Commemorazione dei defunti in Certosa

Quando ci troviamo in questa città che completa l’altra sentiamo istintivamente più familiari gli altri, caimani come siamo, tutti fragili perché siamo tutti umani. Questo vorrei ricordare oggi, insieme ai nomi che portiamo scritti nel nostro cuore e nella nostra carne, alcune persone che sentiamo nostre, la cui scomparsa ci ha ferito e unito. Penso a Fallou, giovanissima vittima della violenza, a Simone, morto il giorno dell’alluvione, trascinato dalla forza delle acque, e a Lorenzo e Fabio, uccisi sul luogo del lavoro. Ci stringiamo ai loro familiari e vorrei che sentissero l’amicizia e la fraternità che tanto consola e aiuta. Sempre. E dobbiamo ricordarci che il dolore non passa e che dell’amicizia non smettiamo di averne bisogno.

Ci sono domande che pensiamo di poter evitare, addirittura arriviamo a credere che affrontarle causi problemi, intristisca, complichi inutilmente, non faccia godere appieno la vita. Le evitiamo, ma in realtà queste si presentano e quando avviene diventano drammatiche e stordenti, proprio perché siamo impreparati. Sembrano inaspettate e invece sono le domande che accompagnano tutta la vita e, in tanti modi, tutti i giorni. La memoria dei defunti ci ripropone la domanda sulla loro vita, e quindi sulla nostra, sulla fine e il fine dell’esistenza. Ci aiuta la nostra sempre poca fede, perché la memoria di Cristo è la memoria di un uomo vivo, presente, in mezzo a noi.

Non è solo il figlio di Giuseppe di Maria, ma è il figlio di Dio venuto a mostrare il cielo sulla terra e qual è la via che conduce al cielo, cioè perché la vita non finisce. Confrontarci con la morte, e quindi anche con le tante sue manifestazioni ordinarie, come la fragilità, la sofferenza, la solitudine, la malattia, la violenza, la divisione, insomma i tanti frutti del male, rende più consapevoli e attenti a vivere bene, a cercare una gioia non effimera, a liberarci da quelle che si rivelano ossessive e vane.

La fragilità fa parte della vita stessa, perché tutto finisce, e se ci illudiamo di star bene pensando di rendere eterno il presente non troviamo risposta perché il problema della vita è il futuro: la vita domanda vita, non si ferma, si trasforma. Un poeta sperava “che l’oggi restasse oggi senza domani o domani potesse tendere all’infinito”. Solo se guardo al futuro vivo il mio presente, non per vivere meno, ma di più, perché davvero non finisca.

La nostra società segnata dal consumo e dal possesso non riesce ad accettare la fine delle possibilità. Cosa accade, allora, quando gli occhi si chiudono? Cosa vedono, chi trovano? Se tutto finisce, cosa vale davvero la pena? Il limite ci aiuta a non vivere credendo che tutto sia senza fine e sempre possibile. Scontrarci con il limite fa male, molto, e Gesù non lo evita perché nel dolore, nel buio del venerdì santo che ognuno di noi attraversa – sconvolgente e pieno di turbamenti e angosce – sentiamo da che parte sta lui e capiamo la sua risposta, non una promessa lontana, una spiegazione, ma la forza del suo amore. “Io sono la vita, la via, la verità”. Io, non un’entità informe e senza volto. Io, oggi e sempre.

Ha ragione Qoelet, che con pessimismo cosmico afferma che tanto tutto è vano, che niente vale la pena, che nulla cambia perché tutto resta uguale, si ripete? Quando sperimentiamo le avversità e verifichiamo la nostra personale impotenza, quando il cielo casca addosso e rivela impietosamente la nostra fragilità, quando il mondo si rivela cattivo, ingovernabile, minaccioso, segnato dal male che uccide i bambini, arma le menti e le mani, provoca le inutili stragi che sono le guerre, coinvolge nella logica del riarmo e arriva a fare ripudiare la pace e non la guerra; quando il mondo si rivela una forza terribile che trascina via la vita e tutto cambia in pochi secondi, ecco, siamo portati ad avere paura della vita, ad accontentarci, a prendere solo quello che troviamo, a tenerci stretto a tutti i costi quello che abbiamo, a consumare emozioni ed esperienze per verificare le capacità, per sentirci vivi e forti.

Oggi ci misuriamo con la morte perché amiamo i nostri cari, perché l’amore non può accettarla, perché Dio non vuole sia l’ultima parola e la combatte con un amore che non si arrende. Ecco, capiamo l’umanissima forza di Gesù, così umana che scandalizzava Pietro perché non poteva accettare che il Figlio di Dio dovesse combattere e soffrire come tutti. Si vede bene solo con il cuore e Gesù è venuto ad aprici gli occhi perché vedano. L’unica conoscenza vera, quella che poi in realtà permette di conoscere le cose della terra e quelle del cielo, è l’amore. È il famoso essenziale che rende visibile quello che altrimenti resta nascosto. E l’amore è invisibile, ma fa vedere e accende tutta la vita.

Non c’è cristianesimo senza vita e senza resurrezione, perché Dio è vita, non morte, è amore che capiamo solo amando! Il Vangelo è speranza, quando invece penseremmo che bisogna lasciar perdere, salvare se stessi o diventare nichilisti, cioè senza speranza e senza vita. Qualcuno pensa: la persona scomparsa vive finché qualcuno si ricorda di lui, poi finisce tutto. No! C’è Gesù, che ama e ricorda, che conta perfino i capelli del nostro capo e chiede a noi di farlo verso il prossimo, perché tutto è bello e senza fine quando è amato. Ricordiamo il bene di ciascuno non solo dopo la morte, ma prima! La morte di Cristo ha reso la morte non più la fine, terribile, ma passaggio a una nuova eterna vita dell’uomo.

Gesù, come scriveva Guardini, non ci fa trovare un rimedio contro la morte (“sarebbero sortilegi”), né tanto meno offre un’etica della morte (“sarebbe solo un avanzamento verso un più nobile valore umano”) ma la rende non la fine bensì l’inizio, non l’ultima lettera, ma la prima. Il regno di Dio non lo vivremo pieno sulla terra perché sarà quel banchetto pieno in cielo, ma i suoi riflessi, le primizie, i segni li possiamo contemplare e cercare oggi quando i fratelli si ritrovano insieme, quando uno dei fratelli più piccoli suoi e nostri viene amato solo per amore, quando una lacrima è asciugata e non deve seccarsi perché nessuno si prende cura indurendo così il cuore, quando la solitudine è sconfitta, quando ci aiutiamo imparando la grandezza della solidarietà, quando il perdono spegne l’odio e la pace riconcilia i fratelli tra di loro.

Così capiamo cosa siamo e cosa saremo: tutto in tutti e ciascuno nell’altro perché tutti nella comunione di Dio. Ecco dove sono i nostri cari e cosa ci insegnano. Ecco anche perché essi sono in mezzo a noi, insieme a Gesù, luce che i nostri cari riflettono. L’amore è luce. La loro memoria ci aiuta a scegliere quello che conta, a capire il filo d’oro che niente può spezzare e che unisce i cuori. Portiamo con noi quello che lasciamo, possediamo quello che regaliamo. E solo l’amore cambia il mondo e la storia, non fa accettare la guerra, l’ingiustizia, l’ineguaglianza, la divisione. La morte incute sempre paura e confonde. Vinciamo la paura non perché abbiamo risolto e capito tutto, ma perché sentiamo il suo amore, lo contempliamo, crediamo in Lui e viviamo, contraddittori come siamo, l’amore. La luce eterna che splende ai defunti è quella che Gesù accende amandoci, perché il nostro cuore sia luminoso e, nell’oscurità insopportabile del mondo, trasmetta luce per combattere così il male. Signore io credo, aiuta la mia poca fede. Dona ad essi la luce perpetua.

Certosa, chiesa di San Girolamo
02/11/2024
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