Cristo Re – Vittime di strada

Il ricordo che ci unisce oggi sembra stridere con la festa di Cristo Re dell’universo. Oggi, infatti, ricordiamo il buio della vita che si spegne, quando il cielo cade addosso, la strada non è più lunga e diritta ma si fa brevissima e storta. Ricordiamo, e il ricordo è dolcissimo e atroce, tenero e pieno di tutta la vita, di quel soffio che è sempre la nostra vita, della quale misuriamo la caducità. Non ci abituiamo mai perché il desiderio della vita è sempre il futuro, è che non finisca, che l’oggi continui per sempre. Il problema della vita è il per sempre. Lo capiamo in quei tanti santuari di amore che vediamo ai bordi delle strade, con una foto, dei fiori, qualche oggetto caro, che sono anche un monito per tutti. Sono monumenti che rendono umana la strada pensando a chi lì ha perso la vita. Il ricordo immagina le parole, i sentimenti, soprattutto quelli che la persona cara portava con sé, ciò che aveva negli occhi. E poi le immagini finiscono, tutto diventa buio e questo è insopportabile e ingiusto. Come quando morì Gesù, Re dell’universo deriso, al quale fino alla fine gli rinfacciamo i sogni, la fiducia, l’amore dato. Lo umiliano gridando a lui: “Salva te stesso”. E lo rinfacciano a Colui che moriva per salvarci. Sarebbe: “Lo vedi che non serve a niente”, “fa’ come tutti i re di questo mondo che cercano di prendere quello che possono, di imporsi, di comandare, mentre tu regali luce, amore e servi invece di farti servire, liberi dalla paura invece di incuterla per farti obbedire”. Re dell’universo perché amore, quello che muove il sol e le altre stelle, che le stelle conosce tutte per nome, le conta, sono sue e le accende di luce. Sì, il cielo è terribile quando non ci sono le stelle, è senza riferimenti, per certi versi inutile perché non ci aiuta a camminare sulla terra. E non dobbiamo mai dimenticare che per trovare la strada, l’orientamento, dobbiamo sempre confrontarci con il cielo e che quelle stelle ci ubicano, ci fanno comprendere dove stiamo andando, ci aiutano a capire la nostra misura e, quindi, chi siamo. Anche per questo i cristiani dicono di qualcuno che moriva migravit inter sidera.

Ma il regno di Dio perché non si impone? È una delle domande che ci accompagna e che qualche volta diventa lacerante: perché? Domanda che ci spinge anche a cercare dei rapporti causa-effetto quasi sempre impropri. Altro è cercare giustizia, anche se sappiamo come niente può ridare la vita di chi non c’è più, perché l’ingiustizia rende ancora più amara l’assurdità della vita che viene spenta. Così è amaramente ingiusto non trarre consapevolezza da quel dolore. Ci sono le responsabilità personali, spesso legate terribilmente alle dipendenze, altre volte a inadempienze burocratiche, come non segnalare a dovere, oppure ad esempio fondi stradali non consoni. Dobbiamo anche dire che lottare contro queste è un modo per evitare che altri perdano la vita. C’è senz’altro la fatalità, quella che facciamo fatica ad accettare, soprattutto perché non capiamo per quale motivo il Signore la permette. Vi ricordate Marta e Maria, le due sorelle di Lazzaro, che rimproverano confessando la loro fede ma anche la delusione di fronte alla morte: se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto. Se tu fossi stato lì, il pezzo della mia vita, mio padre, mio fratello, mio figlio, non sarebbe morto. C’è qualcosa che possiamo fare noi: è uno dei due significati di questa Giornata e anche di questa celebrazione. Noi possiamo scegliere di vivere perché non avvenga più, per contrastare il male che vuole ghermire la vita. Ci sono atteggiamenti irresponsabili, leggerezze di tanti che si credono re di se stessi. Siamo noi che viviamo l’egocentrismo, sempre, e questo si enfatizza ancora di più sulla strada, per cui ci siamo noi, quello che debbo fare io, il cellulare, il correre dietro a qualcosa per non restare indietro, per poi perdere tutto. C’è la scelta di fare finta che il limite non esista, quindi di non fermarsi, mettendo e mettendosi in pericolo. Diventando, così, uno dei banditi che per strada tolgono metà della vita a quell’uomo che camminava. È una vera pandemia la strada, un bollettino di una guerra che dobbiamo evitare cercando comportamenti e stili di vita attenti perché il problema non sei solo tu ma anche l’altro. Se corri troppo o se corri dove non puoi, come non pensare che puoi fare del male? Essere incoscienti non giustifica perché lo sappiamo. Non dobbiamo imparare ad aspettare, andando con più prudenza, non rispondere compulsivamente o non mandare immagini in quella attrazione digitale che sempre ci ottunde e ci porta a fare del male? L’egocentrismo porta a pensarsi troppo sicuri, a farci prendere dal nervosismo invece di essere temperanti e prudenti (insieme alla giustizia e alla fortezza sono virtù cardinali della vita anche sulla strada). Il ricordo, infine, deve fare scegliere di investire tanto sulla sicurezza affinché le strade siano anche illuminate, sicure, senza pensare che “non capiterà mai” ma dicendo “è capitato, può capitare”. E fare il massimo perché le strade siano sicure. Ma c’è un problema, che è il secondo significato del nostro ritrovarci oggi. Si è spento tutto? Dove finisce la loro strada? Ritorniamo al punto di partenza e la vita si conclude come un cerchio finendo in se stesso? Ecco la bellezza di questa memoria con Gesù. Lui è Re dell’universo e ce lo fa vedere come esercita il suo dominio: amando. Lui è il buon samaritano che era accanto a quell’uomo e lo ha sollevato portandolo nell’albergo del cielo. Anche lui muore per strada, dove tutti passavano, e percorre quella via dolorosa che è diventata tale per i nostri cari. Lo fa per indicarci chi comanda e come si vince il male: volendo bene. Il primo modo è avere orrore di fare il male, conservare il timore di farlo a sé e agli altri. Siamo vulnerabili, non onnipotenti, e Dio si è fatto vulnerabile perché solo così possiamo vivere. Siamo fragili, fragilissimi e non forti. Per questo è insopportabile quando mettiamo in pericolo per incoscienza, per esibizione, per abitudine. La nostra luce è un re come Cristo, che soffre con noi, che soffre e apre la strada perché questa non finisca. Quello che sappiamo è che Gesù muore perché nessuno muoia come Lui, solo. Gesù era accanto ai nostri cari, piange come noi e con noi, e vuole asciugare le loro e nostre lacrime con la luce della sua speranza e del suo amore fino alla fine perché la fine non prevalga.

Accendi Signore, Re dell’universo, la luce del tuo amore, quella che ha avvolto i nostri cari. Tu sei vittima della cattiveria del male e delle complicità degli uomini. Insegnaci a rendere le strade luoghi dove la vita passa e non si perde, dove le persone si incontrano e si aiutano, pellegrini tutti verso l’eterno, Tu che sei la via, la verità e la vita perché Dio di amore infinito.

Bologna, Cattedrale
21/11/2021
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