Santa Messa Crismale

Oggi la prima parola è grazie. Quanto è vero che chi ringrazia Dio è più consapevole di essere amato e diventa più forte perché lodando chi è buono si diventa migliori e partecipi della bontà. Grazie a Dio, allora, di essere partecipi della sua consacrazione che ci dona forza e ci permette di comunicarla a tanti. Grazie di essere preti, chiamati dal suo amore che sa trasformare la nostra miseria e renderla utile. Grazie perché non ha mai umiliato i nostri doni, anzi, li ha valorizzati, ci ha aiutato a non nasconderli per paura, a non dissiparli per orgoglio o per amara disillusione, che sconsiglia ogni entusiasmo. Grazie per la sua misericordia tanto più grande del nostro peccato, che colma gli abissi del nostro cuore. Grazie perché siamo parte di un popolo grande, senza confini, globalizzazione dell’amore che ci rende fratelli universali e cittadini del mondo. Grazie per questo tempo di ricerca e di speranza, che ci strappa dalla tentazione di restare a guardare il passato e ci aiuta a scorgere oggi non rovine e guai ma, anche nelle avversità, “i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa”. Grazie perché siamo incoraggiati a rimetterci in viaggio, perché ci sentiamo confermati nel cammino intrapreso e spinti a comunicare a tutti la gioia del Vangelo. Grazie perché apparteniamo a Cristo liberi dai conformismi alla moda, dallo gnosticismo soggettivo e povero di vita vera e dal pelagianesimo, individualista ed esigente ma senza il suo amore e la sua grazia, tutti e due senza Cristo. Grazie perché ci ama come siamo ma non si rassegna e ci chiede di cambiare.
Rinnoviamo allora, con questa gioia che dissipa le nostre consapevoli mancanze, le promesse che al momento dell’ordinazione abbiamo fatto davanti al nostro vescovo e al popolo santo di Dio. Contempliamo con noi tutti i preti defunti questo anno ad iniziare da, ad iniziare dal Cardinale Caffarra, che abbiamo salutato e ringraziato il 1 ottobre e che dal cielo continua a pregare per la nostra Chiesa di Bologna; i nostri sacerdoti Giovanni Pasquali, Don Giovanni Cattani, Bruno Magnani, Pier Paolo Brandani, Umberto Girotti, Novello Pederzini, Ivo Cevenini, Ivo Vannini e i diaconi Valeriano Franchini, i religiosi Boni Remigio O.F.M. Facchini Elia, O.F.M. Fellini Luca, O.F.M. Santi Serafino, O.F.M. Simoncini Enrico, S.J. Valente Francesco, B. Lorenzetti p. Luigi, S.C.I. Massi don Giulio, F.D.P. Nella luce e nella pace. Sono uniti a noi anche se lontani i sacerdoti fidei donum nella Diocesi di Iringa, Don Enrico Faggioli e Don Davide Zangarini; don Athos Righi in Giordania; don Luca Bolelli in Cambogia e i tanti missionari bolognesi sparsi nel mondo (per conoscenza ricordo per tutti Padre Marchesini medico in Mozambico), tutti i membri della Famiglia dell’Annunziata e della Visitazione. Ricordo con tanto affetto Mons. Bettazzi, Stagni e Ghirelli e abbracciamo quanti per malattia o altro sono impossibilitati a venire. Tutti vorrei sentissero il nostro comune affetto e sappiano quanto sono amati dal Signore e da questa Chiesa.
Rinnovare è sempre anche rivivere e riscoprire, ricevere di nuovo la stessa forza che ci è chiesto di amministrare. Quanto è vero che «Per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti» (Mt 24,12), tanto che si arriva a preferire “la nostra desolazione al conforto della sua Parola e dei Sacramenti”. E’ intima e fortissima gioia potere pronunciare di nuovo il nostro personale “lo voglio” tutti insieme, generazioni e carismi diversi, tutti figli dell’unica madre che è questa Chiesa di Bologna. Farlo insieme relativizza il senso di particolarità, libera da giudizi e antipatie, modera la tentazione di autoreferenzialità, ci fa scoprire l’essenza della nostra fraternità, certamente più profonda e vera di quanto ci sappiamo dire. Non accettiamo mai, per nessuna ragione, logiche divisive – nessuna è mai giusta! -perché sono sempre complici con il tentatore che vuole indebolire la Chiesa. Non basta non parlare male perché dobbiamo impegnarci ad essere benevoli, a gareggiare nello stimarci a vicenda. Siamo chiamati a sostenerci, imparando a portare gli uni i pesi degli altri. Se crescerà questa fraternità tra noi crescerà anche tra le nostre comunità. E’ la diocesanità che indicava Papa Francesco, capace di portare i pesi gli uni degli altri e di adempiere così la legge di Cristo. Scrive Sant’Agostino: “Durante questa vita, mentre cioè siamo in via, portiamo a vicenda i nostri pesi per poter arrivare a quella vita priva di ogni peso. Quando i cervi guadano un corso d’acqua verso un’isola alla ricerca di pascoli, si allineano in modo da porre gli uni sugli altri il peso delle loro teste, appesantite dalle corna, cosicché quello che segue, allungando il collo, posa la testa sul precedente. E poiché è necessario che uno preceda gli altri, senza avere nessuno davanti a sé su cui appoggiare la testa, si dice che facciano a turno: chi precede, affaticato dal peso della testa, retrocede all’ultimo posto e gli succede quello di cui sosteneva la testa, quando esso guidava il branco. E così, portando a vicenda i loro pesi, passano il guado fino a raggiungere la terraferma. Niente dimostra tanto bene l’amicizia quanto il portare il peso dell’amico”. E’ l’unione tra la celebrazione crismale e quella in Coena Domini con tutte le nostre comunità. Non si capisce una senza l’altra! Papa Benedetto ricorda come Gesù usa il termine fratello solo per i discepoli e per i poveri. Chi si lascia lavare i piedi impara da Lui a farlo ai fratelli e a capire, sempre dopo, la beatitudine d mettere in pratica la Parola. Le tre P si sovrappongono, anche se a volte si inizia da una delle tre, perché sono unite e portano tutte a Cristo, unica via, verità e vita.
Abbiamo tra noi sensibilità, caratteri, doni diversi – grande ricchezza -ma in realtà tutti simili perché tutti generati dall’incontro di Cristo con la nostra umanità e la Chiesa. Più cerchiamo di essere suoi imitatori rassomiglieremo di più tra noi e, pur diversi, saremo uniti nella comunione. C’è serena urgenza di farlo, per i tanti che aspettano, per non accettare di abituarci mai alla sofferenza e all’ingiustizia, per non finire di crederci padroni, perché è ora che si adempie la Scrittura che abbiamo ascoltato e, anche se mancano quattro mesi alla mietitura, siamo chiamati oggi ad alzare gli occhi e guardare i campi che già biondeggiano. E non stanchiamoci di volere tanti che con noi siano lavoratori delle messi. A volte sentiamo il peso delle responsabilità, l’incertezza del cammino e anche la tentazione di essere soli. La consapevolezza del dono e della grazia ricevuta ci chiama a essere sempre di più uomini della comunione, che la presiedono e la servono con gioia e rispetto perché luogo santo. E’ amore che ci fa amare ed essere amati. Consacrati siamo certi che l’amore sicuramente sarà fecondo e che “tale fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata”. “A volte ci sembra di non aver ottenuto con i nostri sforzi alcun risultato, ma la missione non è un affare o un progetto aziendale, non è neppure un’organizzazione umanitaria, non è uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra propaganda; è qualcosa di molto più profondo, che sfugge ad ogni misura. Forse il Signore si avvale del nostro impegno per riversare benedizioni in un altro luogo del mondo dove non andremo mai. Lo Spirito Santo opera come vuole, quando vuole e dove vuole; noi ci spendiamo con dedizione ma senza pretendere di vedere risultati appariscenti. Sappiamo soltanto che il dono di noi stessi è necessario. Impariamo a riposare nella tenerezza delle braccia del Padre in mezzo alla nostra dedizione creativa e generosa. Andiamo avanti, mettiamocela tutta, ma lasciamo che sia Lui a rendere fecondi i nostri sforzi come pare a Lui” (EG 279). Siamo suoi e al centro di tutto c’è Lui, l’unto da cui sgorga l’olio che consacra, guarisce, consola, conferma, accompagna.
In un mondo globalizzato e frammentato, lacerato dalle guerre e minacciato da tanta violenza, pieno di paura e di rabbia, segnato da un diffuso e vorace individualismo, siamo testimoni di una vita attraente e luminosa, gratuita e per tutti, riflesso dell’umanità di Cristo e forte della sua speranza. La nostra “fede innamorata”, come diceva il Cardinale Biffi, ci aiuti ad ascoltare la Parola del pellegrino che non si stanca di affiancarsi  per affiancarci noi a tanti uomini intristiti e disillusi, perché gli occhi si aprano e vedano la presenza luminosa di Cristo.

29/03/2018
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