Esequie di don Ubaldo Beghelli

Sì, la volontà di Dio è avere sempre e per sempre pietà di noi, anche a costo di apparire troppo buono, come qualche volta risulta il Dio della misericordia. In fondo ha ragione Giona che rimprovera Dio di essere troppo tenero, di non distruggere, sconfiggere, umiliare, rendere inoffensiva Ninive, come sarebbe stato giusto, invece di costringere lui ad andare a cercare di salvare l’intera città nemica. La misericordia risulta ambigua a chi pensa che la verità sia altra cosa! Non bisogna dare una possibilità al peccatore, ma solo eseguire la sentenza che si era meritato! Il nostro Dio invece “getta in fondo al mare tutti i nostri peccati”. Come? Non se li ricorda? Così rischia si ripetano! Non fa pagare il dovuto? Sì, il nostro Dio è giusto e misericordioso e la sua giustizia, la vera giustizia, è per lui sempre e solo la misericordia. Questa è stata sempre una casa di misericordia.

Per il saluto a Ubaldo, per la sua ultima celebrazione in terra e la prima eterna nel cielo – e le due sono unite – non abbiamo scelto noi le letture, proprio come amava lui. Non lo sapevo. Anch’io lo faccio abitualmente, perché penso che il Signore parla sempre e che quelle che ci sono offerte contengono proprio ciò che ci permette di comprendere il nostro oggi. Ubaldo aveva tanta e immediata fiducia nella Parola, lampada per i nostri passi che li illumina quando l’oscurità è grande. Nel nostro tempo, oggi, mentre Gesù parla alla folla, quelli che secondo il mondo sono convinti di essere suoi e Lui il loro, lo mandano a chiamare, restano fuori e cercano di parlargli. Non entrano. Sono loro a mettere le condizioni, si sentono in diritto. Lo conoscono. È loro. Cercano di parlargli invece di ascoltarlo. Succede così a chi crede di essere l’erede della verità senza ascoltare Gesù, tanto da pensare di essere loro a imporre le condizioni. Alcuni vanno subito da Gesù a dirgli: guarda che stanno lì fuori, ricevili, sono i tuoi, c’è tua madre, i tuoi fratelli, cercano di parlarti! Gesù è sempre più largo del nostro cuore e lo si capisce solo, ma davvero solo, aprendo il cuore e non cercando di costringere Lui a confermare le nostre categorie e sicurezze. Si sentono depositari della verità. Non ascoltano la risposta di Gesù, come avvenne a Nazareth, dove proprio per questo non poté compiere nessun miracolo. La risposta di Gesù è davvero sorprendente. Ci spiazza perché pensiamo facilmente di essere suoi senza amarlo, senza ascoltarlo, seguirlo. Ma è anche sorprendente per noi che pensiamo di essere estranei, condannati a essere soli, peccatori, e invece siamo sua famiglia: adottati non per i nostri meriti ma solo per il suo amore. Chi sono i miei fratelli, i miei padri e le mie madri? «Chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre». Prego Gesù che lo possa dire di tutti noi. La volontà è chiara, è quella che noi chiediamo recitando il Padre nostro: che nessuno dei piccoli vada perduto, che i suoi fratelli più piccoli siano sfamati, abbiano acqua, vestito, visita, accoglienza, amicizia. Insomma, amore per i suoi fratelli perché sono fratelli e sono nel bisogno.

Ecco, oggi Gesù stende con affetto, tenerezza, la sua mano verso Ubaldo e dice: vieni, tu sei stato per me madre, fratello, figlio. E la sua mano non solo lo indica e ce lo indica, ma lo solleva per condurlo, stringendolo a sé, nella casa del cielo. Ubaldo costruiva intorno a lui la sua famiglia. L’ha vissuta per sé, grande motivazione del celibato che altrimenti è una prigione o una disciplina senza senso. Era familiare e faceva sentire amati. Voi siete la sua famiglia e tutti sentiamo così familiare Ubaldo. Guardate, non è per una questione di anagrafe! Ci sono presenze che accompagnano tutta la vita ma non generano nulla, restano distanti. Alla fine tutti noi raccogliamo quello che abbiamo seminato, sempre, nel male ma anche nel bene. Ubaldo ha pensato la Chiesa come la sua famiglia ed è stato familiare, anche quando non gli conveniva e poteva apparire un amore eccessivo, troppo buono. Ubaldo faceva sentire importanti tutti, ad esempio i giovani, tanto da restare lì con loro, magari addormentandosi, ma lì, come un padre, un nonno che c’era sempre. La famiglia inizia nell’ascolto della Parola di Dio, che lui prendeva sul serio, che conosceva a memoria e davanti alla quale si metteva in ginocchio. Era un uomo semplice e profondo, come i piccoli del Vangelo, quelli che conoscono, a differenza dei sapienti e degli intelligenti, il segreto del Regno. Era entrato in seminario a 11 anni e la famiglia di Dio per lui era quella dei sacerdoti dell’Onarmo che venivano d’estate a Medelana. “Se ho fatto bene dovete domandarlo ai miei parrocchiani…” aggiungeva, parco di parole, con la modestia e la semplicità con la quale ha conquistato la comunità che ha guidato per 45 anni, dopo essere stato a Corticella e a Decima. Ha costruito la casa della sua famiglia, bella, accogliente, calda. Come Gesù, ha preso sul serio i suoi familiari e verso di noi non aveva mai un atteggiamento freddo, paternalista, distaccato. Al contrario: avvicinava e si faceva avvicinare, metteva a proprio agio. Disponibile, buono e generoso, senza far mai pesare, con tanta umiltà, con la semplicità evangelica che è tutt’altro che superficialità (mamma mia quanta mediocrità in tante sapienze da quattro soldi perché senza vita, senza amicizia, senza amore!), avendo trovato l’essenziale e non perdendo tempo con quello che non conta! Era il “don” di tutti, credenti, non credenti, praticanti e non praticanti, gente di passaggio ed immigrati, accogliente e vicino alle famiglie. Era familiare degli altri perché familiare di Gesù. Penso che non si è familiare degli altri senza esserlo di Gesù e viceversa. Altrimenti si può essere dei tecnici, degli esperti che come in un consultorio spiegano le cose oppure ti aiutano a capirti. Ma Gesù non ha aperto un consultorio, ha dato la vita per i suoi amici e l’ha data quando non lo erano, quando non pagavano, quando non avevano interesse! Finché non capiamo questo non capiamo niente del Vangelo o lo riduciamo a formula dei tanti benefici tranquillizanti e non amore che produce amore, che inquieta, che spinge ad aprire la porta verso l’esterno, come sempre è l’amore, invece di chiuderla per paura o per lavori in corso, perennemente in corso, occupati come siamo dal nostro io, indaffarati ad affermarlo o a studiarlo.

Ubaldo era proprio il contrario dell’egocentrico: per lui al centro c’era Gesù, e il prossimo. Lo incontrava prima attorno all’altare e poi camminando, meditando la Parola, spezzandola come aveva imparato da don Giuseppe Dossetti. Non parlava di sé, ma di Gesù. Che lezione per tutti noi! Davvero un pastore, uomo mite, disponibile, profondo, che traeva la sua sapienza dalla preghiera e dalla lettura della Parola. Così come le sue omelie erano sempre ed esclusivamente incentrate sulla Parola di Dio. Cercava di non essere mai d’ostacolo per nessuno. La Messa per lui era una festa. Come un padre e una madre, imbandiva la tavola per noi e ci aspettava pazienti. Sempre accogliente. Ironico, disponibile. Ecco mio padre, mia madre, mio fratello. Mio. È mio perché ha amato e si è fatto amare. Senza inganno, senza furbizia, senza possedere, regalando.

Grazie don Ubaldo, maestro grande delle cose di Dio, che ci aiuti a non sentire i sapienti e gli intelligenti. Grazie per la tanta fiducia, perché sei stato familiare e hai creato famiglia, insegnaci ad esserlo. Il tuo ricordo ispiri tanti a seguirti, a perdersi per una famiglia così, per la quale non sacrifichiamo nulla ma troviamo tutto. Ecco mio figlio! Prega per noi e perché molto si mettano a disposizione generosamente, con tutto se stessi. Con gioia e semplicità di cuore.

Monteveglio, chiesa nuova di Santa Maria
19/07/2022
condividi su