Festa di San Giovanni Battista a Fabriano

Celebrare il patrono significa anche ricordare il nome che ci unisce, che definisce la nostra comunità, le nostre radici. Per alcuni è occasione per tornare a Fabriano, dove sentirsi a casa. La presenza della Sindaca – auguri perché è nuova nuova – ci ricorda che viviamo in una comunità che è tutta nostra nell’amore misericordioso di Gesù, perché la comunità cristiana non si chiude, non vive per se stessa. Le radici permettono di crescere, di non essere sbattuti ovunque perché non si sa più chi si è, e di capire perché o per chi si vive. Qui capiamo che siamo una comunità e il patrono ci aiuta a pensarci assieme e a volerla attenta a chiunque, gentile, accogliente, vicina a chi è più fragile.

La comunità è il contrario dell’individualismo, della logica del “si salvi chi può” (cioè io!). È proprio vero che poi finisce con “tutti contro tutti”! Siamo una comunità. Lo capiamo in maniera nuova in alcune occasioni, spesso quelle dolorose, quando siamo fieri, ci sentiamo protetti perché parte di una comunità di fratelli e sorelle e non degli estranei. Tutti abbiamo bisogno di comunità, e come cambia la vita quando lo siamo! Insieme, allora, chiediamo a Giovanni Battista, nostro patrono, di essere comunità e non tante isole. La pandemia ce lo ha fatto capire: l’altro dipende da me e io da lui. Siamo legati gli uni agli altri e quello che ci succede dipende anche da come vive ognuno di noi, perché siamo interdipendenti. E per fortuna! Se immagino l’inferno lo penso proprio come tanti individualismi, magari tutti accessoriati, uno accanto all’altro, ma soli, incapaci di parlarsi, di aiutarsi, di volersi bene perché la paura e l’amore per sé sono più forti. Se aiutiamo o no qualcuno che ha bisogno, se visito o no qualcuno che sta male, chiunque esso sia, cambia la vita di quella persona e cambia anche la nostra perché troviamo il prossimo, quello di cui abbiamo bisogno! Oppure restiamo senza il prossimo e lui senza aiuto!

Un mondo fluido sembra permettere tutto e poi presenta il conto perché si rivela un grande inganno, ci isola facendoci credere, al contrario, che siamo noi stessi perché tutto ruota intorno al nostro io. Un mondo fluido sembra permettere di fare quello che si vuole, senza limiti. Invece l’io trova se stesso quando trova l’altro, il prossimo, non quando lo tiene a distanza o se ne serve!  Questo è il relativismo cristiano: pensarsi in relazione agli altri, non viceversa, sapendo che stiamo bene quando ci vogliamo bene e che amare è legarsi liberamente ma fortemente. L’io, quando pensa di trovarsi da solo, finisce come quel personaggio della mitologia greca che si chiamava Narciso. Stava sempre a guardarsi, alla ricerca della sua interpretazione oppure di capirsi fino in fondo. Invece l’io si vede quando vede, si ascolta quando ascolta. Possiamo essere riflessivi se siamo transitivi! L’amore apre, non chiude, lega e fa essere se stessi proprio perché uniti a qualcuno. E chi ama Dio non cerca una felicità individuale ma il bene dell’amato che sarà anche il mio bene.

Il nostro patrono, Giovanni Battista, è l’uomo dell’attesa. È nostro perché la comunità cristiana e umana include e non esclude, come avviene in famiglia. La sento mia per l’amicizia che mi lega ad alcune persone che qui hanno vissuto, come mons. Giovanni Mosciatti, da Matelica, Vescovo di Imola a voi ben noto e da voi amato, don Giuseppe Trappolini, parroco con me a Roma, Laura Laureati, mia compagna di classe al liceo, Maila Quaglia che svolge un importante servizio a Bologna con tanti che hanno problemi d’igiene mentale e mons. Russo, anche lui adottato da voi, che ho visto stamane a Roma ed era felice per me e forse un po’ invidioso.

La Comunità è relazione con una persona, tra persone, cioè nomi, non Nick Name virtuali. Mi ha sempre colpito che il Vangelo, gli Atti degli Apostoli, le Lettere di San Paolo sono pieni di nomi! La Comunità è relazione e ogni persona è “costituzionalmente in cammino per trovare nell’altro la parte integrante per la sua interezza”, diceva Papa Benedetto. Nessuno trova se stesso se non insieme. “Volere la stessa cosa e rifiutare la stessa cosa, è quanto gli antichi hanno riconosciuto come autentico contenuto dell’amore: il diventare l’uno simile all’altro, che conduce alla comunanza del volere e del pensare”. Non dobbiamo tutti curare di più la Comunità, aiutando l’attesa di amore, di compagnia, di vicinanza, iniziando con chi è più solo e debole?  Non siamo abituati a credere che gli altri debbono pensare a noi e troppo poco viceversa?

Giovanni Battista si pensa per l’altro, perché tutta la sua vita, fin dall’inizio, é per Gesù. E chi vive per Gesù, lo attende, vive per il prossimo, incontra Gesù nella vita quotidiana, prepara una strada di amore nelle difficoltà della vita. Ecco cosa significa essere umili, non mediocri, umili!  Giovanni Battista è grande, tanto che è più forte del potere del grande Erode, che imponeva la sua volontà. E chi sono oggi gli Erode? Ad esempio la droga, che ruba la vita, la fa dipendente da sé. Solo una comunità libera da questo Erode impietoso e subdolo, tanto che il piacere della droga diventa piacere di lavorare, di esistere, di essere qualcuno perché qualcuno mi ha dato fiducia per quello che sono e non per quello che Erode m’imponeva e m’illudeva di essere.

Giovanni Battista è davvero grande perché affronta il deserto. Quanto deserto di relazioni e quanta solitudine nella pandemia del Covid e che inferno di morte e che deserto di vita nella pandemia della guerra! Giovanni Battista non sta ad aspettare senza fare nulla, ma cambia, chiede a tutti di essere umani e lui per primo lo diventa. Sa che perché arrivi qualcuno di nuovo bisogna preparare una strada aprendo i cuori, liberandoli dalla paura, dalla diffidenza, dalla chiusura. Non è quello che dobbiamo fare? Ognuno può farlo con un suo personale Pnrr, decidendo di aiutare qualcuno. Cosa lascio agli altri? Ogni giorno dobbiamo impegnarci a lasciare amore a qualcuno che ne ha bisogno! Gli umili sono quelli che aiutano il prossimo. Chi vive per se stesso, finisce con se stesso! L’umile aiuta l’altro, cerca di servirlo, non si sente superiore, ama il prossimo. In questo senso l’amore è sempre umile e grande. Ecco perché dice di non essere degno nemmeno di legare i lacci dei sandali. I grandi sono i vanagloriosi, quelli che prendono e non danno, possiedono e non regalano. Devono essere uomini di speranza, come Giovanni Battista. La pandemia ha spento tante speranze e ci ha isolato. L’amore ci unisce.

Zaccaria è vecchio. Non è un problema di anni. Ci sono giovani che sono vecchi e vecchi che guardano il futuro con tanta passione e speranza! I sogni e la speranza non hanno anagrafe. Zaccaria era stato così incredulo che “ormai” pensava non potessero avverarsi le sue stesse attese. Non poteva nascere qualcosa dalla sua vita: è sterile come l’egoismo! Per questo resiste alla voce dell’angelo. “Lascia perdere, non ti conviene, non vale la pena, meglio non fare niente che tanto dopo ci resti male, chi te lo fa fare, voglio prima essere sicuro e poi credo, calcolo se mi conviene”. Ecco come pensiamo noi quando si tratta di aiutare o no, di andare a trovare qualcuno che ha bisogno.

Zaccaria era rimasto muto proprio perché prigioniero delle sue paure e dell’amarezza che spengono ogni speranza, appassiscono le passioni. Era rassegnato, scettico, come quando noi diciamo: non è possibile, non ci provo nemmeno. Senza speranza diventiamo come muti, tutto diventa ripetizione, senza forza. Zaccaria chiama quel bambino Giovanni perché finalmente ha capito che la Parola di Dio non è una vaga promessa, ma una parola che cambia la vita, che la rende bella, che fa compiere quello che davvero vogliamo.

Giovanni Battista ci insegna ad essere uomini umili, essenziali, che costruiscono il futuro. Non c’è futuro senza prepararlo! Il mondo ha bisogno di uomini che parlano di amore, che toccano il cuore dell’altro, che si sacrificano per qualcuno che deve venire, che sognano il futuro senza prendere tutto per sé, che restano svegli, sensibili, attenti perché lasciano spazio a Gesù, come Giovanni Battista. Solo così si affronta il deserto della difficoltà del lavoro e solo da una comunità nasce tanta solidarietà, della quale tutti abbiamo un enorme bisogno. Benediciamo anche noi Dio che nelle difficoltà ci insegna ad avere fiducia, a credere in una vita diversa, a prepararla quando ancora non c’è, contro la rassegnazione. Vale la pena aiutare gli altri, investire su chi verrà, dare fiducia, proteggere i fragili, aiutare i poveri. L’amore non sbaglia mai. Prepariamo con umiltà, cioè una vita che guarda al futuro guardando con occhi buoni e non maliziosi o rassegnati il nostro prossimo. Prepariamo la strada al Signore togliendo tanti ostacoli, diffidenze, paure, distanze che ci separano anche da noi!

Fabriano, Cattedrale
24/06/2022
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