Proponiamo un contributo di don Massimiliano Burgin, prete dell’arcidiocesi di Bologna, che da alcuni mesi studia lingua cinese a Chengdu. In futuro si occuperà della comunità cinese della nostra arcidiocesi.
Quando cammino per la città cinese di sedici milioni di abitanti mi viene in mente la mia città, Bologna e la penso come piccolo paese, ricco di tradizioni e di bella gente, ma pur sempre, in confronto, piccolo paese. Una volta a Chengdu mi venne chiesto da dove venivo, risposi: Italia. Piccola Italia, fu il commento. Dovremmo arrenderci: siamo piccoli. Anche un po’ rumorosi…
Faccio mio l’appello del poeta:
“Ditemi chi son per favore i cinesi,
vi prego ditemi chi sono i cinesi,
mostratemi come abbracciare forte la memoria.
Ditemi per favore la grandezza di questo popolo,
ma ditelo sotto voce, senza chiasso (Wen Yiduo, 1928)”.
Quanto chiasso, quanto rumore dopo che è scoppiato il coronavirus. E per uno strano destino noi italiani, prima seduti sul carro dei carnefici a offrire valutazioni, opinioni, scoop, ci si trova ora sul carro silente delle vittime. Ma forse sarà l’occasione per guardare con occhio diverso il cinese che ci passa accanto per la strada, in negozio, nel condominio. Sarà l’occasione per ricordarci che coloro che vengono additati come mangiatori di topi vivi, possiedono una cultura che sprofonda nei secoli dove gli ideogrammi rappresentano quasi un luogo sacro che rimane intoccabile.
Sarà l’occasione per ricordarci la pretesa universale di salvezza che il cristianesimo offre sulle bancarelle del mercato globalizzato, che ci rende tutti uguali al di là della sorte che ci viene assegnata nella via degli uomini. Ma tutto per favore senza chiasso. Nei dialoghi di Confucio si legge: “Il maestro non parlava mai di eventi straordinari, dell’uso della forza, di disordini e di divinità (7,21)”.
Don Massimiliano Burgin