Cari fratelli e sorelle, köszönöm! Sia benedetto Dio! È una grande gioia per me celebrare gli ottocento anni della consacrazione della vostra Chiesa monastica, in questo luogo che è stato definito “monumento spirituale” dell’Ungheria e “ponte di fraternità”. E non siete invecchiati! Sento la grazia della comunione che ci fa vivere quell’amore che il padre spiega al figlio maggiore: “tutto ciò che è mio è tuo”. Ringrazio Dio, insieme a voi, per la vostra storia che sento nostra. Una storia che in questo anno avete compreso, ricompreso, condiviso nella sua grandezza e umanità. Prego Dio perché, in un mondo e in cuori ridotti ad un ospedale da campo materiale e spirituale, possiate continuare a seminare con larghezza il seme del Regno di Dio, perché dia frutti di pace, speranza, amore. Unisco questa gioia al ricordo e alla gratitudine per un figlio e un padre della vostra comunità, padre Gerardo Bekes, che fu mio professore nella Facoltà di Sant’Anselmo, del quale conservo il ricordo di un uomo gentile, di grande sapienza evangelica, liturgica e spirituale, di tanta accogliente e sensibile umanità.
Le solenni celebrazioni di quest’anno chiedono di diventare vita ordinaria in questa casa che è punto di incontro tra i due polmoni dell’Europa, tra spirituale e umano. Il monastero è un porto di approdo per tanti naufraghi della vita e continua ad accogliere e ad orientare nelle incertezze del vagare umano. Il cuore del vostro grande e splendido monastero è questa Chiesa, la roccia sulla quale avete costruito nei secoli una casa capace di resistere alla forza delle piogge e dei venti, anche quelli terribili della violenza. È stato così negli anni della Seconda guerra mondiale, quando è diventata un luogo di accoglienza per i bambini e per i tanti ebrei perseguitati, così come casa per i rifugiati nel 2015 o per i molti recenti profughi dell’Ucraina, il cui dramma portiamo nel cuore chiedendo il dono della pace. Questa casa resiste al vento e alla pioggia dell’individualismo, del presuntuoso e incosciente “salva te stesso”, tentazione che fa dimenticare che siamo fragili e tutti sulla stessa barca, che solo disarmando i cuori e le menti, e pensandoci insieme, possiamo essere più forti del male e resistergli.
La vostra Abbazia è stata ed è luce posta in alto che accende di speranza, educa con sapienza tanti giovani, fa alzare lo sguardo dalla nostra miseria, suggerisce di non essere mediocri, di non conformarsi allo spirito del mondo, di non ridurre il Vangelo ad uno dei tanti prodotti per il benessere individuale che creano solo illusioni, fragilità e dipendenze. È una casa di accoglienza, una porta aperta per i tanti pellegrini, per i feriti della vita, per tutti noi che siamo mendicanti di vita, futuro, eternità. Chi bussa alla porta non lo sappiamo, non possiamo selezionarlo prima, ma non ne abbiamo paura. San Martino non ebbe paura di un povero che moriva di freddo e lo rivestì, condividendo quello che aveva. Avrebbe potuto giudicarlo con indifferenza e supponenza, o pensare fosse un nemico (ci si impiega poco a farlo!), invece senza incertezze lo aiutò e riconobbe così Gesù, il primo di tanti consacrati con l’unzione che portano il lieto annuncio ai miseri che cercano vera consolazione, che fasciano le piaghe nascoste nei cuori spezzati e lo fanno più di qualsiasi professionista o tecnico, che proclamano la libertà degli schiavi come di chi è prigioniero delle dipendenze o dell’individualismo, che scarcerano i prigionieri liberandoli dalla condanna e dalla paura che rende il prossimo un nemico. Il monastero non è distante dalla storia e dalla nostra concreta vita vera, dall’umanità contraddittoria e sofferente per la quale Gesù, pieno di compassione e non di giudizi, ci chiama e ci manda. È un luogo concreto di fraternità, di dialogo, di predicazione esigente per imparare ad amare con tutta l’anima e con tutto noi stessi. Conoscete un amore che non sia così?
In questa casa tanti – non li potete mai misurare, ma certamente ve ne accorgete dall’accoglienza – sono aiutati a porsi di fronte a se stessi, a fare silenzio per ascoltare finalmente Dio e il prossimo, nella solitudine della coscienza e nella comunione della fraternità. San Martino è altruista, cioè ama l’Altro. L’individualismo, l’egoismo, invece, fanno male soprattutto all’individuo! È quell’amore appassionato che l’apostolo Paolo descrive nella lettera ai Tessalonicesi, tanto da ricordare che è stato “amorevole” in mezzo a loro come “una madre che ha cura dei propri figli”. “Ci siete diventati cari”. Ecco il legame che unisce i cristiani, familiare, affettivo, nei secoli che questa casa ha vissuto e trasmesso! La Chiesa è famiglia e solo questo permette alle nostre famiglie di essere comunità! Qualcuno recentemente ipotizzava la necessità di monasteri come fortezze, dove chiudersi per proteggere quello che altrimenti viene messo in discussione dalla secolarizzazione e da un mondo che ha perduto la cristianità. Chiudersi sarebbe esattamente il contrario di quello che ci raccomanda Gesù, che insegna ad andare incontro al prossimo senza due tuniche, ci manda sino ai confini della terra, cioè ovunque, protetti non perché distanti ma perché coscienti che il male è dentro e non fuori. La vostra è una casa nel cuore dell’Europa e ne rappresenta le radici più profonde, superando da sempre tutte le frontiere, come la stessa figura di San Martino testimonia. La santità non conosce limiti e parla l’unica lingua che non annulla le differenze ma la divisione, che parla al cuore di tutti in maniera familiare, vera globalizzazione che unisce e non isola.
Papa Francesco disse proprio in Ungheria nella sua storica visita: “L’Europa suscita l’entusiasmo di edificare una comunità delle Nazioni pacifica e stabile, mentre si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi e si esasperano giudizi e toni nei confronti degli altri”. A livello internazionale viviamo la difficoltà ad avere visioni grandi tanto che la politica rischia di avere “come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico”. Dobbiamo ritrovare l’anima europea: l’entusiasmo e il sogno dei padri fondatori, che hanno saputo guardare oltre il proprio tempo, oltre i confini nazionali e i bisogni immediati”. Proprio qui Papa Francesco aveva posto a tutti una domanda severa e importante: “mi chiedo, anche pensando alla martoriata Ucraina, dove sono gli sforzi creativi di pace?”. San Martino ci insegna a condividere. La carità ci porta a vedere Gesù e a riconoscere oggi quello che ascolteremo alla fine dei tempi perché “ogni volta che avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli le avete fatte a me”.
Ci aiuti San Martino ad essere amici di tutti, particolarmente dei poveri, e di farlo con un legame di amore, di piccoli gesti possibili a tutti. Nelle sfide terribili della guerra, della logica di divisione, dell’indifferenza diffusa, della fine della cristianità, sentiamo l’opportunità di seminare il Vangelo. Il vostro monastero continui a rappresentare una luce di speranza nel buio di tante oscurità. Sia come una madre che insegna a cercare Dio e ad imparare da lui la vera umanità. I fratelli che ci precedono nella via ci aiutino e intercedano per noi, perché sappiamo comunicare con gioia la presenza di Dio nel deserto di vita dove tanti cercano l’acqua di cui hanno bisogno, e che la sete ci ricorda che c’è. Amen