Celebrazione della Passione del Signore

Fermiamoci sotto la croce. Impariamo ad adorarla, per vincere le abitudini, per contemplare l’amore e farne qualcosa di intimo, per cambiare nel profondo, per essere attratti da un amore così grande. Diceva Papa Benedetto XVI: “Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale”. Solo così impariamo a dire al Signore parole di confidenza. I compianti, così legati alla nostra Chiesa di Bologna, ci aiutano a essere noi i personaggi, drammatici ma tanto umani, che con atteggiamenti diversi si confrontano con il dolore. I cristiani non amano la croce, ma il crocifisso e come chi ama per davvero restano, non possono lasciarlo solo. Sperimentiamo, come avviene quando il male ci raggiunge personalmente, amarezza e solitudine. Tutto appare vano, inutile di fronte l’abisso che inghiotte la vita e ci sentiamo perduti nell’immensità di un universo che si rivela freddo, indifferente, nel quale svanisce il debolissimo soffio della vita. Oggi è l’ora della delusione, delle domande sul senso, sul futuro, sulla nostra debolezza, sul limite della vita e quindi su chi siamo veramente. Oggi finisce la speranza dei discepoli di Emmaus e di tutti i discepoli, che pensano inutile volere bene, che in fondo aveva ragione chi gridava “salva te stesso”, che i sogni finiscono come vollero per invidia i fratelli di Giuseppe, che non sapevano accettare il loro fratello diverso da loro, che sognava. Se i sogni finiscono rimane solo la realtà, il presente, quello che serve a me, oggi. Senza sogni ci arrendiamo alla notte. In realtà solo gli uomini capaci di sognare “a occhi aperti e di giorno” hanno regalato all’uomo il futuro. Gesù vuole vincere la paura, perché questa non può nulla contro la fede. Sotto la croce sentiamo quanto è inaccettabile la violenza che ancora oggi costruisce tante croci. Ce n’è tanta intorno a noi ed anche dentro di noi, semi di divisione, nascosta nelle mani e nelle parole, nell’aggressività virtuale e reale, nel contrapporsi invece di cercare quello che unisce. I semi di divisione sono anche essi, sempre, fertili. C’è tanta discriminazione, si ripresentano vecchi e nuovi razzismi che umiliano l’uomo, tanto che non ci riconosciamo più fratelli tra di noi. Tra pochi giorni saranno 50 anni dall’uccisione del Pastore Martin Luther King, che sognava che i suoi quattro figli avrebbero vissuto un giorno senza essere giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere. Papa Francesco parla di una terza guerra mondiale a pezzi. King, come tanti che avevano visto la seconda guerra che mandava a pezzi la terra e distruggeva tutto e tutti, diceva: “Non possiamo sopravvivere a lungo separati spiritualmente in un mondo che é unito dal punto di vista geografico”. “In un tempo in cui i veicoli si slanciano attraverso lo spazio esterno e missili balistici telecomandati aprono strade di morte attraverso la stratosfera, nessuna nazione può attribuirsi la vittoria nella guerra. Una guerra così detta limitata lascerebbe poco più che una funesta eredità  di umanità sofferente. Una guerra mondiale lascerebbe solo ceneri ardenti come muta testimonianza di una razza umana la cui follia ha portato inesorabilmente alla morte prematura”. Quante croci alzate oggi dalle guerre. Quante morti per ordigni sempre più potenti mentre é sempre più debole la volontà di dialogo e di pace. Rischiamo di abituarci, di passarci davanti alla croce senza provare compassione, senza nemmeno guardare, proprio come la folla di Gerusalemme. Sembra che si debba riempire gli arsenali, non di svuotarli! Se non sogniamo di trasformare le lance in falci se ne costruiranno sempre tante e più micidiali. Quanta solitudine accompagna la sofferenza! Quanti uomini sono soli. In Emilia il 33% delle famiglie sono mononucleari. E quanta solitudine per chi trova una porta chiusa, viene scartato come gli anziani soli o quanti scappano dall’inferno della fame e della guerra. Sono calati gli arrivi, del 70%, ma sono aumentate percentualmente le morti, del 75%, ha detto l’Agenzia dell’ONU OIM. Ecco perché vogliamo restare come Maria e Giovanni sotto la croce. Ecco cosa vuole essere la Chiesa: una famiglia di poveri uomini travolti dalla sofferenza, che non vogliono però rassegnarsi, che non possono e non accettano di indurirsi e scelgono di restare e soffrire con lui. L’amore è fedele. Vedere l’amore appeso sulla croce ci aiuta a piangere. E’ il primo modo per non dire “salva te stesso”, grido che si ritorce contro di noi perché tutti abbiamo in realtà bisogno di essere salvati e quando lasciamo soli invece di aiutare condanniamo loro e noi alla fine. Guardando la croce capiamo il nostro peccato, ne vediamo le conseguenze, ma anche inizia la nostra umanità, perché ritroviamo noi stessi e la decisione di cambiare. Il pianto ci purifica gli occhi, sentiamo insopportabile il dolore e smettiamo di appassionarci per una vita che non esiste. Solo così capiamo che le croci non sono immagini virtuali ma sofferenze vere. Contempliamo l’esempio di un amore fino alla fine, quello che hanno capito e imparato i tanti martiri che nel nome di Gesù hanno dato la loro vita per il prossimo. Gesù ci chiede di non avere un sentimento vago di filantropia, ma di amare e difendere l’uomo e di combattere il suo nemico, di svelare le cause, di rivelare le complicità, di cambiare iniziando dal nostro cuore. La croce ci svela l’inganno delle felicità senza sacrificio, di un benessere inesistente, di Prometeo che crede essere più forte del male. Dio con il suo amore fino alla fine ci fa diventare uomini, perché ci aiuta ad affrontare il problema della vita, che è il male e la morte, ci libera da quel paradosso di crederci senza fine, di affidarci ad un benessere senza lottare contro il male, finendo nell’ossessiva ricerca di una felicità drogata. Non sfuggiamo il giudizio della croce, perché ci aiuta a capire noi stessi, le conseguenze delle nostre scelte, delle omissioni, dei tradimenti, dell’ira, delle complicità, delle corruzioni per un po’ di benessere. La croce rivela la volontà di Dio. Gesù sogna di vincere il male, cerca la domenica, vuole la vita non la morte e per questo la perde, perché altrimenti il chicco di grano resta solo. La croce è la misericordia piena di Dio che pacifica il cielo e la terra e abbatte il muro della divisone. La verità è Lui, mistero di amore che si dona anche per me.
Davanti ad un amore così, anche noi crocifissi con Lui, possiamo aprirci finalmente e gli chiediamo: “Signore ricordati di me”. Signore ricordati di tutti. Ricordati della nostra povera vita per essere con Te nel tuo Paradiso. Ricordati di tutti coloro che sono nel pianto, crocifissi e sotto la croce. Ora sappiamo dove stai e dove invece siamo noi, che scappiamo, guardiamo con indifferenza e con crudele scherno ti sappiamo solo dire “salva te stesso”. Tu, infatti, Signore non salvi te, ma salvi noi. Per questo sei lo spiraglio di luce che ci dona la certezza personale di essere infinitamente amati, al di là di tutto. Amen

30/03/2018
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