Festa della Dedicazione della Cattedrale

La celebrazione di oggi, come sempre, ci aiuta a riscoprire la bellezza della nostra casa, a contemplarla piena delle nostre comunità, dei nostri confratelli e del popolo tutto che cammina con noi. È nostra ed è casa. Ci comporteremmo da estranei nella nostra casa? Certo, lo è secondo categorie diverse da quelle del mondo, del possesso, della considerazione, dei confronti, del credersi importanti e ascoltati se veniamo assecondati. È nostra perché la serviamo, con tutto noi stessi, come è dell’amore, in quel sacerdozio battesimale che ci unisce. Oggi ricordo con gratitudine che è anche la data del mio battesimo, motivo in più per rendere lode alla provvidenza di Dio che mi ha unito a questa Chiesa!

Doniamo la vita volentieri e non per sacrificio, senza interessi personali, perché qui la regola è quella del padre: tutto ciò che è mio è tuo. Come ridursi, allora, al capretto oppure pensare di trovare se stessi lontano da qui? Il figlio pensa di essere se stesso se scioglie i legami, ma il padre invece resta sempre legato a lui, tanto da aspettarlo con ansia e corrergli incontro. Pensiamo sempre alla sofferenza del Padre che non può fare a meno del figlio e ricordiamo anche la gioia sua e nostra per tanto amore ritrovato, la misericordia tanto più grande del nostro cuore. Sono questi i sentimenti che viviamo in questa casa.

La cattedrale ci aiuta a ritrovare il passo per camminare insieme a tutta la Chiesa, in primis con quella di Roma, di Pietro, del quale porta il titolo, e con essa con tutte le Chiese che da Oriente ad Occidente il Signore non smette di radunare. E anche la cattedrale ci aiuta a trovare il passo per camminare insieme a tutte la Chiesa di Bologna nelle sue tante, e tutte importanti, articolazioni. Dovremo trovare i modi per camminare tutti insieme, i ministeri istituiti, le diverse articolazioni di responsabilità e di comunità. Le soluzioni trovate debbono crescere e trovare forma più compiuta non in laboratorio ma nella vita. Dopo tanta sperimentazione e in mezzo a tanta incertezza possiamo costruire realtà stabili e accoglienti.

La nostra è una casa che conserva e innova, come avviene anche nelle sue espressioni artistiche. Riceve una tradizione e ha il dovere di comunicare a chi viene dopo l’amore che l’ha generata e la storia umana che ce l’ha trasmessa. È cattedrale, conserva la cattedra di colui che deve presiedere nella comunione. Appunto, nella comunione, che significa ascolto e anche scelte, inevitabilmente parziali perché umane, ma sempre e solo nella comunione. E domando perdono quando questo non avviene. La comunione tra Dio e noi, e tra di noi, è quella che distingue la casa dal tempio pieno di tavoli di cambiavalute.

Non è perfetta. Facilmente possiamo scoprire e ricordare le tante inadeguatezze, le contraddizioni, il peccato, la miseria. Circondiamola di tanto amore, di stima, che vuol dire anche chiarezza, ma nello zelo di volerla bella e capace di rispondere alle sfide. Non trattiamola mai con sufficienza perché è santa perché piena di Lui. È una casa di amore in un mondo pieno di sofferenze che cerca – in tanti modi, spesso drammatici, a volte onnipotenti, altre volte incoscienti – luce nel buio, speranza nella delusione, senso nello smarrimento, bellezza nel grigio. L’amore è di questo Padre e di questa madre che comprendono meglio di qualunque tecnico la nostra vita, non danno qualche interpretazione, ma se ne fanno carico, tanto da cercare la pecora smarrita e da non stare bene finché non la si trova perché è sempre nostra anche se si è allontanata. Questa casa ci aiuta a cercare la vera casa verso la quale siamo diretti e ad amarla, a stringere relazioni con tanti che fanno parte, tutti, di questa comunione, ci aiuta a cercarla. Lì ritroveremo tutto quello che abbiamo legato o sciolto sulla terra. Il dono che è ognuno di noi è ricchezza di comunione: non sottraiamolo mai riducendolo a personalismo, a protagonismo, rendendolo così vano.

La nostra forza è la comunione, intorno alla cattedra perché questa garantisce che sia circolare e che ci coinvolga tutti perché al centro c’è solo Cristo. “Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!”. Non smettiamo di stupirci, anche se siamo travolti da tante difficoltà e sentiamo la fatica e l’incertezza delle risposte. Il mondo intorno a noi è segnato da terribili difficoltà, che si fanno minacciose per le settimane a venire: la povertà, la guerra, la solitudine, la fragilità psichica, spesso senza il sostegno di nessuno.

Quanta sofferenza da ascoltare, cui cercare risposte adeguate, cui fare sentire la nostra vicinanza e protezione! In questo anno dei cantieri di Betania liberiamoci dall’angustia di Marta presa da tanti affanni che lei pensava fossero per Lui, e alla fine scopre che non le sono richiesti e che fanno perdere la parte migliore. Marta ascoltando oltre Gesù ritrova anche Maria, sua sorella, la Chiesa come sorella, fermandosi anche lei perché al centro ci sia solo Gesù. Solo così ritroviamo il gusto dei tanti servizi, ma non più da soli, per abitudine o sacrificio, ma perché pieni di Lui e della compassione verso tutti. Ci ricorda l’autore della lettera agli Ebrei: “Non ci siamo avvicinati a qualcosa di tangibile ma al monte Sion, alla città del Dio vivente”. Non smettiamo di stupirci, perché questo ci libera dalla miseria e dalla scontatezza, ci fa sentire e ricordare quanto siamo amati.  Stupore per non scadere nell’abitudine e ricordarci la grazia di essere suoi, di vivere noi oggi la missione degli apostoli.

Vorrei celebrare con voi i sessant’anni dal Concilio, perché siamo chiamati a ritornare alle sue fonti e a cercarne l’applicazione vivendo la sinodalità. Papa Francesco ha chiesto a tutti lo “sguardo dall’alto”, “con gli occhi innamorati di Dio” e “lo sguardo nel mezzo”, “stare nel mondo con gli altri e senza mai sentirci al di sopra degli altri, come servitori del più grande Regno di Dio”. Per avere questo sguardo Papa Francesco ha aggiunto anche un’ultima indicazione, importante anche per tutta la città degli uomini così tentata dalle contrapposizioni sterili e da false semplificazioni offerte dal polarizzare tutto: «Quante volte, dopo il Concilio, i cristiani si sono dati da fare per scegliere una parte nella Chiesa, senza accorgersi di lacerare il cuore della loro Madre!

20Quante volte si è preferito essere “tifosi del proprio gruppo” anziché servi di tutti, progressisti e conservatori piuttosto che fratelli e sorelle, “di destra” o “di sinistra” più che di Gesù; ergersi a “custodi della verità” o a “solisti della novità”, anziché riconoscersi figli umili e grati della santa Madre Chiesa». Superiamo le polarizzazioni e custodiamo la comunione, diventiamo sempre più “una cosa sola”, come Gesù ha implorato prima di dare la vita per noi. Ecco la celebrazione degna di questa casa.

“Ti rendiamo grazie, Signore, per il dono del Concilio. Tu che ci ami, liberaci dalla presunzione dell’autosufficienza e dallo spirito della critica mondana. Liberaci dell’autoesclusione dall’unità. Tu, che ci pasci con tenerezza, portaci fuori dai recinti dell’autoreferenzialità. Tu, che ci vuoi gregge unito, liberaci dall’artificio diabolico delle polarizzazioni, degli “ismi”. E noi, tua Chiesa, con Pietro e come Pietro ti diciamo: “Signore, tu sai tutto; tu sai che noi ti amiamo”.

Bologna, Cattedrale
20/10/2022
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