacrificio che nello stare bene non è mai incluso, anzi! Non è rinuncia: è scoperta! Possiamo credere di essere noi a decidere, ma decidiamo e capiamo per davvero quando seguiamo e aiutiamo il Buon Pastore. Quanta stanchezza intorno a noi! In tempi di fragilità, in cui tutti sono occupati a salvare sé stessi, c’è bisogno di persone che aiutano il pastore buono, sapendo che le pecore spesso vanno dietro al mercenario, a chi calcola, a chi lo fa per interesse, per convenienza. La differenza è sempre la gratuità. Persone che amano e che sono “caste”, come San Giuseppe perché castità «non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici». La felicità non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé.  Solo l’amore è gratuito. Tutto il resto, che può rassomigliargli, qualche volta apparire addirittura più protettivo, se però non è gratuito, se non ha altro interesse che l’amore stesso, è mercenario. Dio ci fa entrare in noi, ci fa fermare, chiedere, interrogare, con delicatezza facendosi largo nella nostra interiorità, «facendosi intimo a noi e parlandoci attraverso i nostri pensieri e i nostri sentimenti».

Oggi tre nostri fratelli presentano la loro candidatura per diventare presbiteri. Andrea, Giacomo e Riccardo diranno il loro primo “eccomi”. La preghiera sia sempre il centro perché è ascolto della voce del pastore, quella che ci fa sentire parte del suo gregge e ci aiuta a riconoscere la sua voce. Coltivate il desiderio di essere aderenti al disegno di Dio, che dilata il vostro cuore e vi fa trovare l’acqua che spegne la sete e risponde alle tante domande di “dov’è il tuo Dio”. Quanto è importante questo ministero presbiterale, che è principalmente per la comunione. Il prete non è il centro di tutto, non è il migliore su tutto, non è nemmeno il più santo, ma è il servo di tutti, tanto da pensare la sua vita dedita interamente ad aiutare il pastore e il suo gregge. Il presbitero non deve fare tutto, ma amare il gregge e aiutare, come il pastore, il dono che è ogni persona, cercando sempre quello che serve per il suo gregge. E lui per primo dona, non possiede. Siate pieni di Gesù, del suo amore, cioè abbiate in voi l’entusiasmo interiore, la gioia che ci protegge non dal soffrire, ma dal senso di fine; non dal lottare, ma dalla rassegnazione o dal cercare la nostra vittoria e non quella del pastore. La gioia del Vangelo non è non avere problemi, ma avere nel cuore la sua forza. E sperimentate sempre la fraternità nel gregge, perché il pastore buono ci aiuta a pensarci assieme, Lui che si pensa con noi.

Vi accompagniamo con la nostra preghiera e la nostra fraternità e paternità. Crescete cercando di avere gli occhi e il cuore del pastore, la sua compassione e non il giudizio sterile e ipocrita dei farisei. Gesù ha messo sé stesso in ognuno di noi, non per i nostri meriti, ma per il suo amore. E questa è la nostra libertà dai nostri evidenti limiti. Ma sempre con Lui e con la sua sposa, questa madre che dobbiamo amare e difendere sempre.

Buon pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi: nutrici e difendici, portaci ai beni eterni nella terra dei viventi.

25/04/2021
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