Esequie di don Dante Campagna

Dio è misericordia e ogni casa del Signore è sempre casa di misericordia, porto di salvezza nei tanti naufragi della nostra vita, dove arriviamo per rientrare in noi stessi. Infatti, diventiamo pienamente padroni di noi proprio quando ci lasciamo stringere dal sempre sorprendente abbraccio di un padre che con il suo amore ci restituisce a noi stessi e ci fa capire chi siamo restituendo la dignità perduta. Questa casa, che la misericordia la porta nel suo titolo, è quella di un Dio che è padre, che mette prima della giustizia la misericordia. La misericordia è il giogo di Dio, dolce e leggero, non imposto, scelto, libertà sua e nostra, che ci porta non schiavitù ma piena realizzazione di noi, non alienazione o pensiero unico ma il senso originale della nostra vita. Qui celebriamo, ancora insieme a don Dante, il suo e nostro ringraziamento, sempre di tutto e per tutto, consegnandolo al Signore che si fa presenza, corpo, parola. Fino all’ultimo è stato accompagnato dall’amore dei suoi, dalla sua famiglia, la carissima sorella Anna Maria, morta due anni fa, il fratello Gianpietro, i nipoti Massimo e Giovanna e poi dalla famiglia del “cento volte tanto” e dei fratelli più piccoli di Gesù, così concreta qui, come sempre deve essere. Lo avete circondato di affetto e protezione grande, tenera, viva fino alla fine (penso alla partecipazione a tanti eventi diocesani che ha vissuto tutti, fino all’ultimo, con profonda commozione e comune gioia, da vero patriarca e eminenza per tutti noi!). Don Dante ha celebrato qui il mistero di amore che unisce cielo e terra. Scriveva: “La messa è sempre il sole della vita: per noi sacerdoti e per voi fedeli è sempre la sorgente da cui promana ogni energia della chiesa. Rendiamo pur grazie di tante cose belle e buone che il Signore ci ha donato in questi anni in cui abbiamo lavorato per il suo regno. Chiediamo al Signore di essere sempre unanimi, un cuore solo e un’anima sola, nella preghiera, nell’amore reciproco, nel lavoro”. Semplice e molto vero, come tutta la sua vita. Mi raccontava don Mario che durante la celebrazione negli ultimi anni aveva il dubbio se don Dante seguisse tutto lo svolgimento, dubbio che si chiariva immancabilmente all’abbraccio della pace quando, quasi in maniera impercettibile ma molto evidente per chi è attento alle cose piccole (quelle in realtà dei grandi gesti dell’amore), tendeva la sua mano perché fosse stretta. E’ il segno di tutta la sua vita, di uomo diritto, semplice e fedele, essenziale, che ha cercato quello che conta, l’unica cosa che conta: volere bene. E proprio per questo si è fatto volere bene. Voleva, per esempio, che accogliessero i tanti che non potevano partecipare alla S. Messa. Quando organizzava la celebrazione per gli ammalati assicurava di “andare a prenderli a domicilio per poi riaccompagnarli”, credo coinvolgendo tanti per farlo e augurandosi che questo avvenisse tutte le domeniche. Il suo sogno era costruire una chiesa dove nessuno viene scartato e dove se non ci sei c’è un vuoto, manca qualcosa, come avviene quando ci si vuole bene. Immaginava la parrocchia come rivolgersi a tutti (si metteva spesso fuori della chiesa a salutare le persone, tutti), facendo sua la saggezza così umana e spirituale di S. Agostino che scriveva e che don Dante riportava: “Ci hai fatto Signore per te e inquieto è il mio cuore fin che non riposa in te”. Per questo non voleva una presenza passiva dei cristiani, come se la Chiesa fosse uno spettacolo o un’istituzione che eroga servizi. Scriveva: “Solo il sentirsi protagonisti, responsabili della vita della comunità o modestamente il fare qualche cosa di bello per Dio, come dice Madre Teresa, garantisce il futuro della comunità”.
La sua storia ha radici antiche ed ha attraversato tutto il secolo scorso, davvero breve. Borgo Panigale, la sua famiglia cristiana, Villa Revedin ancora bambino ma con una chiara volontà di farsi prete. La guerra lo ha confermato nella sua scelta di cercare quello che serve e di combattere il male sempre, seminando amore con la convinzione che solo questo può sconfiggere la barbarie e l’uomo lupo di se stesso. Penso in particolare ai suoi compagni di Seminario e a Don Fornasari, diacono. Condivideva l’ascolto della radio, il sogno della libertà, l’idealità contro la razza o la supremazia o contro quella velocità esaltata che uccideva in nome del futuro e disprezzava la debolezza e quindi l’uomo stesso, contro quel paganesimo pratico che c’è sempre in ogni ideologia razzista o che sacrifica l’uomo alle idee. Era il 5 ottobre 1944 quando Don Mauro Fornasari veniva barbaramente ucciso dalle Brigate Nere in località Gessi di Zola Predosa. Si consegnò come Gesù al martirio per salvare i suoi. Fornasari applicava il vangelo alla lettera nel senso che più volte aiutava le persone in difficoltà senza guardare a quale parte appartenessero. Don Dante parlava spesso di lui e ricordo la sua commossa partecipazione alla Messa in suffragio a Longara. Di don Mauro diceva che i suoi erano i principi cristiani e non di parte a ispirarlo. Non a caso i parenti di don mauro regalarono proprio a don Dante la talare che avevano già acquistato per l’ordinazione sacerdotale. Il cristiano è sempre dalla parte di Dio e quindi dell’uomo, dalla parte del prossimo e non dappertutto, meno che mai dalla parte delle omissioni e delle complicità con il male.
Venne ordinato prete nel 47 da Nasalli Rocca tra i primi dopo la guerra e subito mandato a Calderara di Reno, dove rimase fino al 1979. Si adoperò alla costruzione della chiesa distrutta dalla guerra ma ancora di più alla costruzione della chiesa come comunità di fratelli, di quelle pietre vive raccolte insieme dalla pazienza di Dio e senza le quali l’edificio rimane vuoto.
Negli ultimi anni non parlava, se non con tantissima difficoltà, ma era eloquente e il suo discorso era la fiducia, le sue parole erano la vita stessa, la sua presenza, il suo sereno abbandono, fiducioso, tranquillo come il bimbo svezzato in braccio alla madre descritto dal salmo. Davvero ci ha insegnato a tendere le mani e farsi accompagnare da quel qualcuno che è sempre un fratello e sempre il primo fratello che è Gesù. Ci porta in realtà dove non vorremmo per la paura e l’inevitabile istinto di conservazione, ma dove vogliamo perché Dio compie la nostra vera volontà, come ricordava S.Agostino, il nostro desiderio, la nostra unica vocazione, quel brano di Vangelo che è stato affidato da Dio proprio a ognuno di noi per farlo conoscere attraverso di noi agli uomini. Per me il Vangelo che Dio ha affidato a don Dante è stato proprio quello che la liturgia,- non lo abbiamo scelto – ci fa trovare oggi: umiltà e mitezza verso tutti e sempre. La mia immagine a riguardo è il suo sorriso disarmante e disarmato. Questa era la sua vittoria su tutto. Nel 50 un bambino aveva scritto di lui, con l’intuizione dei piccoli: “Don Dante ha l’accoglienza di tutte le persone che hanno bisogno e lo fa con tutto il cuore”.
Dio compie la vita perché ci porta alla pienezza dell’amore, senza filtri o limiti ma pienamente una cosa sola. E’ quello che attende la creazione nei suoi gemiti e nelle, a volte terribili, sofferenze. “Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te, Signore” per poi cantare con pienezza di cuore: “Sì, la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre”. Oggi si compie l’invito di Gesù, dolce, rassicurante, che orienta e non fa sentire turbati e smarriti: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro”.  E’ un invito che don Dante ha ascoltato e predicato, facendo sentire il ristoro lieve, amico, concreto della sua amicizia e del suo servizio. Oggi é solo per lui: vieni a me e io ti do il ristoro, l’unico che mette pace nel cuore, quello del mio amore che spegne la sete del tuo cuore.
Grazie don Dante perché hai preso su di te il giogo di Gesù, della sua Parola e del suo amore ed hai imparato e spiegato con la tua vita che Dio è mite e umile di cuore e hai trovato e offerto tanto ristoro, comprensione, sicurezza, perdono, misericordia alla vita del tuo prossimo. Grazie Signore per il dono della sua vita. Signore tu sei il nostro giogo e Tu per primo ti sei legato alla nostra povertà, non ci hai giudicato ma ti pensi per noi e non ci abbandoni fino alla fine, tua e nostra. Grazie Signore perché ci liberi dalla paura di amare e di amarti, perché il tuo giogo è davvero dolce e leggero, e ci affranca da quello pesante del nostro io e degli idoli di questo mondo. Grazie Signore perché il tuo giogo ci permette di attraversare il buio del male e del male ultimo che è la morte, passaggio sempre doloroso che con te significa nascita alla vita. Non siamo più stanchi e sfiniti perché senza pastore, i nostri passi non sono più un vagare incerto e le nostre lacrime sono raccolte nel tuo otre. Accogli nella tua casa don Dante e il legame a cui si è stretto lo sollevi dal buio per portarlo alla luce del tuo amore, al ristoro senza fine.
In pace.

19/07/2018
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