Dedicazione della Cattedrale

Oggi celebriamo le radici della nostra comunità, questa casa che custodisce il passaggio di generazione in generazione così fisico. Farlo relativizza il protagonismo, che riduce tutto al nostro io e al presente e ci ricorda che siamo tutti solo servitori di una vigna e per un tratto della sua storia, tanto più grande di noi. Ringraziamo di essere parte della Chiesa, tutti figli di questa madre che con dolce insistenza, credendo nell’adempimento della Parola, supplisce alle nostre tante mancanze e continua a chiederci di ascoltare e “fare” la sua Parola. Noi siamo Giovanni al quale è affidata, che la prende con sé, la protegge. Ma anche siamo noi Giovanni, affidato ad essa, della quale sente la dolcezza di potere essere sempre figlio. Come non amare e aiutare una madre così? Siamo servi di una casa che non vuole essere sterile, compiaciuta di quello che ha, come suggerisce il persuasivo narcisismo o il banale pensare a sé. Vogliamo dare frutti e seminare con larghezza il suo amore per quelli che vediamo e per quanti verranno dopo. La casa del Signore, come la vigna del Vangelo, non la possediamo se non correndo il rischio di perderla e di toglierla così anche agli altri. Infatti è nostra solo se la amiamo. Siamo parte di questa adunanza festosa e assemblea di primogeniti iscritti nei cieli, famiglia raccolta con cura dall’amore di Dio. Quanto è vero che non esiste una vita cristiana fatta a tavolino, frutto delle nostre formule e geometrie, perché essa è un cammino concreto, sporco della nostra umanità, che possiamo capire solo vivendolo nella storia. Questa madre, che contiene tutti noi e tutte le nostre comunità, è attenta a quella moltitudine di persone che le sono affidate e della quale non vuole perdere nessuno.
Certo, di fronte ai limiti delle nostre persone e alle tante sfide che abbiamo davanti per costruire il tempio di Dio tra gli uomini, possiamo provare un senso di sproporzione tra le nostre personali risorse e le domande che ci raggiungono e le nostre inquietudini per il futuro, che ci portano o ad accontentarci di quello che facciamo o a credere possibile solo sopravvivere schiacciati da impegni che sembrano eccessivi. Oggi ci presentiamo qui con tanti frutti di amore, restituendo quanto da questa casa si è riversato nella città degli uomini. Saperli vedere e raccontare ci aiuta tanto. Lo vogliamo fare non per parlare di noi, anzi, ma per raccontare le meraviglie che Lui compie attraverso i nostri poveri pani, per lodare l’amore del Signore tanto più grande del nostro cuore. Il protagonista parla di sé e sempre al singolare; il figlio parla di Lui, della forza del suo amore e sempre al plurale. Il Congresso e la visita di Papa Francesco, che presiede nella comunione, ci hanno aiutato a capire con più chiarezza e gioia il dono di questa casa. Abbiamo ascoltato il suo invito alla diocesanità, per non sperimentare la condanna della nostra generazione che confonde libertà con individualismo. “Vae soli!”, ci ha ricordato riprendendo i Padri del deserto. Ci ha indicato i modi per vivere questa: la trasparenza, il coraggio di parlare e di sopportare, la parresia per vivere bene la diocesanità. Essa non riguarda solo noi, ma tutto quel popolo di ministri di Dio che sono i fratelli e le sorelle. Nella Chiesa ognuno ha un ministero che attende di essere riconosciuto e valorizzato. Infatti questa casa ci affida il suo dono più prezioso, la comunione ecclesiale, che ci associa fin da adesso a quel mistero di amore che vivremo pienamente in quell’unica casa con molto dimore. La comunione è qualcosa di “divinamente efficace”, diceva Papa Benedetto. E’ affidata alla responsabilità di ciascuno. Essa è come la carne della Chiesa che se è raggiunta dalla linfa creatrice dello Spirito di Dio trasforma l’umanità con il suo soffio di amore. Amiamo e difendiamo sempre e sopra tutto la nostra comunione. Sia questa l’unica ragione da difendere, anche a costo di metterne da parte qualcuna se ci divide. Affiniamoci nel gusto della vita comune, nella premura concreta verso il fratello, dimostrando che non possiamo fare a meno di lui, preoccupandoci del suo ruolo e non del nostro. Sì è vero, che Dio abita sulla terra e il suo tempio è pieno dell’amore gratuito dei fratelli!
Gesù con la sua Parola libera questa casa e il nostro cuore dai tanti accomodamenti che a volte solo per pigrizia altre per piccola convenienza la soffocano, la rendono lontana e poco accogliente, nascondono la presenza di Dio. La sferza di cordicelle della sua Parola ci libera dalle abitudini e dalla rassegnazione che ci fanno guardare senza speranza le difficoltà, pure esistenti, tanto da finire per credere che non ci sia nulla di nuovo. La sua Parola allontana la sottile disillusione, che si crede realista e intelligente, e ci aiuta ad essere uomini di speranza, a vedere i “misteriosi piani della Divina Provvidenza, che spesso al di là delle nostre aspettative dispone tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa”. E se vediamo i misteriosi piani della Provvidenza il cuore arde nel petto e troveremo naturalmente la via di comunicare la gioia del Vangelo. In questo anno dedicato alla Parola, la seconda di quelle tre P che Papa Francesco ci ha affidato, mettiamola anche fisicamente al centro della sua casa, lasciamo che essa parli con tutta la sua esigente semplicità e ci aiuti a ritrovare lo zelo, la passione per costruire la Chiesa. La Parola liberi ogni nostra comunità ed il nostro cuore dalla tentazione della scontatezza e della mediocrità, che rendono la casa di Dio, il suo tempio, piccolo, mentre anche la più piccola è grande perché in essa c’è il Signore. La sferza di cordicelle libera dalle tante glosse che soffocano il Vangelo, che rendono la sua parola lontana e le nostre paternaliste. Essa ferisce l’orgoglio del giusto ma consola teneramente il peccatore. La Parola abbassa i potenti e innalza gli umili, restituisce la casa a Dio e all’umanità che Egli ama, casa di preghiera e di fraternità. La Parola libera il tempio di Dio che siamo noi dalla logica del possesso, della mondanità e ci rende pieni solo del suo amore gratuito e forte. Confortiamoci allora a vicenda, condividendo largamente il pane dell’amore vicendevole e donandolo con fiducia a tanti.
Don Milani, figlio esigente e obbediente della Chiesa, pregava così con i suoi ragazzi: “Signore, io ho provato che costruire è più bello che distruggere, dare più bel che ricevere, lavorare più appassionante che giocare, sacrificarsi più divertente che divertirsi. Signore Gesù fa che non me ne scordi più”. Questa casa, che è madre nella fede, ce lo ricorderà sempre e ci aiuterà a viverlo.

19/10/2017
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