«Come può nascere un uomo quando è vecchio?» Gv 3, 4

La Chiesa di Bologna nel cammino sinodale della Chiesa italiana. Annunciare il Vangelo in un tempo di rigenerazione. Vangelo-fraternità-mondo.

I. IL CAMMINO SINODALE

  1. L’avvio del cammino sinodale

Carissimi,

in occasione della loro ultima assemblea generale i Vescovi italiani, nel maggio 2021, hanno deciso di avviare un “cammino sinodale” della Chiesa che è in Italia. Negli ultimi anni se ne era parlato molto, a proposito e non, con atteggiamenti diversi: timore, fastidio, entusiasmo per la possibile e attesa soluzione dei principali problemi, paura di percorsi che complicano inutilmente il cammino. Hanno spinto a questa decisione alcuni interventi, a mano a mano sempre più chiari e decisi, di Papa Francesco, fino all’ultimo, proprio nel corso dell’Assembla della CEI, quando ha proposto «la necessità di un cammino sinodale “dall’alto in basso” e dal “basso in alto”, dalle piccole comunità, dalle piccole parrocchie. Questo ci chiederà pazienza, lavoro, far parlare la gente, che esca la saggezza del popolo di Dio». A braccio ha aggiunto: “Il protagonista del Sinodo deve essere invece lo Spirito Santo”.

  1. Lo Spirito condizione del cammino

È dalla docilità allo Spirito e quindi da un atteggiamento anzitutto di preghiera e di ascolto interiore, personale e comunitario, che maturiamo il motivo per cui metterci in cammino, l’intelligenza per orientarci, per comprendere le sfide cui siamo chiamati, per cogliere le opportunità indicate dai segni dei tempi, per trasmettere la fede e comunicare il Vangelo a tutti. L’inizio del cammino è l’invocazione del Paraclito che Gesù assicura ai suoi che sono nel mondo, sapendo che siamo sempre incapaci di portarne il peso (Gv 16,13). È lo Spirito che ci “guiderà a tutta la verità”, perché “dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future” (Gv 16,13). Nelle tribolazioni è la nostra forza: “Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!» (Gv 16,33).

  1. Un cammino iniziato da Firenze

In realtà Papa Francesco ne aveva iniziato a parlare proprio a Firenze, nel suo discorso da alcuni definito “l’Evangelii Gaudium per la Chiesa in Italia”, nel novembre 2015. La preoccupazione principale non era affatto organizzativa o programmatica. Il mondo, aveva detto, ha bisogno dell’umanesimo che può venire “solamente a partire dalla centralità di Gesù, scoprendo in Lui i tratti del volto autentico dell’uomo”. All’inizio di ogni tratto di questo cammino abbiamo sempre bisogno di invocare lo Spirito per farci rinnovare e condurre, perché è lo Spirito che ci aiuta a contemplare il volto di Gesù e a comprendere la sua volontà oggi.

  1. Umiltà, disinteresse, beatitudine

Dai sentimenti di Cristo Gesù nascono alcuni sentimenti che il Papa indicava come decisivi per il nostro cammino: “l’umiltà, per liberarsi dall’ossessione di preservare la propria gloria e perseguire la gloria di Dio; il disinteresse, cioè cercare la felicità di chi ci sta accanto per non rinchiuderci in strutture che ci danno una falsa protezione e per potere seguire l’impulso dello Spirito Santo ed essere uomini che si donano secondo il Vangelo di Gesù; la beatitudine, perché il cristiano affronta il sacrificio quotidiano di un lavoro svolto per amore e lo affronta per amore”.

  1. Don Camillo: vicinanza alla gente e preghiera

In quell’occasione indicava tre santi come testimoni, Francesco di Assisi, Filippo Neri e don Camillo, (e questo ci riguarda direttamente!) perché «di sé don Camillo diceva: “Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro”. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte».

  1. La domenica

La nostra relazione, che deve essere comunione umana ma è anzitutto spirituale, si rivela piena intorno a Gesù che cerca con pazienza di entrare e sedersi a tavola con noi e per questo sta alla porta e bussa. La relazione per noi è fraternità, perché a questo siamo chiamati e la contempliamo particolarmente la domenica, quando siamo invitati, peccatori come siamo, alla mensa della sua Parola e del suo corpo spezzato. Qui c’è tutta la responsabilità sinodale della Chiesa, popolo di battezzati, che vive la sua chiamata sacerdotale nutrendosi del Pane della vita eterna (“Signore, da chi andremo, tu hai parole di vita eterna” Gv 6, 68) e del suo corpo spezzato per noi. Ecco, nella celebrazione domenicale vediamo la nostra povera umanità trasfigurata dallo Spirito che rivela proprio nella e per la nostra debolezza la sua presenza e la grandezza della nostra chiamata. Per questo non dobbiamo mancare alla celebrazione e dobbiamo curarla come ciò che abbiamo di più caro.

  1. Una comunità di amore

Molti sono stati colpiti dall’espressione: “cristianesimo affettivo”. Questa è l’eredità dei mesi di pandemia: un cristianesimo che si fa affetto per le persone, vissuto come cura, partecipazione, rapporto personale, senso caldo di responsabilità. È il grande dono che abbiamo vissuto in questi mesi di tanta solitudine e di forzata distanza. La Chiesa è seme di fraternità. Cipriano di Cartagine chiama la Chiesa “Fraternità”, essa crea la “cultura dell’incontro”, ricompone il tessuto umano lacerato. “Significa – dice la Fratelli tutti – che come popolo ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti” (n. 216).

  1. La lezione della pandemia

In questi mesi abbiamo scoperto che siamo tutti fragili, tutti connessi gli uni agli altri. Questa connessione, però, deve diventare di fatto una scelta spirituale e sociale, una fraternità “effettiva” che deve diventare “affettiva”, piena di compassione, che aiuta l’io a trovare se stesso nell’incontro con l’altro. Fratelli tutti è la vera risposta alla pandemia. Per questo non possiamo mai rassegnarci al dolore degli altri, che la tempesta della pandemia ha rivelato e generato. Il mondo anestetizza la sofferenza, la rimuove, fugge dal senso del limite, dalla vulnerabilità, dalla morte. Il benessere non sopporta questa fragilità e la vuole cancellare: ci sentiamo traditi, a volte la sentiamo come fosse una vergogna da nascondere, diventa ossessione e isolamento, invece di moltiplicare la vicinanza e la solidarietà. La Parola che ascoltiamo, l’Eucarestia, la preghiera, ci rendono partecipi al dolore degli altri. Ci ha insegnato anche che i nostri comportamenti incidono su tutti, che siamo responsabili della nostra libertà.

  1. Un tempo difficile, di crisi

È stato un tempo difficile, di grandi contrasti, che ha rivelato le nostre difficoltà personali e di comunità, ha accelerato processi evidentemente già presenti da tempo che non conoscevamo o non volevamo valutare; ci ha tolto tante giustificazioni o illusioni, per cui credevamo di potere continuare come si faceva prima, i riferimenti per cui ci sentiamo contenti o al contrario affaticati, pensiamo che le cose “vanno bene” oppure ci sembrano “senza futuro”. In realtà la pandemia ci invita a cambiare i nostri riferimenti e a saper leggere con la sapienza del seminatore, del lavoratore, dell’umile, la terra che abbiamo davanti, altrimenti deludente. La pandemia è stato l’irrompere della storia, la vita così com’è, il mondo che ignoravamo e questo può farci ricomprendere cosa significa essere cristiani chiamati ad amare sempre. Gli amici di Gesù non cercano e non amano la sofferenza, ma amano fino alla fine, non si arrendono e guardano con compassione il dolore che colpisce la vita di ogni uomo.

  1. Pieni dello Spirito

Lo Spirito è amore che in questo mondo cauto e stanco genera entusiasmo – che vuol dire Dio in noi – per non arrendersi al male e sentire la forza del suo amore nelle fitte tenebre del mondo. Lo Spirito non lo misuriamo certo con le cose da fare, anche se lo Spirito illumina le nostre menti con l’intelligenza del cuore ed ispira propositi che vanno sempre oltre il limite angusto della rassegnazione e dell’amore per sé. Lasciamoci abitare e rinnovare dal dono di Dio per capire dove ci porta il vento dello Spirito! Facciamoci prendere dall’entusiasmo della fede, perché il male ci vuole deboli, mentre il Signore innalza l’umile e ci rende capaci di grandi cose. Il beato Pino Puglisi, martire della mafia in Sicilia, affermava con semplicità: “Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto”. Mettiamoci in cammino non per obbligo ma per questo pathos, cioè sentiamo in noi la forza del Signore che rende nuovo quello che è vecchio.

  1. Camminare verso dove?

A volte ci sembra di essere sempre gli stessi. Altre volte pensiamo che dobbiamo risolvere qualcosa prima per poi metterci in cammino. Spesso siamo spenti dalla disillusione per le esperienze vissute, magari pieni di rimpianti per i tempi passati, per le occasioni perdute che sconsigliano nuovi sogni e entusiasmi. Papa Benedetto parlava della sobria ebrietas che ci permette di vivere a distanza di tempo, feriti dal nostro peccato, la gioia della Pentecoste. Quello che stiamo vivendo è proprio il tempo dello Spirito. Non ignoro i problemi, le lentezze, le fatiche, le domande, a volte davvero lancinanti sul nostro presente e il nostro futuro. Come Nicodemo spesso mi interrogo con tanto dolore personale: come è possibile sperare, se siamo così? Quando per gnosticismo ci accontentiamo delle nostre idee e ci innamoriamo delle nostre formule (quelle per cui pensiamo di avere ragione e ci sentiamo incompresi o che diventano motivi per rompere la comunione perché più importanti di questa) o quando per pelagianesimo crediamo di risolvere tutto con le nostre opere e ci riempiamo di cose da fare, per poi sentirci schiacciati da queste e restare inerti o pieni di affanni senza sapere il perché come Marta, capaci solo di lamentarci della cose che non vanno e dei problemi che dobbiamo risolvere.

  1. La rotonda

A volte sembra che camminiamo come intorno ad una rotonda e ci ritroviamo inesorabilmente al punto di partenza! Questo avviene, perché smarriamo la direzione, perché abbiamo paura di perderci, non ci lasciamo condurre dallo Spirito. Dobbiamo uscire dai percorsi definiti e rassicuranti e accettare di andare in tutte le direzioni, quelle che ci portano ad incontrare l’altro dove esso si trova. Senza paura. Bologna è un incrocio di tante strade. Vorrei che diventasse punto di partenza per tanti possibili incontri.

  1. Siamo vecchi

Certo misuriamo i nostri problemi, le risposte insufficienti, le previsioni deprimenti. Ricordiamo con amarezza le occasioni perdute, i problemi oggettivi che segnano le nostre persone e le nostre comunità. Lo facciamo non per deluderci e nutrire la già fitta fila dei rassegnati cui si contrappone quella dei cultori del passato. Vogliamo guardare i tanti doni e le nuove opportunità che si presentano, senza ignorare i problemi e senza rinunciare a cercare le risposte che il Signore non ci farà mancare! Soprattutto vogliamo riconoscere i doni che ci aiutano a guardare il nostro futuro.

  1. Una Chiesa vicina dopo tanto isolamento

Vogliamo andare verso “una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza”. “Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”. Proprio a Firenze Papa Francesco lasciò un’indicazione chiarissima “per i prossimi anni: (…) in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni Diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno” (10 novembre 2015). Queste parole coincisero per me con l’inizio del servizio pastorale nella chiesa di Bologna, avvenuto a distanza di solo un mese. Mi sembra che le assemblee di zona, gli ambiti, il cammino di cambiamento che identifica a mano a mano le sue espressioni formali, l’assemblea cittadina, gli organismi di partecipazione, siano stati, con tutti i limiti, alcuni dei momenti della conversione pastorale e missionaria di questi anni, perché desideriamo una Chiesa vicina a noi e perché sia così deve essere vicina alla gente.

  1. Artigiani di comunità

Papa Francesco era tornato a chiedere, non a caso in occasione di un convegno dei catechisti italiani di iniziare un cammino sinodale, invitando a leggere i segni dei tempi e ad accogliere le sfide presenti e future. “Non dobbiamo aver paura di parlare il linguaggio delle donne e degli uomini di oggi, di elaborare strumenti nuovi, per trasmettere la semplicità del kerigma tutto intero, rinnovando il senso di appartenenza che sta alla base di una comunità e che il virus ha messo alla prova” (30 gennaio 2021). Ci ha messo in guardia da strategie elitarie, perché dobbiamo cercare e amare l’intero “popolo di Dio”. “Questo è il tempo per essere artigiani di comunità aperte che sanno valorizzare i talenti di ciascuno”. Ecco, sono parole che sento rivolte a ciascuno di noi. Non tiriamoci indietro, non accontentiamoci di parlarci addosso, sopra gli altri o degli altri, ma senza incontrarli! Diventiamo artigiani di comunità per spendere il nostro dono, anzitutto con la presenza, mettendolo a servizio, vincendo le paure e l’egocentrismo. Artigiani di comunità significa ricordarci che abbiamo una casa, con tante dimore come quella del cielo. In questa casa nessuno vive da ospite, perché è la nostra casa. Rendiamola bella con la presenza (quando manchi tu, qualcosa manca), la preghiera, la generosità, la fraternità che inizia dal timore, non dimentichiamolo. Quanto ne abbiamo bisogno, noi e quanto ne hanno bisogno tanti che cercano proprio un luogo amichevole, luminoso, semplice, aperto, umano, insomma pieno dello Spirito di Cristo. Non pensiamo quindi al nostro ruolo, ma a servirla perché sia bella ed accogliente, mettendo da parte la personale considerazione per sostenere come possiamo la Chiesa di Dio e il suo unico pastore che è Gesù, perché le nostre comunità “siano sempre più radicate nel Vangelo, comunità fraterne e inclusive”.

  1. Un popolo di sacerdoti

Nel documento di preparazione al Sinodo Generale si ricorda che “se anche per volontà di Cristo alcuni sono costituiti dottori, dispensatori dei misteri e pastori a vantaggio degli altri, fra tutti però vige vera uguaglianza quanto alla dignità e all’azione nell’edificare il corpo di Cristo, che è comune a tutti i fedeli” (LG, n. 32). Perciò tutti i battezzati, partecipi della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo, “nell’esercizio della multiforme e ordinata ricchezza dei loro carismi, delle loro vocazioni, dei loro ministeri” sono soggetti attivi di evangelizzazione, sia singolarmente sia come totalità del Popolo di Dio. Il Concilio ha sottolineato come, in virtù dell’unzione dello Spirito santo ricevuta nel battesimo, la totalità dei fedeli “non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà peculiare mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il Popolo, quando dai vescovi fino agli ultimi fedeli laici, esprime l’universale suo consenso in materia di fede e di costumi” (LG, n. 12). È lo Spirito che guida i credenti «a tutta la verità» (Gv 16,13).

  1. Il Sinodo Generale della Chiesa universale e il cammino della Chiesa italiana

Il cammino sinodale della Chiesa italiana si affianca a quello di tutta la Chiesa in vista del Sinodo Generale dei Vescovi che è previsto per il 2023 e che sarà sul tema proprio della sinodalità. In questo primo anno, 2021-22, i due cammini coincideranno, ma sono previsti opportuni adattamenti alla situazione italiana.

  1. Il calendario

Il Sinodo universale si aprirà solennemente il 9 ottobre 2021 a Roma e il 16 ottobre in ogni Chiesa particolare. La tappa finale di quello universale sarà la celebrazione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, nell’ottobre del 2023. Per la Chiesa italiana il momento finale sarà una grande assemblea della chiesa italiana, prevista nel 2025, anno giubilare, dove si desidera proporre “alcune scelte coraggiose, profetiche, per un annuncio più snello, cioè libero, evangelico e umile, come chiesto ripetutamente da Papa Francesco” (Cf. CEI, 9 luglio 2021).

  1. Cosa faremo?

Si prevede “una consultazione capillare del popolo di Dio nelle singole diocesi, attraverso un questionario composto da una decina di domande e sotto-domande” e sul tema “Annunciare il Vangelo in un tempo di rigenerazione. Vangelo-fraternità-mondo”. Si è preferito un cammino e non un sinodo nel senso di un evento con la necessaria organizzazione, scelta di tempi, argomenti già definiti. Si è pensato più opportuno un cammino “immaginato in alcuni grandi passaggi, che si chiariranno lungo il sentiero” (ivi).

  1. Ascolto, ricerca e proposte

“Ascolto, ricerca e proposte” sarà il triplice riferimento che ci accompagnerà e che aggiorna il più noto “vedere-giudicare-agire”. Questo anno sarà di ascolto “del popolo di Dio nella maggiore ampiezza e capillarità possibili”, in particolare nell’ascolto reciproco a partire dal Vangelo «lasciando emergere anche le domande di senso sollevate dalla pandemia, sempre con la celebrazione dei misteri del Signore, proposte di preghiera, esperienze di fraternità, carità e missione (“buone pratiche”). Sarà senz’altro utile ipotizzare, con una certa libertà l’incontro con persone che non sono o non si sentono “parte attiva” della comunità cristiana, per raccogliere “il frutto dello Spirito” e i germi di verità e bontà seminati nei cuori di tutti. L’Assemblea straordinaria della Conferenza Episcopale Italiana che si terrà del novembre 2021 approverà il regolamento e l’iter del “cammino sinodale” italiano» (ivi).

  1. Non è una moda

Sinodo, quindi, non è una parola che va di moda, ma la consapevolezza della Chiesa che non ha timore di confrontarsi, non per innamorarsi di idee o di programmi lontani dalla vita, ma per scegliere le risposte più adeguate alla conversione pastorale e missionaria. Sono coinvolti tutti: le parrocchie, le comunità: io vorrei che potessimo aiutarci reciprocamente in questa ricerca che è comune). «Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio. I cristiani, alla sua sequela, sono in origine chiamati “i discepoli della via” (Cf. At 9,2). La sinodalità in questa prospettiva è ben più della celebrazione di incontri ecclesiali e assemblee di Vescovi, o di una questione di semplice amministrazione interna alla Chiesa; essa «indica lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice» (Discorso nel 50° della istituzione del Sinodo, 17 ottobre 2015). S. Giovanni Crisostomo poteva dire: «Chiesa e Sinodo sono sinonimi» (ivi).

  1. Sinodo non è democrazia, ma comunione

La consultazione del Popolo di Dio non comporta affatto l’assunzione all’interno della Chiesa dei dinamismi della democrazia imperniati sul principio di maggioranza, perché alla base della partecipazione al processo sinodale vi è la passione condivisa per la comune missione di evangelizzazione e non la rappresentanza di interessi in conflitto. Non dobbiamo avere mai paura della comunione, perché è dono dello Spirito e se al centro c’è Lui ci porterà sempre alla verità tutta intera. A Firenze Papa Francesco aveva chiesto a tutti “capacità di dialogo e di incontro”, distinguendo che dialogare non è negoziare, ma cercare il bene comune per tutti, altrimenti, sarebbe sempre come restare sulla rotonda, girando intorno a noi stessi, senza andare in tutte le direzioni come ci chiede lo Spirito! “Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti”.

  1. La Chiesa che rinasce dall’alto

È lo Spirito che rende la nostra diversità ricchezza, il dono di ognuno forza per sostenere il Corpo della Chiesa che è appunto un insieme di varie funzioni e capacità, mai un monolite. Come a Pentecoste: tutti uscirono e tutti annunciarono il Vangelo. A Pentecoste del 2020 Papa Francesco disse: “Il nostro principio di unità è lo Spirito Santo. Lui ci ricorda che anzitutto siamo figli amati di Dio; tutti uguali, in questo, e tutti diversi. Lo Spirito viene a noi, con tutte le nostre diversità e miserie, per dirci che abbiamo un solo Signore, Gesù, un solo Padre, e che per questo siamo fratelli e sorelle! Ripartiamo da qui, guardiamo la Chiesa come fa lo Spirito, non come fa il mondo. Il mondo ci vede di destra e di sinistra, con questa ideologia, con quell’altra; lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù. Il mondo vede conservatori e progressisti; lo Spirito vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia. Lo Spirito ci ama e conosce il posto di ognuno nel tutto: per Lui non siamo coriandoli portati dal vento, ma tessere insostituibili del suo mosaico” (23 maggio 2020). Lo Spirito ci porterà alla sorpresa di frutti inaspettati, che superano le nostre decisioni o programmazioni. «Il Paraclito spinge all’unità, alla concordia, all’armonia delle diversità. Ci fa vedere parti dello stesso Corpo, fratelli e sorelle tra noi. Cerchiamo l’insieme! E il nemico vuole che la diversità si trasformi in opposizione e per questo le fa diventare ideologie. Dire “no” alle ideologie, “sì” all’insieme».

  1. La docilità allo Spirito

Dobbiamo essere docili allo Spirito. Significa mettere Dio sempre prima del nostro io, non per cancellarlo, ma per trovarlo! “Solo se ci affidiamo a Lui ritroviamo noi stessi; solo da poveri in spirito diventiamo ricchi di Spirito Santo”. «Se in primo luogo ci sono i nostri progetti, le nostre strutture e i nostri piani di riforma scadremo nel funzionalismo, nell’efficientismo, e non porteremo frutto. Gli “ismi” sono ideologie che dividono, che separano. La Chiesa non è un’organizzazione umana – è umana, ma non è solo un’organizzazione umana –, la Chiesa è il tempio dello Spirito Santo. Gesù ha portato il fuoco dello Spirito sulla terra e la Chiesa si riforma con l’unzione, la gratuità dell’unzione della grazia, con la forza della preghiera, con la gioia della missione, con la bellezza disarmante della povertà. Mettiamo Dio al primo posto!» (ivi).

II. ANNO DI NICODEMO

  1. L’anno di Nicodemo

Sinodo, “camminare insieme” richiede, come abbiamo detto, mettersi in ascolto dello Spirito, che come il vento «soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va» (Gv 3,8). La decisione che avevamo preso concordemente con i vari consigli era stata quella di restare sul tema dell’anno scorso: gli adulti. Infatti, prima di affrontare il problema dell’iniziazione cristiana, cioè della catechesi, avevamo pensato indispensabile parlare degli adulti e di come comunicare il vangelo. Questi due anni segnati in profondità dalla pandemia ce lo ha riproposto in maniera diremmo fisica, scombinando tutte le nostre programmazioni, imponendo l’essenziale, costringendoci a trovare nuovi modi per comunicare a tutti e forse proprio mettendoci nelle condizioni di parlare con tutti che come noi sono immersi nella grande tempesta della pandemia, umiliati, confusi, incerti, attraversati da tante domande e anche, come sempre, presuntuosi, paurosi, individualisti.

  1. L’anno del seminatore non è stato un anno perduto

La nota pastorale dell’anno scorso “Ecco, il seminatore uscì a seminare” (Mc 4, 3), indicava come “questo primo anno del biennio 2020-2021 ha come scopo quello di avviare un processo di rivisitazione e animazione delle proposte di evangelizzazione per gli adulti per un risveglio alla vita cristiana che parta dalla pandemia”. Dovremmo pensare che l’anno scorso sia stato perso? Sono mancati tantissimi appuntamenti tradizionali, molti sono stati annullati oppure rivistati. Per tutti la partecipazione è stata condizionata dalle necessarie misure prudenziali. In realtà abbiamo compreso ancora di più che ciò che siamo chiamati a fare è seminare, liberamente, con il solo esempio, la parola, il dono, sapendo che non siamo noi a raccogliere, ma sicuri che quel seme darà frutto. Il seminatore guarda davvero lontano, a questa vita e oltre questa vita. Per questo non è stato un anno perduto! Siamo scontenti quando cerchiamo di misurare i frutti! Se è vero che raccogliamo dove altri hanno seminato (e come non ringraziare i tanti che con fede e generosità evangelica ci hanno consegnato una Chiesa piena di frutti, di generosità, di testimonianze della porta accanto e quelle ben note di amore gratuito, di santità che anche a distanza di tempo accende una luce di amore in chi l’ha incontrata direttamente o indirettamente. Sappiamo che è una tentazione misurare, sia che dormiamo sia che vegliamo il seme dà il frutto come noi stessi non lo sappiamo. Semina chi ha speranza, chi guarda al futuro, altrimenti si specula sul presente, cercando il risultato immediato. Non è stato affatto un anno perduto: siamo stati tutti costretti dalla pandemia a seminare in maniera diversa da come eravamo abituati o avevamo programmato. Spesso abbiamo “fatto” meno cose, ma questo non significa affatto avere seminato di meno! Occorre che ci misuriamo con le nostre fragilità e con quelle delle nostre comunità, a partire davvero dai cinque pani e due pesci. Ci credevamo quando parlavamo del nostro poco o in fondo pensavamo sempre di averne a sufficienza? Non abbiamo ancora capito qual è il lievito che ci dona Gesù e spesso stiamo a cercare ancora quello dei farisei e di Erode e soprattutto ci sentiamo perduti! Siamo stati tutti umiliati. Diventiamo umili e quindi grandi! Abbiamo visto la ricchezza di avere una casa, un riferimento, dei legami malgrado tutto veri, profondi, che non si esaurivano nel consolarci un po’, ma manifestavano un amore più grande. È un tempo che ci chiama alla speranza non perché le cose vanno bene (che speranza sarebbe?) ma proprio per le difficoltà.

  1. Tempo di testimonianza

Come ogni tempo di prova è anche il tempo in cui dare testimonianza, smettere di calcolare, per certi versi diventare grandi, liberarci da letture distruttive, dove tutto è interpretato “politicamente” spesso in una politica ridotta alle proprie convinzioni. Leggiamo questo tempo con i sentimenti di Gesù, quelli donati dallo Spirito, anzitutto la compassione per tanta, insopportabile sofferenza, alla quale non potremo mai abituarci. La pandemia ci abitua a capire che siamo sulla stessa barca, che il dolore del fratello è il mio, che ne usciamo solo insieme, che possiamo costruire quel “Fratelli tutti” che è un grande sogno per il futuro. La recente crisi afghana, con le sue immagini che fanno piangere, di disperazione e di mani tese da stringere e salvare, ci aiutano a capire quanto è importante guarire un mondo malato, non accontentarsi di un amore mediocre. Non perdiamo l’opportunità di farlo perché ne vediamo le conseguenze e capiamo che per davvero il destino è comune. Insomma, seminiamo il seme della nostra vita, dell’amore di cui siamo capaci, dell’intelligenza che ci è donata, del talento che dobbiamo investire perché dia frutto. Di questo ci è chiesto conto, perché è nostro ma per spenderlo e rimane nostro proprio se, come possiamo, lo spendiamo. Se lo nascondiamo, lo teniamo per noi, facciamo vincere la pigrizia, la paura, la disillusione, lo perdiamo. E ognuno è un talento! Il Signore affida il suo amore a ciascuno di noi, originalmente, perché attraverso di noi, solo così può raggiungere le persone che incontriamo, specialmente i più fragili, i poveri che della nostra famiglia ne sono parte, tanto che sono i più piccoli. Che ci facciamo altrimenti con il seme della nostra vita e della nostra fede se non lo seminiamo? Seminare cosa? Vangelo, gentilezza, gratuità, attenzione, visite, fiducia, disponibilità, insomma un po’ di quell’amore così speciale che Gesù ci ha consegnato. Non passi giorno, nella preghiera o nei nostri incontri, senza seminare l’amore che Dio ci ha affidato.

  1. Padre Marella e don Giovanni Fornasini

L’anno del seminatore era iniziato con la grazia di celebrare la beatificazione di Padre Marella, il Signore, donandoci dei fratelli maggiori, ci voglia liberare dalla paura di difendere i piccoli, di scegliere di accoglierli nella nostra casa, perché le nostre comunità siano per loro famiglia, li adottino come figli. Fornasini è un esempio di cosa significa essere cristiani e preti nella tempesta terribile della guerra, pandemia che distrugge le cose e le persone, sia nei terribili frutti di morte sia nell’abbrutimento dell’anima, nei semi di divisione, di odio, di violenza. Fornasini non ha mai smesso di essere cristiano e quindi un uomo semplice, vero, forte, umano fino alla fine. Ha amato, come poteva, con la semplicità dei suoi gesti e delle sue parole che sono sempre l’omelia più convincente e irresistibile. Non si è sottratto al pericolo di andare a benedire i morti, inganno beffardo dei nazisti per attirarlo nel supplizio del suo calvario. Come Gesù ha chiamato amico anche chi lo tradiva, si è lasciato condurre, come agnello portato al macello. Lo ha fatto per amore, così come con entusiasmo in bicicletta si recava dappertutto, dove c’era da aiutare, per non fare mancare i sacramenti e il sacramento dell’amicizia.

  1. L’entusiasmo e l’illusione di Fornasini

Fornasini aveva fondato insieme ad altri seminaristi la “società degli illusi”. “Noi siamo i seguaci di Colui che il mondo cieco ha chiamato il più grande illuso della storia”. “Gli illusi… non si lamenteranno mai dei sacrifici che le contingenze impongono, ma le offriranno a Gesù per il bene di tutti. Cercheranno in qualche modo di alleviare i sacrifici degli altri. Useranno con tutti i compagni grande carità. Esortazioni: si esortano gli illusi ad usare fra di loro la correzione fraterna, nei limiti che la prudenza consentirà. Potrà usarsi un segno convenzionale: quando un illuso riprende o inizia un discorso di critica o mormorazione, o comunque, il segno del fratello illuso gli ricorderà di essere veramente… illuso. Gli illusi si impegnano a essere sempre i primi nella puntualità per ogni atto comune. L’illuso sia sempre portatore di allegria tra i compagni. Si faccia promotore di belle iniziative e allegre trovate”. “Sezioniamo il nostro cuore. È incandescente d’amore, di carità? Il nostro agire non sia effetto di una fede addormentata. – Fioretto: fai un nodo nel fazzoletto, per ricordarti di uno che in te è più di te stesso. – Frammento per frammento, ora per ora. Fino al Sacrificio, in cui ti immolerai con Cristo per tutti”. Il metodo proposto è “accarezzare Gesù: dargli tutta l’esuberanza dell’amore, anima e corpo, cervello e cuore: ogni cosa sottratta all’amore è sottratta alla vita”. E noi non dobbiamo firmare lo stesso patto, tutti? Non vogliamo essere disillusi, col rischio che questo comporta, di rozzo individualismo che davvero cancella il prossimo e così in realtà annulla anche se stesso. Con don Fornasini capiamo che possiamo aiutarci, sentirci raggi che si sostengono a vicenda e che abbiamo bisogno di questa “illusione”. Questa è stata la sua forza e certamente ci indica la speranza per non arrendersi al fatalismo, alla paura, al “si salvi chi può” cioè “io” o il più forte. Insomma, un uomo veramente sinodale, che affrontava la pandemia della guerra con le solidi armi delle sue convinzioni.

  1. Speranza e delusione

A molti la speranza appare illusione e a questa si contrappone il realismo. No! È davvero illusorio pensare di vivere sani in un mondo malato, credere che c’è futuro salvando se stessi, abbassando gli occhi per non vedere o diventando complici con la logica di violenza, scappando dalle richieste di aiuto! Fornasini è stato uomo della realtà: lui l’ha cambiata e continua a cambiarla perché rappresenta una luce di amore nelle tenebre e una testimonianza che trasmette forza e ci persuade a affrontare il buio del male non smettendo di amare.

  1. Dalla disillusione alla speranza

Nicodemo non ha speranza, ha ben chiaro che è vecchio e non può da solo rispondere alla domanda: come può un uomo nascere di nuovo? È amaro in questa considerazione, che lo porta quasi a schernire Gesù e la sua illusione. Con il suo “può forse tornare nel grembo di sua madre e rinascere?”, in fondo si libera anche dalla tentazione di prolungare una presunta giovinezza, con una vita che non fa i conti con le difficoltà, i limiti, il limite. Vogliamo vivere questo anno nella speranza, per rinascere senza preoccuparci degli inizi modesti. Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi (1 Pt 3,15). Il nostro tempo è tempo di speranza: non gestiamo il passato, ma siamo spinti fortemente a costruire il futuro.

  1. Guardare le sofferenze

Il cristiano è esperto di umanità e in questa c’è sempre tanta sofferenza. In questi mesi quante ci hanno messo alla prova. Penso ai giovani isolati, che si sono dovuti misurare con la fragilità, con il limite, con tanto isolamento, con se stessi. Penso al dolore dei tanti che hanno perduto i loro cari e non hanno potuto accompagnarli come avrebbero desiderato. Penso a chi ha perso il lavoro, a chi è sprofondato in situazioni economiche precarie o di vera e propria povertà. Penso a chi era ed è isolato e fragile e la pandemia ha aumentato la distanza dal prossimo, come gli stranieri o i disabili fisici e psichici le cui difficoltà sono aumentate o penso alle principali vittime della pandemia che sono gli anziani, specialmente quelli istituzionalizzati.

  1. In un mondo vecchio forti dello Spirito di amore

E da qui che dobbiamo ricominciare. Dobbiamo riparare questo mondo, i cuori feriti, le deformazioni del benessere che rendono stolti, aggressivi, pessimisti. Non è un problema di qualcuno, ma di tutti. Dobbiamo liberare dalla prigionia della solitudine che fa sentire inutili, che toglie il gusto della vita. Gesù, quando annuncia il suo Vangelo a Nicodemo, ha di fronte una persona concreta, con le sue difficoltà, desideri, sogni, delusioni, presunzioni. Insomma parla a persone vere, non a categorie astratte. Ecco, questo è il kairos della pandemia e anche la responsabilità a non farla passare invano. Sento la sfida di aiutarci e moltiplicare spazi di solidarietà verso le tante domande che le nostre comunità fanno proprie. E poi: possiamo lasciare da adesso in poi un anziano solo? Non dobbiamo accordarci perché sia visitato spesso e se possibile aiutato ad uscire? I ragazzi che sono rimasti indietro perché più fragili non sono nostri e non dobbiamo darci pace finché non abbiamo trovato delle risposte sufficienti per loro? Nicodemo non a caso sarà sotto la croce di Gesù e aiuterà a deporre quel corpo di amore. Ha imparato qual è la via per non finire: donare, amare fino alla fine, sconfiggere la sofferenza e il male con l’amore. L’incontro essenziale per il cristiano e per ogni persona è la sofferenza del prossimo, uno sconosciuto che diventa prossimo per la compassione, dono dello Spirito, sentimento di Gesù che ci rende capaci di fermarci. Nicodemo volgerà il suo sguardo alla croce, unico segno di speranza, l’amore senza fine che ci apre alla vita senza fine, che cambia, trasforma, la nostra vita, segnata dalla caducità, dalla finitezza.

  1. I semi del male

Anche la pandemia ha seminato tanto. Non finisce, infatti, con la fine del virus, per la quale peraltro dobbiamo essere attenti per evitare che, come sempre, il male, approfitti della nostra presunzione, della stanchezza che ci fa credere che non c’è più nessun problema, del nostro dire “pace e sicurezza”. I suoi semi, che crescono per l’inquietante mistero del male, sono la disillusione, la paura, la rabbia, l’isolamento, l’aggressività spicciola, il sentirsi in diritto di chiudersi e di pensare a sé. Se non diventiamo migliori, saremo peggiori! Anche per questo convertiamo il nostro cuore, scegliendo di aiutare la Chiesa e il mondo, come possiamo, cercando soprattutto di farlo assieme, con la preghiera e con la generosità, donando il tempo, le risorse, il cuore per aiutare chi è nel bisogno.

  1. Non è una parentesi da chiudere

Con la pandemia ci siamo ritrovati a ricostruire tanti rapporti che a volte davamo per scontati e che abbiamo compreso quanto siano importanti. Ci siamo confrontati con le domande che agitano tutti. Tutti. È stato davvero un grande segno dei tempi. Non è affatto una parentesi da chiudere. Non ci riusciremmo, come sarebbe insensato pensare di tornare indietro. Ad esempio, per comprendere cosa il terremoto ci aveva lasciato ci sono voluti almeno due o tre anni dopo l’evento. La pandemia è ancora così presente, sfida che ci chiede di usare le virtù cardinali, che sono praticabili da tutti: la prudenza, la fortezza, la giustizia e la temperanza.

  1. Nicodemo. L’uomo adulto

L’icona biblica di Nicodemo, adulto accompagnato dalla Parola di Gesù ad uscire dalle tenebre verso la luce del Vangelo, ci aiuterà ad affrontare il cammino sinodale pieni di Spirito che rende nuovo quello che è vecchio, docili a quel vento che ci porta dove vuole lui. Gli adulti in questo tempo sono stati chiamati in causa per tanti motivi legati alla pandemia: le situazioni famigliari, il lavoro, le sofferenze, la gestione della malattia, la morte, la fragilità, il dopo vita. Tutti si sono posti tante domande e, a volte, hanno sperimentato la difficoltà a trovare risposte constatando la propria fragilità, ma anche la ricerca interiore vera. Questo scenario è appesantito da una diffusa mancanza di fiducia nel futuro, da una carenza di speranza, che a volte si è tradotta nella tentazione di chiudersi e di cedere all’individualismo.

  1. La fraternità

Abbiamo certamente riscoperto la centralità delle relazioni: non si tratta solo di poterci “ridare la mano” (anche se sappiamo quanto c’è bisogno di tanta solidarietà e che le emergenze si nascondono, diventano meno visibili, ma non sono meno dolorose e disperate), ma di avere uno stile nuovo nella pastorale che privilegi l’incontro vero, avviando percorsi di accompagnamento alla fede. Non si tratta di fare tante (troppe) cose, ma di vivere delle “nuove” relazioni gratuite ed evangeliche. La tentazione di ripartire come si faceva prima della pandemia è forte. È tempo, invece, di ri-accendere le nostre comunità perché siano vive, comunità che celebrano il mistero della salvezza con gioia, che annunciano il vangelo con gesti di accoglienza e che vivono la carità. Tornare a radunare la comunità in tutte le sue espressioni, fare delle esperienze di vicinanza, di carità e di fratellanza, anzitutto a partire dalla celebrazione dell’eucaristia, che è il centro della nostra via cristiana, è il kairos di questo tempo.

  1. Affidarci allo Spirito

Per camminare assieme, per incontrare con “illusione”, cioè con speranza i tanti Nicodemo che cercano nella notte, per credere che è possibile qualcosa di nuovo, per non restare fermi, magari con intelligenza e realismo, pieni di interpretazioni intelligenti, di analisi acute ma senza la passione di camminare assieme, abbiamo proprio bisogno, come Nicodemo, dello Spirito che viene dall’alto. Parlare con Gesù, ascoltare la sua parola, metterci in una condizione di fiducia non rimuovendo le nostre domande e la fatica della nostra condizione umana, anzi, proprio a partire da queste, ma sempre in una dimensione di ascolto, di disponibilità per scoprire come il Signore cambia la vita, non offre un codice morale e per capire come le regole, che sono importanti, vengono dal vivere questo amore.

  1. Tanti come Nicodemo cercano

Se andremo incontro troveremo tanti insospettabili Nicodemo che di notte cercano. La notte certo poteva garantirgli il nascondimento, forse non voleva prendere responsabilità, non metteva in discussione fino in fondo le proprie convinzioni, si teneva aperte tutte le possibilità, voleva fare solo un’esperienza senza compromettersi, per opportunismo o curiosità. Lo sappiamo come la tentazione della nostra generazione sia proprio quella di tenersi sempre aperte tutte le possibilità o di credere che tutto è sempre possibile senza fare i conti, invece, con quello che richiedono le nostre scelte. Nicodemo non voleva essere visto per non essere giudicato male dai suoi, per non compromettersi fino in fondo con quel maestro che lo attraeva eppure su cui sapeva c’era un giudizio pesante contro di lui. Forse in realtà non sa nemmeno bene, non ha chiaro tutto, sentiva solo un impulso, una domanda che lo aveva spinto in un orario insolito, come certe angustie che non ci lasciano in pace, di andare a trovare quel maestro per presentargli la sua inquietudine.

  1. Accogliere Nicodemo

Quello che è certo è che Gesù non lo manda via, non gli chiede prima una chiarezza che non ha, non lo accusa di volere le risposte senza rischiare nulla, non gli fa un esame. Lo accoglie, gli parla, dialoga con Lui. E soprattutto gli propone qualcosa di inaspettato, di incredibile: rinascere, liberarsi dalla sua vecchiaia, dalla consapevolezza dei problemi, forse anche del suo peccato, certamente di non potere iniziare niente di nuovo. Nicodemo ha conosciuto il suo limite, ma non ha speranza.

  1. Le domande del cuore

Quante domande che non trovano risposta e quante notti di angoscia, di solitudine, di paura! Ecco, proprio in queste notti Gesù ha la sua porta aperta. Gesù non è funzionale a Nicodemo. Non gli offre solo qualche facile rassicurazione, non lo rimanda senza chiedergli niente, anzi. Ma lo aiuta, come scrive Sant’Agostino, a liberarsi dalla superbia per poter nascere dallo Spirito; lo umilia come un principiante, non certo con l’intenzione di mostrarsi superiore a lui. “Tu sei maestro d’Israele e ignori queste cose?”, gli dice, ma per aiutarlo a cercare risposte vere e a non avere paura di affidarsi allo Spirito.

  1. La Chiesa è una porta aperta

Papa Giovanni XXIII, andando via dalla Bulgaria, promise ai suoi amici che con tanta intelligenza aveva cercato: “Secondo una tradizione irlandese, tutte le case mettono alla finestra, nella notte di Natale, una candela accesa, per indicare a Maria e a San Giuseppe, che cercano un rifugio nella notte santa, che in quella casa c’è posto per loro. Ebbene, ovunque io sia, anche in capo al mondo, se un bulgaro passerà davanti alla mia casa troverà sempre alla finestra una candela accesa. Egli potrà battere alla mia porta e gli sarà aperto; sia cattolico o ortodosso, egli potrà entrare e troverà nella mia casa la più calda e la più affettuosa ospitalità”. Ecco nella notte la chiesa vuole seguire il suo Signore, essere una luce che attrae e una porta sempre aperta, dove trovare accoglienza calda. Le nostre celebrazioni, in particolare l’Eucarestia domenicale, non devono manifestare proprio questa relazione “affettiva”, il fare sentire a casa, compresi più di quanto ci viene chiesto come sempre avviene nelle cose dello Spirito? Questo è l’atteggiamento che desideriamo avere verso i tanti che sono nella notte della pandemia.

  1. Casa di tutti, particolarmente dei poveri

Nella casa del Signore devono essere accolti anzitutto i poveri, che con la loro domanda svegliano un cuore che facilmente si chiude nell’egocentrismo: ci chiedono la gratuità e ci liberano dalla convenienza personale, così comune, pervasiva, del dare/avere, dell’interesse. I poveri rivelano quanto il mondo sia fatto male, escludente, ingiusto, ci aiutano a vivere sul serio il Vangelo, perché ci ricordano il prossimo indicato da Gesù, l’uomo mezzo morto verso il quale avere compassione e di cui farci carico, che non dobbiamo giudicare, ma sollevare dalla sua condizione e portarlo a ritrovare se stesso fino alla sua guarigione. La loro fragilità e la loro povertà ci aiutano ad incontrare Gesù, perché “ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatta a me” (Mt 25, 40). Sono persone di carne, anche esse sacramento di Gesù che dobbiamo contemplare, venerare, accogliere proprio come l’Eucarestia.

  1. Liberi dalla disillusione

Gesù propone di essere un bambino che finalmente incontra un padre che lo aiuta, dal quale sentirsi amato, che ha la forza di trasformare quello che è vecchio, che sembra compromesso definitivamente e davanti al quale sembra non sia possibile fare nulla. È l’adulto che non riesce a fermarsi per misurare chi è, che scappa con le tante cose da fare o con le navigazioni infinite fisicamente dentro internet o in relazioni ridotte a contatti digitali, epidermiche. Lo Spirito chiede di sapersi fermare, di fare silenzio, di meravigliarsi, di abbandonarsi a quel vento. In fondo Gesù propone a Nicodemo adulto di scoprirsi bambino, per non diventare vecchio. Non fare finta di non esserlo, restando minorenne davanti a Dio, non si inventano giovanilismi che non cambiamo l’essenza e spesso sono penosi tentativi di non affrontare il proprio limite e interrogarsi sul senso. Nicodemo si scopre figlio amato. Secondo Gesù la luce che può illuminare ogni cosa si trova nella croce. É da lì che egli ci invia segnali di vita e di amore. «In quelle braccia stese, che non possono più abbracciare i bambini, e in quelle mani inchiodate, che non possono più accarezzare i lebbrosi o benedire i malati, c’è Dio con le sue braccia aperte ad accogliere, abbracciare e sostenere le nostre povere vite» (…). Da quella croce Dio ci rivela che «ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito» (…). Non è scappando dalla sofferenza, che ci rincorre con le sue paure, ma amando il prossimo e affrontandola per amore che Nicodemo scopre la forza dell’amore, Spirito che fa rinascere dall’alto. Su quella croce, Gesù che dona se stesso, ci insegna come amare il mondo. È proprio questa la libertà del cristiano che è fare ciò che piace a Dio, perché so che mi ama e mi lascia libero nell’amore di fare tutto. È il legame dell’amore che è il più esigente: possiamo fare quello che vogliamo.

  1. Gesù ti ama

Nicodemo scopre quanto Dio ci ama. Semplicemente. E forse è proprio questo che dobbiamo fare sentire ai tanti Nicodemo che incontriamo e incontreremo. Scriveva Paolo VI proprio a commento dell’episodio di Nicodemo: “Noi siamo amati, siamo benvoluti, siamo pensati, siamo voluti da Dio. Dio veglia su di noi più che una madre non vegli sul suo bambino. E quando abbiamo voluto dare un nome a questo Essere sconfinato, infinito e tremendamente misterioso, Gesù ci ha insegnato a invocarlo in piena confidenza, in amore perfetto: chiamatelo Padre. Dio ci è padre. Nel mondo, nell’umanità, nella storia. Dio ci vuol bene. Dio pensa a noi, ha l’occhio suo sempre aperto sopra di noi e sta scrutando la nostra risposta. Dio ci ama, ci compatisce, ci perdona, ci consola e niente lascia cadere delle nostre parole, dei nostri gemiti, delle nostre invocazioni, delle nostre lacrime, delle nostre opere buone. Vuole che la nostra vita si riassuma in un atto d’amore. E il misterioso contatto tra Dio e l’uomo non si attua se non tramite Cristo. Occorreva un ponte tra noi e Dio, un intermediario che ci portasse alla pienezza cui tende la nostra vita, il nostro destino eterno. È il mistero della gioia e della salvezza qual è la Redenzione, che avrà la sua festa più solenne nella Santa Pasqua” (Udienza generale, 15 marzo 1967).

  1. Il senso della vita

Nicodemo si interroga sul perché del suo essere al mondo e trova l’amore senza fine di Dio. “Abbiamo la fortuna di chiamarci figli di Dio e di legare la nostra misera vita alla sua esistenza infinita, come piccole scintille che devono finire nel sole, nella luce del Signore. Dio ci ama! Ricordiamo questa verità e saremo felici, benedetti, salvati per sempre”. «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito». I verbi “amare” e “dare” indicano un atto decisivo e definitivo che esprime la radicalità con cui Dio si è avvicinato all’uomo nell’amore, fino al dono totale, ha varcato la soglia della nostra ultima solitudine, calandosi nell’abisso del nostro estremo abbandono, oltrepassando la porta della morte.

  1. Camminiamo con Nicodemo

Ecco, per questo, Nicodemo ci aiuterà a vivere il cammino sinodale, cioè a farci condurre dallo Spirito e ad ascoltare, parlare, confrontarci con le tante domande degli adulti che cercano luce.

III. PROPOSTE PER IL CAMMINO SINODALE

  1. Il Sinodo e l’anno sulla formazione con gli adulti

L’orizzonte in cui vogliamo restare è quello che ci eravamo prefissi, cioè la rivisitazione degli itinerari formativi con gli adulti, proposte di laboratori permanenti di fede, cattedre dei credenti per condividere le ragioni della fede, esercizi di fede e di speranza. Sono tutti argomenti che eravamo pronti a sviluppare in suggerimenti generali e proposte concrete.

La convocazione del Sinodo della Chiesa universale e l’avvio del cammino sinodale della Chiesa italiana non ci distoglie da questi obiettivi, ma ci costringe con sano realismo a subordinare i nostri progetti a quelli generali, per non perdere la grazia di un cammino con tutta la Chiesa.

Tuttavia, senza forzature, possiamo dire che, essendo i giovani e gli adulti i destinatari privilegiati del cammino sinodale, non usciremo più di tanto dal tema proposto; anzi l’ottica della formazione e del coinvolgimento degli adulti offrirà una angolatura particolare al cammino che ci sarà proposto, proprio perché sia vissuto in una più chiara prospettiva di grande apertura alla missione.

  1. Il cammino sinodale

A caratterizzare l’anno 2021-2022 sarà dunque l’adesione alla richiesta di Papa Francesco di avviare “dal basso” un cammino sinodale, seguendo le indicazioni che verranno fornite dai Vescovi italiani.

Il cammino sinodale ci porterà a confrontarci sugli argomenti proposti dalla Conferenza Episcopale, molti dei quali saranno legati alle domande sulla pandemia e di come le nostre comunità l’hanno vissuta. Una volta definiti dall’assemblea dei Vescovi si propongono uno o più incontri di confronto nella zona. Non dimentichiamo l’invito a coinvolgere nel confronto anche ambienti diversi, come i luoghi di lavoro, le carceri, gli ospedali, le scuole cercando i modi più diretti, di relazione e di incontro umano con gli adulti.

La prima fase del cammino sinodale dovrà concludersi con la consegna dei risultati da raccogliere in ambito diocesano, per poi essere elaborati in ambito nazionale e, successivamente, universale.

  1. Lectio divina su Nicodemo

A guidare tutto l’itinerario, invitandoci ad assumere l’atteggiamento adeguato, sarà la lectio divina su Nicodemo, da attuare in tutte le zone pastorali e le realtà ecclesiali, seguendo i suggerimenti sotto riportati.

IV. SUGGERIMENTI E SUSSIDI PER I QUATTRO AMBITI

  1. La vita ordinaria della comunità cristiana

Anche in questi momenti di passaggio d’epoca rimane la vita ordinaria della comunità cristiana da promuovere con cura, ordinandola nella prospettiva della conversione missionaria e pastorale. Qui di seguito vengono offerti suggerimenti e sussidi predisposti dagli Uffici pastorali diocesani che sostengono il cammino quotidiano, inserito nel contesto attuale.

Tutto il materiale è disponibile sul sito della diocesi e gli Uffici sono a disposizione per presentarlo e sostenerne l’attuazione.

  1. Iniziazione cristiana degli adulti

La maternità della Chiesa lungo i secoli ha sempre accompagnato il cammino di chi chiede di diventare cristiano. Per questo sarà avviata una riflessione con un’equipe diocesana per l’elaborazione di cammini/itinerari di accompagnamento per i catecumeni, per coloro che chiedono la cresima e per coloro che desiderano “ricominciare” a credere.

  1. Un cammino in due momenti

Si propone alle parrocchie/zone un cammino in due momenti da svolgersi con creatività durante l’anno per aiutare gli adulti a ritrovare i segni della presenza del Signore nella vita mettendosi in ascolto delle domande generate dalla situazione che stiamo vivendo.

In un primo momento (da settembre a dicembre), alla luce della narrazione dell’incontro di Gesù con Nicodemo (Gv, 3,1-8), siamo invitati a vedere questo momento come una “rinascita dall’alto”, senza avere la pretesa di avere già tutto chiaro ma con la certezza che la fiducia nel Signore ci porterà alla luce e alla novità di vita.

Dentro al tema della rinascita dallo Spirito saranno offerte alcune tracce bibliche per vivere l’incontro con la Parola di Dio all’interno di un’esperienza di preghiera e favorire un approccio orante alla sacra scrittura per imparare a vivere in dialogo con Dio. Possono essere utilizzate per la preghiera biblica nelle case, per una catechesi o preghiera per adulti o famiglie, gruppi di catechisti, ecc.

In un secondo momento, da dicembre in avanti, dopo che saranno state diffuse le indicazioni della CEI per l’itinerario sinodale, ci si concentrerà sulla recezione di tali proposte.

  1. I quattro ambiti

Accanto al sostegno del cammino sinodale e della vita ordinaria della comunità cristiana, gli Uffici diocesani mettono a disposizione suggerimenti e sussidi per i quattro ambiti che strutturano il progetto della zona pastorale: Liturgia, Catechesi, Pastorale giovanile e Carità, a cui si può attingere per la formazione e la crescita comune.

  1. Liturgia

  1. Gesti di accoglienza nell’Eucaristia domenicale.

“Vado a prepararvi un posto”. Con queste parole Gesù spiega ai discepoli il mistero pasquale nella notte dell’addio. Si tratta di raggiungere la casa del Padre, dove anche i discepoli sono attesi. C’è un posto per loro, come familiari e non come estranei, introdotti dal Figlio alla comunione divina, e non come “imbucati alla festa”.

La nostra assemblea eucaristica, come anticipo del banchetto di nozze dell’Agnello, ha bisogno di assumere tratti sempre più riconoscibili del suo modello celeste, assumendo uno stile nel quale i fedeli sperimentino la comunione e l’accoglienza.

  1. Vivere e accompagnare la liturgia delle esequie e le famiglie colpite dal lutto

Una delle esperienze che ci ha segnato maggiormente nei giorni più severi della pandemia è stata quella di vedere impedito il congedo dai propri cari defunti. Abbiamo sperimentato quanto sia straziante e disumano non poter salutare i propri cari con i riti necessari per esprimere questo distacco.

L’annuncio della speranza nella risurrezione che l’intera comunità cristiana può offrire attraverso le celebrazioni esequiali è obbedienza al comando del Signore e carità verso le persone colpite dal lutto che non può lasciarci indifferenti.

Rendere ragione della speranza che ci anima non ha niente di esibizionistico, ma è come un “balsamo” sulle ferite dell’anima che il lutto lascia inevitabilmente, e di cui la fraternità si fa carico nella misericordia.

  1. Catechesi

Insegnare a pregare

In continuità con l’esperienza del Congresso Diocesano si invita l’ambito Catechesi e formazione catechisti di ogni zona pastorale a proseguire il lavoro sul tema della preghiera, con questa prospettiva: come insegnare a pregare.

Chi vive il servizio della catechesi sente importante recuperare l’intima relazione tra la speranza e la preghiera cristiana: quest’ultima – la preghiera – è splendida soglia di ingresso che ci introduce nell’esperienza della presenza di Cristo in noi, per essere continuamente immersi nel dialogo, nel colloquio, del Figlio con il Padre.

Obiettivo di questi spunti è di fermarsi insieme come catechisti ed educatori e vedere come aprire piste di riflessione, formazione, laboratorio ed esperienza condivisa sulla preghiera cristiana come «respiro» della nostra vita da figli di Dio.

  1. Pastorale giovanile

Nel documento finale del Sinodo sui Giovani il Papa scriveva: “Solo una pastorale capace di rinnovarsi a partire dalla cura delle relazioni e dalla qualità della comunità cristiana sarà significativa e attraente per i giovani”.

Soprattutto coi giovani si deve manifestare quella pastorale missionaria e quella tensione alla “Chiesa in uscita” che Papa Francesco auspica tanto e che tutta la Chiesa sta cercando di assumere come sforzo di conversione.

Alla luce di questo invito alla relazione e alla costruzione di una comunità corresponsabile nell’educare, la proposta per l’ambito giovani delle zone pastorale è di coinvolgere i giovani lungo due direttrici, con l’attenzione a non pensare solo ai giovani che già vengono in parrocchia o che raggiungiamo più facilmente.

  1. L’offerta agli adolescenti di un ponte fra l’esperienza estiva di Estate Ragazzi e la ferialità del resto dell’anno. Proprio a partire da coloro che hanno fatto gli animatori di Estate Ragazzi, si potrebbe provare a coinvolgere i loro amici, attraverso esperienze di aggregazione fantasiose e originali; l’invito, quindi, non è quello di concentrare tutto nella preparazione della prossima Estate Ragazzi, ma di accompagnare gli adolescenti con una proposta modulare, incominciando dall’aprire gli spazi dell’oratorio o dei locali parrocchiali in maniera informale o cercando di raggiungere i ragazzi nei luoghi dove si trovano: i campetti, i parchi, le società sportive. L’Ufficio di Pastorale Giovanile offre, per questo, un sussidio che presenta mensilmente alcuni spunti, finalizzati a costruire e a donare agli adolescenti uno spazio dove fare esperienza del Vangelo che dà forma alla vita, attraverso un incontro, un’azione caritativa e una traccia per la preghiera e l’ascolto della Parola. Il valore dell’utilizzo di questo sussidio diocesano è di essere aiutati a intercettare in un primo incontro i più lontani e poi definire un percorso progressivo con tappe di sviluppo e di crescita.
  2. Individuare un passaggio di vita dei ragazzi (passaggio alle superiori) o degli adolescenti (la maturità) o dei giovani (fine università o inizio lavoro), su cui lavorare come zona pastorale, concentrandosi su quello, senza disperdere le energie, per aiutarli a rileggerlo alla luce del Vangelo e a farsi carico delle responsabilità che sono connesse a quel passaggio di maturazione. Questo aspetto, in modo particolare, può offrire tanti spunti per ripensare una pastorale creativa e aperta: intercettare i passaggi di vita, può significare guardare un film significativo e discuterne, fare un confronto all’aria aperta, creare le occasioni per un confronto informale sui grandi temi come la pace, il mondo degli affetti, le responsabilità e collegarli al momento che si sta vivendo. È importante, in quest’ottica, cogliere l’occasione per allargare la collaborazione e la relazione con altre agenzie educative che intercettano questi momenti o che possono creare occasioni per intercettare anche chi si è allontanato dalla vita di fede e dalla frequentazione della parrocchia.
  1. Carità

Servizio dei Centri di Ascolto e gestione zonali delle risorse

L’ambito Carità intende proporre alle zone uno sguardo nuovo sulla realtà, cercando di “leggere” il territorio, le proprie risorse e i propri bisogni evidenziati anche da questi anni di pandemia.

Si avverte, inoltre, in questo tempo di pandemia l’esigenza di una educazione alla relazionalità. L’ambito carità, in base alla propria esperienza di “aiuto”, può aiutare le comunità parrocchiali ad essere consapevoli del bisogno di relazionalità in tutti i suoi aspetti.

  1. Proponiamo di interpellare i Centri di Ascolto parrocchiali che devono sempre più intendere il loro servizio non solo di incontro e aiuto ai bisognosi, ma anche di “lettura” di ciò che accade. Quali nuove persone si affacciano alle nostre comunità, quali nuove richieste e nuove povertà. Riteniamo importante proporre ai centri d’ascolto di tutte le zone un paio di appuntamenti congiunti, guidati da qualche operatore diocesano, invitando a questi coordinamenti anche realtà di quel territorio che possono contribuire alla lettura della situazione.
  2. Congiuntamente riteniamo che l’elargizione di denaro, denominata “5 pani e due pesci” debba essere ripensata a partire proprio dai bisogni delle persone che le Caritas incontrano e non dall’emergenza delle richieste, che spesso vengono ottemperate senza uno sguardo condiviso con la parrocchia vicina o le realtà di un territorio. Non si tratta di una questione meramente economica, ma tutto il contrario una occasione che non possiamo più procrastinare di intelligente condivisione dei bene. A questo proposito nel lavoro sulle 4 zone nelle quali Caritas è impegnata, si è cercato di proporre una gestione zonale di queste risorse. Questi suggerimenti sono pensati nella prospettiva di favorire e realizzare una visione dei bisogni dei singoli territori e un lavoro comune attraverso l’unione delle risorse tra le Caritas parrocchiali delle rispettive zone.

Affido all’intercessione di S. Maria della Vita e del prossimo beato Don Giovanni Fornasini l’anno che abbiamo davanti, perché possiamo tutti rinascere dall’alto e camminare insieme verso il Signore

+ Matteo Maria Card. Zuppi, Arcivescovo di Bologna

Bologna, 10 settembre 2021, Memoria di S. Maria della Vita

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Nota pastorale 2021

Bologna
10/09/2021
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