Lectio pauperum “I disabili ci rendono abili”

Cerchiamo di “leggere” quella Parola di Dio che è la storia, i segni dei tempi che ci parlano di Gesù, che ci aiutano a capire quello che dobbiamo fare e le scelte. Il Vangelo non è fuori del tempo, anzi ci fa entrare nel tempo, ci fa capire quello che viviamo e la presenza di Dio nascosta in esso.
Ogni incontro e ogni persona sono come “versetti” e “capitoli” da comprendere: in essi si nasconde il mistero di Dio stesso. Quante cose di Dio possiamo apprendere dalla Lectio Pauperum! I poveri diventano i nostri maestri. Vogliamo aiutarci a comprendere le loro domande proprio come se si trattasse della Parola di Dio. Se li conosciamo più profondamente sapremo valutare l’importanza del servizio e, soprattutto, ameremo con più intelligenza e con quel “di più” di amore che Gesù ci chiede. Dobbiamo guardare i poveri e non quello che noi pensiamo di loro! Essi hanno il diritto alla comprensione, ad essere capiti anche nelle tante cose non dette. In verità sono così eloquenti, se ci fermiamo e li ascoltiamo. Dobbiamo andare al di là dei pregiudizi o comprensioni superficiali e comprendere con l’intelligenza dell’amore, con quella capacità di immedesimarsi che è propria della misericordia.  Non smettiamo mai di capire il povero. E non basta semplicemente “fare qualcosa” per gli altri. Il povero ha diritto, forse più di tutti proprio perché è il più debole di tutti, alla tenerezza, alla comprensione, all’ascolto, alle risposte migliori al suo bisogno. E’ proprio lo sguardo contemplativo, che non ci fa scappare dalla realtà, ma penetrarla.
Se non ci fermiamo – basti pensare al sacerdote e al levita della parabola evangelica – non capiremo nulla dell’uomo abbandonato lungo la strada; resterà uno sconosciuto, che può farci paura oppure che ci dà fastidio. Noi dobbiamo fermarci. Non basta gettare uno sguardo affrettato. Certe cose si vedono solo piangendo con chi piange! Come Papa Francesco spesso ripete, dobbiamo avvicinarci, guardarlo negli occhi, toccare il suo corpo, farcene carico e portarlo in quella locanda che è la comunità. E poi ancora tornare da lui, non accontentarci di un incontro. E’ bene ricordare che il povero non è una categoria astratta e sempre uguale. In ogni povero c’è sempre una domanda da capire e da discernere: scopriremo tanta sofferenza intorno a noi ma anche tante opportunità di aiuto.
Scriveva San Giovanni Crisostomo: “L’amore non guarda ai propri interessi, ma prima che ai propri guarda a quelli del prossimo, per vedere, attraverso quelli, i propri”. Questo è il frutto della Lectio Pauperum, incontrando nella nostra vita e nel prossimo la presenza di Cristo, cercando di leggerla con sempre maggiore conoscenza e umanità e lasciandoci cambiare da questa. Scopriremo quanto siamo amati e la gioia di amare, capiremo tanto della vita, troveremo tanti motivi del nostro servizio. Perché i disabili non sono un oggetto, ma fratelli a pieno titolo delle nostre comunità.
Quante barriere invisibili, oltre alle troppe barriere che ancora impediscono e sconigliao di muoversi come tutti.  Dobbiamo scoprire nuovi gesti e linguaggi, forme di comprensione e di identità, nel cammino di accoglienza e cura del mistero della fragilità. Ci sono giudizi scritti, diagnosi senza appello, come i certificati di invalidità. Bisogna scoprire il pensiero inespresso e una vita interiore a molti di quei disabili misconosciuta.  L’handicap non è frutto del destino o di una
colpa, non è mai il deficit che manifesta. Occorre distinguere la persona dal
sintomo e ristabilisce l’unità tra “corpo” e “anima”.
 Quante volte i disabili, e con loro quindi tutti, sono allontanati o azzittiti, tanto che essi stessi pensano di avere qualche colpa, non disturbano, credono giusto non chiedere! Basta a volte solo uno sguardo di sufficienza o semplicemente insistente per far sentire un peso, poco opportuno, inutile, strano. E’ sufficiente il paternalismo, che fa sentire buoni chi lo esercita, ma priva di significato chi lo subisce. E’ molto più presente e molto più dannoso di quanto pensiamo!
Solo con una misericordia eccessiva capiremo le lorodomande nascoste. E anche aiutarle a esprimersi. C’è la comunicazione facilitata: penso che l’amore vicendevole, l fedeltà nell’amicizia, il rispetto profondo, il sapere riconoscere il dono dell’altro aiuterà nella loro e nostra comunicazione, facendoci scoprire l’umanità nascosta, la belelzza dei disabili ed anche in noi, che purtroppo quasi sempre resta sepolta dalle paure, dalla superficialità, dalle difficoltà di comunicazione. Anche la nostra! Solo aiutando gi altri capiamo chi siamo. Solo amando troviamo noi stessi.
Hanno una richiesta evidente di affetto. Come i bambini del Vangelo, che vengono portati a Gesù perchè li “accarezzasse”. Eppure è proprio questa richiesta – che appare eccessiva ai discepoli scrupolosi tanto che credono così di proteggere il maestro, la sua verità, il suo tempo, le cose importanti che deve fare e dire – che ci fa capire la misericordia di Dio! Papa Francesco ha detto che “l’unico eccesso davanti all’eccessiva misericordia di Dio è eccedere nel riceverla e nel desiderio di comunicarla agli altri. Il Vangelo ci mostra tanti begli esempi di persone che esagerano pur di riceverla. Sempre la misericordia esagera, è eccessiva! Le persone più semplici, i peccatori, gli ammalati, gli indemoniati sono immediatamente innalzati dal Signore, che li fa passare dall’esclusione alla piena inclusione, dalla distanza alla festa”.  E’ esattamente quello che ci insegnano i nostri fratelli. Ci insegnano ad esserlo e a diventarlo, perché il Regno dei cieli e per chi è come loro e se non diventeremo come bambini non entreremo nella pienezza della vita.
Per capirlo noi dobbiamo essere esperti, certamente – nella Lectio Pauperum dobbiamo anche imparare da professionisti che ci aiutino co gli strunmentid ella ricerca e della scienza – ma soprattutto esperti di umanità. Come una mamma che ha un figlio malato e alla fine impara più dei medici, perché sa quello che serve al suo figlio  e lo fa con il di più dell’amore!
Nell’Evangelii Gaudium si ricorda che (199) “Il nostro impegno non consiste esclusivamente in azioni o in programmi di promozione e assistenza; quello che lo Spirito mette in moto non è un eccesso di attivismo, ma prima di tutto un’attenzione rivolta all’altro “considerandolo come un’unica cosa con se stesso”.
I disabili chiedono questo: essere una cosa sola con l’altro. E poi se non si accoglie e non si gareggia a stimarci a vicenda si finisce per allontanare e per disprezzare, tanto che diventano, con o senza eleganza, degli scarti.
Esse chiedono e vivono una comunità ecclesiale meno anonima, capace di rassicurazione nelle paure, più vicina, più comunicativa, meno “condominio”, tenera, più attenta alla fragilità di ognuno, più affettiva. Essi ci chiedono quello sguardo di vicinanza, quell’amicizia sociale, in una generazione così segnata dall’anonimato e allo stesso tempo, come scrive Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium (169) “spudoratamente malata di curiosità morbosa”. I disabili hanno invece una curiosità affettiva! E cel ricodano, come ci aiutano a non dimenticare, perché ricodano tutto e solo la memoria affettiva può aiutare a dare sicurezza alla loro incertezza.
I disabili ci chiedono e insegnano “l’arte dell’accompagnamento”. Del resto noi tutti abbiamo bisogno di essere accompagnati, generati, guidati, di non essere lasciati soli perché è sempre vero e per tutti che “non è buono che l’uomo sia solo”.
Essi chiedono e vivono il Vangelo, finalmente un Vangelo tutto davvero per tutti! E questo non è affatto scontato!  Il dibattito che a partire dagli anni ’80 si è sviluppato nella Chiesa cattolica sull’accoglienza dei disabili nella comunità ecclesiale e sulla loro partecipazione ai Sacramenti non è ancora acquisito. Spesso essi sono ancora de factco considerati presenza passiva, secondo alcuni tollerata, tanto che i pareri divergono sull’ amministrazione dei Sacramenti. Qualcuno giudica inutile la loro partecipazione, invocando una pretesa comprensione intellettuale e della volontà del soggetto che vive la comunità o riceve il Sacramento. La tentazione di ridurre la fede a cerebralità come se le parole o categorie razionali siano l’unico modo per viverla è in realtà ancora molto pervasiva e diffusa. Nel Vangelo ci accorgiamo, invece, che la fede è un dono, è una fiducia molto concreta nella potenza di Gesù che guarisce e salva. Essa si esprime in modi molto vari, come ad esempio in un gesto che avvicina a Gesù dato come eccessivo da quegli stessi discepoli che amavano piuttosto discutere su chi di loro fosse il più grande e proprio per questo umiliavano i piccoli! Gesù si indigna con loro! La fede si rivela nella semplice richiesta d’aiuto o nel grido di pietà o anche nella stessa intercessione di altri.
Non è questa la comprensione affettiva che riesce a comprendere quello che i dotti e si sapienti, invece, non riescono proprio a capire, il mistero del regno che è rivelato proprio ai piccoli? Questa si manifesta soprattutto in maniera sorprendente nella domenica. Essi ci chiedono una celebrazione che esprima un diffuso senso di gioia, per la presenza di Gesù “quell’amico che non ci lascia mai”. In esistenze segnate spesso dalla sofferenza e dal limite si manifesta un’esperienza di resurrezione di una vita più forte della morte e di una domenica che fa risorgere anche dalle difficoltà della vita quotidiana, l’accettazione del proprio limite e una gioia davvero pasquale. Essi chiedono non un vangelo a metà, ma personale, chiaro, vero, dolcemente esigente, di comunione, perché nessuno è condannato alla solitudine, quella solitudine che pesa su tutti, ma in particolar modo sui deboli. Nei disabili l’adesione al Vangelo è semplice, diretta, sempre molto concreta. Il loro modo di affidarsi, voler bene e credere esprime la fede profonda di chi ha colto quello che veramente conta nella vita: l’amicizia con Gesù e la fiducia nella sua Parola che tutto può, che salva e libera dal male.  Loro “immaginano” la presenza e pregano la sua misericordia, in tutte le loro occupazioni. Sotto il velo di quella che ad alcuni può apparire “stranezza” rivelano in realtà una grande sapienza, per noi che facciamo fatica a distinguere il bene e il male. Si esprimono per dire l’essenziale e trovano l’unico necessario nell’amore per il Signore, che dilata non solo le porte del cuore, ma anche la cultura, divenendo così la chiave per capire il mondo complesso.
Nella carezza di Gesù, descritta dal Vangelo di Marco, c’è tutta la tenerezza di Dio, il suo segreto di amore necessario a tutti. Senza una comprensione affettiva non si comprende la realtà e nemmeno il Vangelo! Il modo affettivo è quello del Buon Pastore. Sempre Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium (125) afferma che “per capire questa realtà c’è bisogno di avvicinarsi ad essa con lo sguardo del Buon Pastore, che non cerca di giudicare, ma di amare. Solamente a partire dalla connaturalità affettiva che l’amore dà possiamo apprezzare la vita teologale presente nella pietà dei popoli cristiani, specialmente nei poveri”. Quanto c’è di presunzione e di sopravalutazione di sé nella nostra idea di razionalità! Il dono dei disabili è quello della parresia. Parlano a tutti di quello che hanno incontrato e della loro gioia. Ma anche “sentono” la tristezza o la gioia negli altri e ne sono condizionati, come deve essere nella fraternità. Abbiamo ragione noi con la nostra freddezza, con le distanze che creiamo e sappiamo giustificare oppure la loro sensibilità? L’amicizia è un messaggio che ciascuno, malgrado si senta privo di valore o di capacità attrattiva- e questo capita anche ai cosiddetti sani ed abili, pensiamo al mondo della depressione- l’amicizia è un messaggio chiaro: “Tu vali per qualcuno”. La loro fragilità e la loro semplicità smascherano i nostri egoismi, raddrizzano tante tortuosità inutili, liberano da ruoli cui purtroppo diamo tanto valore anche se sono proprio modani, rendono impossibili le chiacchiere che sovente si insinuano nelle nostre comunità e che la purezza di cuore dei disabili non possono tollerare. La debolezza diviene la nostra forza, liberando da pretese di autosufficienza e ci guidano all’esperienza della vicinanza e della tenerezza di Dio, a ricevere nella nostra vita il suo amore, la sua misericordia di Padre che, con discrezione e paziente fiducia, si prende cura di noi, di tutti noi. Le persone disabili ci aiutano adaccompagnare, perché la  sola accoglienza non basta e a difendere, cioé a metterci dalla parte di chi è più debole, per cercare i diritti ancora troppo spesso negati. L’ amicizia con Gesù è una cosa seria, vera, e viene vissuta con immediatezza e senso di contemporaneità. Tanto che istintivamente si identificano nelle figure evangeliche. Negli  handicappati l’adesione al Vangelo è semplice, diretta, sempre molto concreta.  Il loro modo di affidarsi, voler bene e credere esprime la fede profonda di chi ha  colto  quello che veramente conta nella vita: l’amicizia con Gesù e la fiducia nella sua Parola che tutto può, che salva e libera dal male. La fede consiste nell’imitare  Gesù, i suoi gesti e i suoi sentimenti e si realizza nel condividere  le grandi battaglie per chi soffre, per chi è vittima. Ed essi sentono istintivamente il “piangere con chi è nel pianto”.
“Tu prova ad avere un mondo del cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole”, cantava un poeta. E’ questa la condizione e la condanna di tanti deboli. La Comunità cristiana può scoprire quel mondo che è nel cuore dei disabili e che aiutano tutti a trovarlo, a non perderlo, a liberarlo da tante immagini idolatriche del proprio benessere che lo induriscono e lo rendono disumano. Solo partendo dalla nostra debolezza e smettendo di cercare una forza che non esiste e ci disumanizza scopriremo la grandezza del nostro essere uomini.  

23/09/2017
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