Bicentenario della fondazione degli Oblati di Maria Immacolata

Anche noi, come Esdra, abbiamo aperto il libro in presenza di tutto il popolo e lo abbiamo posto in alto. Il vangelo fisicamente ci aiuta ad alzare lo sguardo, a sollevarlo dal facile curvarsi su di noi, per aprirci al suo orizzonte. Dio parla, oggi, nel suo giorno: per questo inchiniamo il nostro capo quando il celebrante benedice con la parola della nostra salvezza. Chi si umilia dinanzi al Signore in realtà vede lontano ed il profondo della vita. Neemia, dopo avere aperto il libro della parola di Dio, invita tutti a non fare lutto, a non intristirsi, perché “la gioia del Signore è la nostra forza”. E’ il nostro banchetto, questa festa “bella e luminosa” dei lavoratori della prima e dell’ultima ora, del figliolo giovane che torna a casa e se lo accetta anche del maggiore. E’ questa festa di perdono, di lacrime asciugate; dove quelli che non hanno nulla di preparato ricevono nutrimento, perché non c’è festa vera e non c’è festa con Dio senza i poveri.
Abbiamo tanto bisogno di questa gioia che è davvero la nostra forza. Ed anche se ce ne accorgiamo poco quanto è vero il contrario, cioè siamo deboli senza di essa! La sua gioia dissipa i dubbi; libera dalla tristezza, giustificata dall’angustia, dall’inquietudine. E’ facile abituarsi alla tristezza, nutrita dall’esperienza, a volte dolorosa ed amara, dei nostri limiti e delle tante delusioni. La gioia del Signore, di essere amati da Lui, di stare insieme perché sua famiglia, rende luminosi, scalda i cuori, libera dall’insoddisfazione. La gioia è abbandonarsi ad un amore che ci viene donato, ricevere come bambini che non sanno e si lasciano amare. Se fossimo uomini della gioia! Certo, il cristiano è sempre debole, incerto, contraddittorio; sente il peso del peccato e le sue impronte nella sua vita. La gioia non è del perfetto, ma dell’amato, di colui che non disprezza l’amore gratuito ed esigente di Gesù. L’uomo triste è debole, insoddisfatto, capace solo di vedere i problemi. La gioia non è nostra, non è frutto delle capacità, ma della sua scelta di rendere bella la nostra vita con tanti doni. Se pensiamo che tutto sia un diritto restiamo tristemente a contare quello che abbiamo o ad esigere quello che pensiamo di meritare, come il giovane ricco.
Non c’è gioia da soli. La nostra gioia è fare parte di questo corpo che è uno solo ed ha molte membra. Oggi ringraziamo anche per i carisma di San Eugene, fondatore degli Oblati di Maria Immacolata, della loro famiglia e del servizio che da tanti anni essi prodigano in questa città e in questa zona. La nostra generazione ha paura di stare insieme, di legarsi; pensa che amare fino in fondo significhi annullarsi e finiamo per diventare come tante isole. La nostra gioia è fare parte di questo corpo che unisce Giudei e Greci, schiavi e liberi. Quanta sofferenza nelle tante divisioni che complicano ed induriscono i nostri cuori, rendendoli cupi e fragili! L’Apostolo parla di un solo corpo, che unisce chi è diverso, perché legato nell’amore. Scopriamo la gioia di fare parte di una famiglia così, in un mondo che ha paura e crede di trovare risposte nel pensarsi da soli e sicurezze alzando frontiere, pericolose sopratutto per chi le eredita. Non ci amiamo perché siamo uguali, ma perché tutti serviamo all’unico corpo. A volte siamo insofferenti e vorremmo che tutto il corpo si riducesse a noi. No. Noi però non amiamo tanto le differenza. Anzi! Ci mettono paura. Quello che rovina il corpo è la divisione, soprattutto quella sottile e silenziosa del fare ognuno come crede! Tutti siamo utili proprio perché non egocentrici, ma pensandoci insieme. E non smettiamo di essere utili! Che senso un corpo in cui sono tutti uguali? Un mondo fatto a mia somiglianza? Pensiamo di stare meglio, di avere meno problemi e paure? Ci impoveriamo e basta! Ed aumentano le difficoltà! Al contrario nel corpo la sofferenza dell’uno diventa di tutti. E quando si soffre l’amicizia ed il sostegno è già una guarigione! “Voi siete il corpo di Cristo”.Tutti siamo stati dissetati da un solo spirito. E non serve allora distinguersi, credersi migliori, coltivare l’arroganza per fare capire che siamo più importanti. Lo siamo se sappiamo vivere insieme!
Gesù proclama, solennemente, che la promessa, ascoltata con il distacco dell’abitudine, si realizza oggi. E’ oggi, non il passato. Il Regno inizia oggi. Il regno si comprende oggi solo aprendogli il cuore “Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete ascoltato”. Non siamo anche noi chiamati a vivere ed a rappresentare con il nostro amore per gli altri questo oggi di Dio? Non è questa la forza vera della nostra gioia, che si comunica a chi è povero, oppresso, prigioniero? “Oggi” possiamo vivere l’unità tra le diverse chiese cristiane. “Oggi” possiamo trovare le cure per i poveri ai quali un mondo ingiusto vuole negare quello che è possibile. “Oggi” possiamo aiutare ad uscire dal carcere della solitudine. “Oggi” possiamo trasmettere questa gioia! Alza gli occhi e guarda i campi che già biondeggiano! “Oggi”, se come Maria crediamo all’adempimento di quanto ci viene annunciato. Apriamo gli occhi del cuore e crediamo nella potenza del Signore, donata ai suoi, forza e speranza dei poveri. E’ l’oggi di Dio, l’unica vittoria della nostra povera vita. Oggi che non finisce mai.
Il carisma di S. Eugenio di Mazenod è proprio la comunità che si apre a tutti, perché tutti dobbiamo essere missionari e vivere la passione per i poveri! Egli voleva in particolare e donare il Vangelo ai poveri. E questo è profetico. I poveri non sono utenti, spettatori e oggetto di carità. Essi ci evangelizzano, perché ci fanno capire la misericordia e il valore dell’amore. Speso essi ci spiegano in maniera concreta il Vangelo, con la loro stessa vita. Essi sono da rispettare e a cui donare quello che abbiamo più caro: il Vangelo. Sant’Eugene iniziava dai più piccoli. Scriveva: “Voi contadini, cosa siete per il mondo? Per quanto sia utile il vostro lavoro siete valutati solo per le vostre braccia e se si tiene conto, a malincuore, dei vostri sudori è perchè fecondano la terra e la irrigano. Venite adesso ad imparare da noi cosa siete agli occhi della fede”. Poveri di Gesù Cristo, afflitti, disgraziati, sofferenti, voi tutti oppressi dalla miseria, fratelli miei, miei cari fratelli, miei rispettabili fratelli: ascoltatemi! Voi siete i figli di Dio, i fratelli di Gesù Cristo, i coeredi del suo Regno eterno, la porzione scelta della sua eredità; voi siete, come dice San Pietro, la nazione santa, voi siete re, voi siete sacerdoti, voi siete, in qualche modo, dei. Dentro di voi c’è un’anima immortale creata a immagine di Dio, Dio che un giorno è destinata a possedere; un’anima acquistata a prezzo del sangue di Gesù Cristo, più preziosa, davanti a Dio, di tutte le ricchezze della terra, di tutti i regni del mondo”.
Questo è il dono che oggi ricordiamo a duecento anni dall’inizio della vita religiosa degli Oblati e sentiamo la gratitudine per la loro storia, per questa Parrocchia in particolare, mentre chiediamo di essere anche tutti  noi “oggi” generosi missionari dei suoi doni, pieni della sua misericordia verso tutti.

24/01/2016
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