S. Messa nella Cena del Signore

Come viviamo i giorni della Pasqua si vede come viviamo tutto l’anno. Viviamoli con cuore commosso e aperto e lasciandoci toccare dal suo amore. “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi”. Gesù vuole che anche noi facciamo come lui, impariamo vedendo e facendolo Lui non abbiamo paura a farlo noi. E’ identico al “fate questo in memoria di me” con cui ci offre il suo corpo nell’Eucarestia. Sono le due vere memorie di Cristo: l’amore vicendevole e il pane di questa mensa che anticipa quella del cielo, unico nutrimento di amore che è il denaro di amore per i lavoratori della sua vigna chiamati a tutte le ore del giorno. Un padre insegna ai figli non con parole vuote o facili esortazioni, ma con la sua vita, con il suo esempio. Le parole di Gesù sono accompagnate dai gesti, dal suo corpo. E’ esattamente il contrario della vita virtuale che tanto ci attrae, piena di facili e infinite indicazioni, di ricette di felicità, tutta soggettiva tanto che ci accontentiamo delle nostre sensazioni, povera di vita vera e alla fine senza il prossimo. Gesù è un uomo vero che ci indica la vita vera, non una connessione virtuale che si spegne a piacimento. Dare l’esempio significa mostrare che è possibile farlo e non chiedere agli altri quello che non si vive. E così dobbiamo fare anche noi. Senza esempi e senza vita vera il Vangelo diventa una verità lontana che non scalda il cuore di nessuno, un riferimento morale che non entusiasma i cuori. Gesù aggiunge: “Sapendo queste cose siete beati se le mettete in pratica”. Siete beati. Il servizio al prossimo rende felici oggi ed è la gioia che anticipa quella che vivremo pienamente domani. In questo anno della Parola capiamo come essa non è una lezione, ma una proposta di amore che si comprende vivendola. Diceva Santa Caterina di Bologna che “la memoria della Santa Scrittura è da portare sempre nel nostro cuore”, non con un atteggiamento da scolaro, ma affettivo, come “lettere del vostro celeste sposo”.
Gesù si mise a lavare i piedi. Non aspetta una richiesta rivoltagli ma la anticipa perché conosce quanto ognuno è sempre bisognoso di amore. Non lascia che ognuno sia costretto a pensare a se stesso, ma ci insegna ad amarci gli uni gli altri. La gratuità non è solo essere liberi da interessi e convenienze e non cercare alcuna ricompensa, ma anche muovere il primo passo, andare incontro con la semplice e umile disponibilità. Non c’è gioia restando in piedi, diritti, fermi nel proprio ruolo o nelle abitudini. Tutti abbiamo bisogno di qualcuno che si chini verso di noi, come anche noi di chinarci verso i fratelli e le sorelle, perché il nostro vero specchio sono gli occhi del nostro prossimo e li possiamo vedere solo da vicino, chinandoci su di essi.
Il più grande è colui che serve. Ed il Signore ci vuole grandi, non piccoli, presuntuosi, che si accontentano di sopravvivere, che finiscono per lamentarsi, pensare male degli altri e si sentono in diritto di coltivare mormorazioni e giudizi! Se non si serve si resta soli e finisce per rubare amore usando gli altri. Invece la felicità che resta in noi, che nessuno ci può portare via, nemmeno la morte, è quella che doniamo agli altri. L’amore non dato è perso; l’amore donato non è mai perduto. Per questo domandiamoci questa sera in cui il Signore si china su ognuno di noi, cosa possiamo fare per il prossimo. Cerchiamo un gesto per aiutare gratuitamente qualcuno che ha bisogno. Farlo ci renderà grandi di cuore e ci fa scoprire anche le nostre capacità che solo amando si rivelano. Lasciamoci amare da Gesù per imparare ad amare come Lui vuole. Serviamo non i buoni, quelli che pensiamo lo meritano, ma tutti, perché l’amore non è per i puri, per quelli che non pongono problemi, ma per fratelli così come sono. Anzi: amiamo la loro debolezza, quella che spesso giudichiamo e giustifica freddezza o condanna, perché tutti siano liberati dal male e aiutati ad essere migliori.
Nell’intimità di questa famiglia, resa tale da Gesù che ci ha chiamato, contempliamo questa sera le tre P – Pane, Parola, Poveri – unite in un’unica realtà di amore. I Poveri fanno parte di diritto di questa famiglia e sono i fratelli più piccoli bisognosi di maggiore protezione. La Parola continua a rendere vivo e personale il suo amore per noi. La sua presenza nel Pane, sacramento dell’Eucarestia, nutre il nostro corpo e la nostra anima. L’una rimanda all’altra e la completa. Questa Eucarestia in maniera tutta particolare ci fa vivere la nuova alleanza, il patto che non si rompe più tra Gesù e noi, tra di noi e con i “tutti” per i quali il suo sangue è versato. E’ questo il desiderio di Gesù: dirci che lui è con noi, nostro alleato, più forte del nemico che è il male, per sempre. Quanto ne abbiamo bisogno in un mondo e in una vita così divisi, dove sembra che possiamo contare solo su noi stessi e diventiamo così paurosi e aggressivi! Nutriti dallo stesso pane siamo uguali e amati tutti dello stesso amore che, proprio perché amore, ha per ognuno un significato unico e speciale. Noi usiamo proprio la parola “comunione” per designare l’Eucaristia. Diciamo: “fare la comunione”. E’ vero: entriamo in comunione con Gesù, membra del suo corpo, siamo una cosa sola con Lui e il suo amore ci unisce a quello dei fratelli. Per questo l’Eucarestia è l’immagine più vera della comunità e questo Pane ci conduce ai fratelli. Saremo una cosa sola, comunione piena e il cielo inizia ogni volta che mettiamo in pratica il suo comandamento. Chi riconosce Gesù nell’Ostia santa può “fare” la comunione amando i fratelli, riconoscendolo in chi soffre, ha fame e sete, è forestiero, ignudo, malato, carcerato; ed è attento ad ogni persona. “Facciamo” comunione sconfiggendo l’individualismo che ci chiude in noi stessi, librandoci dall’idolatria dell’egoismo, che è il peccato perché ci isola, ci fa diffidare dell’amore e ci condanna a morire in noi stessi. Quando l’uomo si crede padrone diventa violento e incapace di fraternità. Gesù ha sempre fiducia in noi. Noi facilmente abbiamo, invece, scarsa fiducia verso gli uomini e verso il futuro, a volte anche verso noi stessi, tanto che restiamo chiusi, in attesa di una sicurezza che non sarà mai sufficiente. Gesù ha fiducia non perché incosciente, ma perché ama, perché senza fiducia si resta prigionieri della paura, si ha paura del futuro, si finisce per vedere solo il male e le difficoltà. Sì, è vero: in questa casa si entra per incontrare Dio e si esce per amare gli uomini con la fiducia di Gesù.
Signore, ti basta che io mi lasci amare e nutrire da Te. Nella comunione sei Tu che mi ospiti: mi doni la vita, mi fai capire la verità che è essere amato da te, mi apri la strada della vita quando tutto sembra finito. Io sono il figliolo prodigo che dal deserto dell’amore torna alla casa dell’amore, nel giorno dell’amore perché Tu sei amore. Signore, gli occhi della fede Ti vedono nell’eucarestia, Ti ascoltano nella Parola, perché il tuo Pane mi aiuti a vederti, a servirti nei fratelli e nei poveri. Quando faccio la comunione con fede inizio a vederti ovunque e in tutti. Grazie,”mio Signore e mio Dio”.

29/03/2018
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