Commemorazione di Luigi Pedrazzi

Grazie. Confesso che la figura di Pedrazzi è per me familiare; l’ho conosciuta soprattutto da un suo grande amico con cui siamo cresciuti e abbiamo vissuto tante delle ricerche e delle aspirazioni, che è Pietro Scoppola, a cui mi ha legato un’amicizia profonda, anche tante idealità, tante ricerche, tanta competenza, tanta profondità e allo stesso tempo un amore “a modo suo”. Questa era la definizione che Scoppola dava di se stesso, era una cosa che Paolo VI disse di Scoppola e l’ultimo libro, quello su Pietro, è proprio “cristiano a modo suo”. Forse qualcosa di questo è anche vero per Gigi Pedrazzi, sicuramente la prima parte: “cristiano”. E più che il ricordo, devo ringraziare i due relatori perché credo che ci hanno fatto rivivere anche parti di una delle stagioni importantissime della vostra città, della nostra città, e anche di tanti incontri, dialoghi confronti, che credo siano un’indicazione importantissima ancora oggi. Guardare in maniera ideale e non ideologica credo che sia una sfida per tutti di fronte alle tante sfide che la nostra città, la nostra Regione, il nostro Paese, si trovano a vivere, qualche volta con alcuni retaggi ideologici che complicano e soprattutto evitano il vero confronto, con l’ignoranza che diventa aggressività, banalità, che diventa anche una certa volgarità nell’approccio della cosa comune, nella visione della responsabilità comune, di quello che noi abbiamo, dell’eredità che dobbiamo regalare a chi viene dopo di noi. Credo che la dolce e pacata determinazione, com’è stato ricordato prima, e quel buonumore che credo tutti ricordiamo di Gigi Pedrazzi, ci aiuta a essere fortemente ideali: la passione, con tanta generosità personale e con tanta semplicità. Quello che mi ha colpito nei colloqui che ho avuto con lui era proprio questo modo così diretto, potremmo dire senza nessun protagonismo, ma lo stesso con una determinazione e con una convinzione profondissima. Lui dice di se stesso: sono presuntuoso ma non ambizioso. Mi ha molto colpito perché mi sembra molto intelligente: però la presunzione a mio parere è soprattutto l’ambizione di cambiare le cose e di vivere la propria fede nella storia, come è stato ricordato pienamente, nella spiritualità, nella ricerca, nell’idealità, di quel secondo padre che è stato don Giuseppe Dossetti, e che ha vissuto in una realtà umana – questo soprattutto volevo dire – che è la comunità della Piccola Famiglia della Visitazione. Lo dico perché è lì che l’ho incontrato, è lì che ci siamo ritrovati e che abbiamo riscoperto tanti legami comuni. E’ lì che anche ho capito come ha trovato in quella realtà la pienezza e il compimento della sua fede nella quale poi ovviamente non ha mai smesso di cercare la fede nella storia. Da credente e anche da uomo di Chiesa. Prima veniva ricordata la sua disponibilità a dirigere Bologna Sette, per niente scontata; per tanti motivi poteva essere, se fosse stato un approccio ideologico, facilissimo per certi versi, e molto più anche così appagante; invece al contrario, non credo facile, ma la sua generosità, che tutti ricordiamo, la sua disponibilità anche a dare il suo contributo a Bologna Sette – organo della Diocesi di Bologna – con la sua sensibilità, mi sembra proprio la dimostrazione di una obbedienza mai rassegnata, in cui non ha mai smesso di difendere la sua libertà, la sua autonomia, ma anche all’interno di una Chiesa che sognava vicina alla gente, che sognava in dialogo, che sognava piena di quella idealità che deriva dalla propria convinzione spirituale. Abbiamo parlato a lungo: soprattutto la sua preoccupazione era quella di ricostruire – e credo che lo dovremmo poi per obbligo quasi verso di lui – un episodio che fu importantissimo, quello del dialogo di Luigi Bettazzi e della lettera di Luigi Bettazzi, nella quale credo che anche Gigi fu molto coinvolto e che ha vissuto come un incontro sugli ideali che amava ricordare. Mi ha raccontato tantissimo di quella genesi e credo che dovremo coinvolgere appunto Monsignor Bettazzi in una ricostruzione doverosa di un momento così importante e difficile che tante critiche ha suscitato, e che in realtà era proprio la convinzione che soltanto sugli ideali e soltanto con uno sguardo rivolto al futuro si poteva trovare l’unità profonda per la ricerca del bene del nostro paese, per la ricerca da lasciare alle nuove generazioni. La sua profonda spiritualità è appunto vissuta nella lezione di Dossetti e in quelle settimane di Sovere, che mi sembra effettivamente che raccolgano non soltanto varie discussioni su vari temi, ma anche il suo punto di vista, la sua sensibilità e anche la sua maturazione in un ambiente comunitario che ha vissuto tanto anche negli ultimi anni. Indubbiamente il realismo storico e l’uso della Scrittura vengono da Giuseppe Dossetti. Le famiglie della Regola risolvono in modo diversificato tutti i problemi organizzativi e logistici del programma in relazione alla distribuzione territoriale di case, di nuclei di fratelli, sorelle, sposi; e questa lettura continuata che in realtà diventa una lettura anche continuata della storia, in un continuo interrogarsi libero ma anche profondamente segnato dalla fede sui segni dei tempi. Ci sono credo due elementi fondamentali per capire Pedrazzi che sono la Costituzione e il Concilio. Della Costituzione potremmo raccontare come ancora negli ultimi giorni si difendeva dicendo che non erano costituzionali alcune necessarie attenzioni della sua famiglia e lui invocava qualche articolo della Costituzione dicendo ‘Non me lo potete fare, la Costituzione non lo permette!’. Il Concilio che ha vissuto e che è stato per lui il punto di riferimento e anche la ricerca come veniva ricordato anche prima. Ricerca che non ha mai guardato soltanto al passato, ma che ha continuato a interrogarsi sulle tante sfide, fino all’ultimo per certi versi, come veniva ricordato, in questi suoi commenti che credo abbiano veramente tanto da dare ancora oggi. Credo che i due riferimenti quelli della Costituzione per tutti, credenti e non credenti, e quello del Concilio per i credenti, siano due grandi lezioni che dobbiamo ancora tanto difendere e per le quali dobbiamo essere tanto resistenti (uso questo termine perché in più occasioni parlava Pedrazzi della resistenza e della liberazione): resistenza nei pensieri giusti propri attiva contro chi sbaglia, liberazione da limiti e insufficienze nostre, cominciando da quello stesso della formazione e informazioni, cioè la sua libertà di non essere condizionato. Ma la resistenza nasceva appunto dallo spirito della Costituzione. La fede: lui si interrogava su come interpretare con onesto idealismo e con ottimismo risanatore, il fatto che era difficile accettare la propria impotenza. E’ mortificante – dice – dover ammettere la propria impotenza, personalmente essendo molto presuntuoso e poco ambizioso, non direi proprio mortificazione. E’  assai più grave l’impotenza di ottenere risultati buoni da parte di chi ha e mantiene compiti di rappresentanza e di guida’. E dice, questa piccola croce di accettare la sfida dell’impotenza fa parte di una situazione che è stata già vissuta liberamente dal Signore della Storia, in ragione dei criteri con cui ci insegna a interpretare la sovranità. E in secondo luogo a moderare l’eventuale disappunto dovrebbe sopraggiungere un po’ di carità cristiana, laicamente detta solidarietà, per quanti con umiliazioni ben maggiori sono in abissi di impotenza radicale nella società e anche nel proprio corpo. E infine non è vero che l’impossibilità di influire sulle decisioni in atto ci escluda dalla possibilità di influire su quelle che si stanno preparando. E’ molto probabile che in questi inizi un cittadino attivo possa fare più e meglio di tanti parlamentari. Lo dico non per svilire la loro alta funzione, che nell’immediato è importantissima, perché è bene sapere quanti fili leghino le mani dei giusti saliti in altezza, purtroppo il più delle volte con compagnie molto attente a vantaggi personali e interessi forti. Rivendicava cioè il ruolo attivo della pace e se accettare in parte le proprie difficoltà ma sempre nella convinzione che un solo cittadino può influire sulla storia. Il suo è un cristianesimo libero dalla cristianità, che cerca ciò che è cristiano, lo vive: credo che la comunità di don Giovanni è stata la sua realizzazione e anche per tutti quanti noi la sua esperienza umana e religiosa ci aiuta a guardare con dolce e pacata determinazione e con buonumore le sfide che abbiamo davanti. Concludo: credo che la Chiesa di Bologna deve ringraziare molto Luigi Pedrazzi, ed è il motivo per cui veramente con gioia ho accettato di essere qui, perché la sua testimonianza e la sua fede nasce da questa Chiesa che lui ha amato e ha sollecitato e a cui ha indicato anche un itinerario di serietà personale, di impegno personale, e che credo che ci aiuta tanto, noi che possiamo liberarci da tanti retaggi di cristianità e che abbiamo oggi direi il dovere di gareggiare, potremmo dire nella idealità; che non dobbiamo faticare come Pedrazzi e tanti per una Chiesa che fa della sinodalità, dell’incontro, della discussione, che non ha paura di essere un poliedro e credo che le tante sofferenze e le tante fatiche che ha sempre affrontato con buonumore Luigi Pedrazzi oggi sono un impegno per noi, per amare insieme la Chiesa e la città degli uomini – uso questa espressione perché quella di Dossetti è quella che ci ha accompagnato anche in questo anno del Congresso Eucaristico – in cui le proprie convinzioni personali si ritrovano insieme per costruire una città degli uomini che difenda fino in fondo la vita e la dignità di ciascuno; quella passione che Luigi Pedrazzi ha tratto dal Vangelo e che ci consegna, e che credo noi abbiamo la responsabilità di vivere perché questa sua vita possa continuare a dare tanti frutti e possa aprire nei segni dei tempi che dobbiamo vivere oggi, nuovi orizzonti. Quindi grazie di questo ricordo. Credo che ci aiuterà tanto a continuare a impegnarci e a sognare per il futuro. Grazie di cuore.

22/09/2017
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