Magnifico signor Rettore,
illustri signori Docenti e Presidi di facoltà ,
carissimi studenti, Signore
e Signori,
è per me motivo di grande gioia questo incontro per il quale ringrazio
profondamente in primo luogo lei, Signor Rettore, e tutte le autorità accademiche.
Motivo di gioia e di onore per me, umile successore di S. Petronio, poter prendere
la parola in questa illustre Alma Mater Studiorum che ebbe tra i suoi maestri
ed allievi illustri Dante, Petrarca, S. Carlo Borromeo e i Pontefici Alessandro
III ed Innocenzo IV, per citarne solo alcuni.
1. La mia riflessione prende avvio da una domanda che è sorta dentro
di me non appena il Magnifico Rettore mi comunicò il vostro invito:
a qual titolo io, apostolo di Cristo e pastore della Chiesa bolognese, mi rivolgo
a voi, accorsi oggi con partecipazione così intensa, nell’ambito
di una istituzione laica? Che cosa mi ha spinto ad accogliere l’invito
e ad entrare dentro a quest’aula per rivolgermi a voi?
L’essere partecipe con voi dello stesso stupore di fronte alla dignità dell’uomo;
il condividere con voi la stessa meraviglia che faceva esclamare al poeta greco: “L’esistere
del mondo è uno stupore infinito, ma nulla è più dell’uomo
stupendo”. [Sofocle, Antigone, primo stasimo; in Il teatro greco. Tutte
le tragedie, Sansoni ed. Firenze 1970, pag.183].
Questo stupore che ha accompagnano l’uomo nel suo insonne interrogare
ed interrogarsi, raggiunge il suo vertice quando ascolta la Rivelazione cristiana:
l’avvenimento di Dio che si fa uomo per redimere l’uomo. Di fronte
a questo avvenimento, il credente esclama con Agostino: “Dio si è fatto
uomo: che cosa diventerà l’uomo, se per lui Dio si è fatto
uomo?” [Commento al Vangelo di Giovanni, Trattato 10,1; NBA XXIV, pag.
233]. Ed “in realtà , quel profondo stupore riguardo al valore
e alla dignità dell’uomo si chiama evangelo, cioè la buona
novella. Si chiama anche cristianesimo” [Giovanni Paolo II, lett. Enc.
Redemptor hominis 10,2; EE 8/29].
Lo stupore genera la preoccupazione perché lo splendore della dignità dell’uomo
non venga offuscato; genera la cura della dignità dell’uomo. Sono
venuto in questa aula perché sono sicuro di condividere con voi
tutti questa cura del bene della persona umana.
Ma vengono alla mente le parole di Socrate (Platone): “Ebbene potremmo
mai sapere quale arte renda migliore se stessi, mentre ignoriamo chi siamo
noi stessi? … conoscendo noi stessi potremo sapere come dobbiamo prenderci
cura di noi, mentre, se lo ignoriamo, non lo potremo proprio sapere” [Platone,
Alcibiade maggiore 128 E-129A]. Sono venuto in mezzo a voi perché condividiamo
questa passione per conoscere la verità sull’uomo: “l’uomo,
scopritore di tanti segreti della natura, deve essere incessantemente riscoperto” [K.
Woitila, Persona ed atto, in Metafisica della Persona (a cura di G. Reale – T.
Styczen), Bompiani ed., Milano 2003, pag. 855].
Penso che precisamente questa è la funzione, la missione dell’Università :
scoprire la verità sull’uomo perché l’uomo possa
prendersi cura di se stesso, della sua dignità . Abbiamo la stessa passione,
voi e noi, la passione per la verità dell’uomo, perché l’uomo
non sia mai più misurato nella sua grandezza da criteri limitati e superficiali.
Solo lo splendore della verità genera infatti lo splendore della libertà ,
poiché – come scrisse Agostino – “questo è il
nostro riscatto, essere soggetti alla verità ” [De libero arbitrio
2,13,37; NBA III/2, pag. 259].
2. Quali strumenti possiede l’uomo per percorrere la via della verità e
per giungere alla verità ? La sua ragione. L’uomo che usa la ragione percorre
la via della verità , perché mediante la ragione l’uomo
può vivere una totale apertura alla realtà , se la sua libertà non
frappone preclusioni preconcette o pregiudicate. “Intellectus fit quodammodo
omnia”, scrive Tommaso riprendendo Aristotele. Infatti tutto ciò che è, è da
considerarsi un compito affidato alla ragione umana. E se tutto è affidato
come compito alla ragione umana, l’uomo si trova ad essere indebitato
verso la realtà : deve al mondo la verità [cfr. Giovanni Paolo
II, Omelia 09-06-87, Univ. di Lublino]. è ancora il grande genio di
Tommaso che viene in aiuto al mio povero dire: «unumquodque ens in tantum
dicitur verum, in quantum conformatum est vel conformabile intellectui et ideo
omnes recte definientes verum, ponunt in eius definitione intellectum» [Qq.
Dd. de Veritate q.21,a.1]. La realtà di questo mondo diventa vera
nell’uomo. L’uomo compie questa missione ed estingue il suo debito
mediante la sua ragione tesa a conoscere la verità sul mondo, sulla
realtà sia nelle sue svariate diversificazioni, sia nella sua interezza.
Ma in questo rapporto dell’uomo col mondo, l’uomo – ciascuno
di noi – non può non prendere coscienza di se stesso. Insieme
al diretto contatto conoscitivo col mondo coesistente con lui e realmente
affidato a lui, avviene nell’uomo anche il diretto contatto conoscitivo
personale dell’uomo con se stesso. L’uomo conosce se stesso come
diverso da tutto il mondo e al di sopra di tutto il mondo: diverso perché al
di sopra. Come scrisse Pascal: «Con lo spazio, l’universo mi comprende
e mi inghiotte come un punto; con il pensiero, io lo comprendo» [Pensieri
265; Rusconi, Milano 1978, pag. 497]. Gli fa eco Giovanni Paolo II, quando
disse in una catechesi del mercoledì: «L’autocoscienza va
di pari passo con la coscienza del mondo, di tutte le creature visibili, di
tutti gli esseri viventi ai quali il primo uomo “ha dato il nome” per
affermare di fronte ad essi la propria diversità . Così dunque
la coscienza rivela l’uomo come colui che possiede la facoltà conoscitiva
rispetto al mondo visibile. Con questa conoscenza che lo fa uscire, in un certo
modo, al di fuori del proprio essere, in pari tempo l’uomo rivela sé a
se stesso in tutta la peculiarità del suo essere».
Le parole del grande genio pascaliano all’inizio della modernità e
le parole di Giovanni Paolo II alla fine della modernità pongono lo
stesso problema che sta nel cuore del dramma dei nostri giorni: il problema
di comporre in armonia gerarchica il rapporto dell’uomo con il mondo
e il rapporto dell’uomo con se stesso.
In questo contesto vedo il servizio che l’Università è chiamata
a compiere nei confronti dell’uomo, la modalità specifica con
cui è chiamata a prendersene cura. Io ritengo che l’Università se è chiamata
ad essere il luogo della ricerca in ogni ambito della realtà , essa è chiamata
oggi a porre in primo ordine la ricerca e la testimonianza della verità dell’uomo
e del suo incomparabile valore. L’Università è una comunità di
uomini e donne che si assumono come lavoro proprio e quotidiano di assolvere
il debito di verità che l’uomo deve estinguere nei confronti di
tutto il reale, ma in primo luogo che l’uomo deve estinguere nei confronti
di se steso. Infatti la dignità propria dell’uomo, che al contempo è dono
e compito, è collegata direttamente colla conoscenza della verità di
se stesso.
Il debito che l’uomo deve pagare alla realtà e a se stesso in
primo luogo, deve essere pagato fino in fondo. L’uomo sarebbe infedele
a se stesso se censurasse qualsiasi domanda sensata, se interrompesse la tensione
della ragione verso la realtà . Se non usasse la capacità della
ragione di porre la domanda ultima circa la realtà : la domanda circa
il senso radicale dell’esserci dell’uomo. è questa infatti
l’infinita potenza della ragione umana, quella di inoltrarsi nei sentieri
della realtà fino a porre la domanda sulla sua sorgente. Anzi il problema
essenziale del pensare è il problema della fondazione di una realtà che
nella sua finitezza rimanda oltre. Una finitezza che non è asettica,
ma che l’uomo prova soprattutto di fronte alle tante tragedie dell’esistenza,
ai mali e all’oppressione degli innocenti. Sono queste esperienze che
soprattutto suggeriscono la domanda sul fondamento e sulla ragionevolezza del
tutto. Tacitare questa domanda è la più grande violenza che l’uomo
possa fare a se stesso.
La domanda religiosa – è di essa che sto parlando – nasce
in fondo da una completa fedeltà alla ragione nell’impatto dell’uomo
colla realtà , senza preclusioni e senza volere rinnegare nulla.
Ho detto, citando Tommaso, che l’intelletto «fit quodammodo omnia»:
gli è stato consegnato tutto. Questa parola è vicina alla parola
che definisce la dimora in cui ci troviamo: universitas, a cui corrisponde
universum. L’istituzione universitaria prende in consegna il tutto nelle
sue diversificazioni e nella sua unità . Non può dunque escludere
da sé anche la ricerca della verità ultima.
Ma proprio di fronte al suo compito supremo, la ragione sente la propria debolezza
ed invoca il dono di una Verità nella quale finalmente tutta la realtà trova
il suo senso e la sua consistenza. Questa invocazione entra talmente nel dinamismo
della ragione fedele e se stessa, che fu Platone a formularla per primo: «Infatti,
trattandosi di questi argomenti, non è possibile se non fare una di
queste cose: o apprendere da altri come stiano le cose, oppure scoprirlo da
se stessi; ovvero, se ciò è impossibile, accettare, fra i ragionamenti
umani, quello migliore e meno facile da confutare, e su quello, come su una
zattera, affrontare il rischio della traversata del mare della vita: a meno
che non si possa fare il viaggio in modo più sicuro e con minor rischio
su più solida nave, cioè affidandosi ad una rivelazione divina» [Fedone
85C-D; trad. Reale].
A questo punto ciò che dicevo all’inizio quando parlavo della
condivisione della stessa passione per la verità dell’uomo e per
la cura della sua dignità , rivela il suo significato più profondo.
Noi, Università e Chiesa di Bologna, possiamo e dobbiamo continuare
a incontrarci. Non tanto a causa di un legame che ha le sue radici nella storia,
ma perché l’una ha bisogno dell’altra, e quindi la reciproca
estraneità impoverisce l’una e l’altra nello svolgimento
del rispettivo compito.
La Chiesa, che si presenta all’uomo come testimone della Verità sull’uomo
rivelata da Dio stesso, ha bisogno di voi e di quanto andate faticosamente
conquistando colla vostra ricerca. La fede infatti della Chiesa è una “fides
quaerens intellectum”; è una fede che inerendo alla ragione, che
essendo formalmente un atto della ragione, esige dall’interno del suo
dinamismo di pensarsi e dirsi attraverso il logos umano. La Chiesa quindi sarebbe
gravemente infedele se si esimesse da questa fatica di pensare ciò che
crede, evitando il dialogo con voi tutti.
Ma anche l’Università ha bisogno della Chiesa. L’esclusione
della ricerca teologica è stato un grave danno per l’Università .
Non si tratta di pensare ad impossibili ritorni od ancor più impossibili “sequestri” di
competenza. è la necessità che, oggi più che mai, l’Università sente
di avere un punto unificante. Uno dei più grandi geni dell’umanità ,
Agostino, parla di una specie di “rationale coniugium” tra la ragione
contemplativa e la ragione attiva, fra la sapienza e la scienza [cfr. De Trinitate
12,12,19; NBA IV, pag. 489], necessario per la vera beatitudine dell’uomo
e per la pacifica vita associata. Quando la sapienza e la scienza decidono
di divorziare, è l’uomo che si disintegra nella sua unità .
Il problema di unire sapienza e scienza si impone oggi come uno dei problemi
fondamentali che stanno alla base non solo della vita personale, ma anche della
società , della cultura, della civiltà , della politica.
La sapienza di cui parla Agostino è intesa come insonne ricerca di
quelle intelligenze profonde della realtà e di quelle motivazioni ultime
dell’agire umano, di cui l’uomo sente il bisogno soprattutto quando
avverte la sua umanità maggiormente esposta al degrado ed insidiata
nella sua dignità .
Le domande, metafisiche ed etiche, che le scienze oggi pongono non per ragioni
estrinseche alle loro ricerche ma dall’interno delle loro ricerche medesime,
mostrano l’urgente attualità della riflessione agostiniana.
La Chiesa bolognese ora possiede due luoghi o soggetti attraverso cui instaurare
questo dialogo profondo: l’Istituto Veritatis Splendor e la neonata Facoltà di
teologia.
4. Avviato ormai alla fine del mio dire, esso sarebbe gravemente lacunoso
se non offrisse anche qualche riflessione sul compito educativo dell’Università .
Non solo esso è l’aspetto più visibile dell’istituzione
universitaria, ma assieme e non meno che la ricerca ne è finalità essenziale.
Esiste un ethos, se così posso chiamarlo, del rapporto educativo all’interno
dell’Università . Esso è costituito dal disponibile servizio
del docente che non comunica solo il sapere, ma anche ciò che lo rende
umanamente bello e degno di essere ricercato ed amato. Esso è anche
costituito dal rigore che consentirà poi allo studente di esercitare
il suo lavoro in modo adeguato. Ma non è di questo che voglio parlare;
piuttosto vorrei tentare una riflessione più profonda sulla missione
educativa dell’Università .
Consentitemi di iniziare con una lunga citazione che narra l’incontro
di due persone, di un grande maestro con un giovane:
“Egli ci accolse fin dal primo giorno: il primo, effettivamente, e devo
dirlo, il più prezioso di tutti. Infatti, allora, per la prima volta
cominciò per me a risplendere il vero sole. Noi, da principio, alla
maniera di bestie selvatiche, pesci, uccelli, che caduti nei lacci, nelle reti,
tentano di sgusciarne fuori, fuggire via, desideravamo allontanarci … Egli,
pertanto, si adoperò con tutti i mezzi a legarci a sé … Soprattutto
egli con grande abilità trattava argomenti che valessero a scuoterci
nell’intimo, giacché mostravamo di trascurare quello che, come
egli afferma, è il più importante dei nostri beni, la ragione” (Gregorio
il Taumaturgo, Discorso a Origene, ed. Città Nuova, Roma 1983, pag.
64-65).
Di che si tratta? Un giovane di nome Gregorio al termine dei suoi studi superiori,
oggi si direbbe terminata l’Università , narra l’esperienza
vissuta negli anni della sua formazione accademica, parlando del rapporto vissuto
col suo maestro, Origene. Siamo negli anni 232/233 – 238 d.C.. E’ possibile
oggi che un giovane possa rivivere l’esperienza di Gregorio? Dire con
tutta verità che “effettivamente (il giorno) più prezioso
di tutti” è stato l’incontro con i propri maestri, cominciando
in quell’incontro “a risplendere il vero sole”? e che ciò accade
perché si vive come uno “scuotimento nell’intimo”,
poiché si “cessa di trascurare quello che … è il
più importante dei nostri beni, la ragione”? O forse non è neppure
più necessario vivere nella vita una tale esperienza? Io penso che tutti
i giovani qui presenti abbiano già dato la risposta nel loro cuore.
Ma che cosa rende capace un maestro di rigenerare un giovane? Ponendosi nell’unico “posto” adeguato
ad instaurare un vero rapporto educativo: la vita. Questo è sempre stato
il posto dei grandi maestri: «il posto loro era la vita dalla quale non
si sono tirati fuori neppure un istante, per incarnare le loro fatiche in un
lavoro a se stante, separato da chi lo svolge, irrigidito, legato e condotto
a un’esistenza a se stante, come si trattasse di un mero oggetto, il
quale, anche se fosse un capolavoro nel vero senso del termine, non porterebbe
con sé comunque il calore dell’evento da cui si è originato » [J.
Pato?ka, Socrate, Rusconi libri 1999, pag. 33]. Il calore dell’evento
da cui si è originato: quale è l’evento dal cui calore
si origina la passione e la fatica educativa? Il desiderio di comunicare un
sapere partecipando al quale il giovane diventa veramente libero e liberamente
vero.
Per insegnare all’uomo semplicemente a lavorare (a produrre), chiunque
può sostituire chiunque: si trasmettono delle regole. Oggi si usa una
parola anche più rispettabile: si trasmettono dei valori. Ed in fondo è ciò che
oggi lo studente a volte si accontenta di chiedere all’Università :
apprendere cose che gli consentano di inserirsi in modo vantaggioso nella generale
organizzazione del lavoro. E la società da parte sua si aspetta di ricevere
dall’Università persone preparate a svolgere funzioni utili alla
riproduzione della società stessa. Ma il problema ultimo dell’uomo
non è questo!
La domanda ultima è di sapere se quanto è prospettato come possibile,
se quanto è insegnato, è vero: cioè che nesso ha colla
vita, se esista un modo di studiare e di lavorare per cui vale la pena studiare
e lavorare, anche oggi. Se esista un significato ultimo. Se l’uomo anche
oggi ha bisogno di sapere questo, non gli basta più un insegnante: ha
bisogno di un maestro. Quale è la diversità ? La diversità consiste
in questo. L’insegnante trasmette un sapere; il maestro trasmette anche
un senso. L’insegnante trasmette regole; il maestro mostra una verità :
il primo chiede di imparare, il secondo sollecita a verificare.
Tutta la missione educativa dell’Università dipende allora dalla
capacità e volontà sia del docente che dello studente di mettere
in gioco sé stessi: è questo è assai più difficile
che fare il professore e lo studente universitario.
Magnifico Rettore,
illustri signori Docenti e Presidi di facoltà ,
carissimi studenti, Signore
e Signori,
mi piace terminare con una parola di Giovanni Paolo II che esprime in sintesi
quanto poveramente ho cercato di dirvi: «Non si può pensare soltanto
con un frammento di verità , bisogna pensare con tutta la verità » [in
Tutte le opere letterarie, Bompiani ed., Milano 2001, pag. 713]. Questa è la
vostra incomparabile missione: educare l’uomo a pensare non soltanto
con un frammento di verità , ma con tutta la verità . Alma mater!
Sì, perché così genera uomini capaci di pensare e quindi
liberi, per il bene della nostra città .