Tutti noi sperimentiamo tanta incertezza di fronte al mondo pericoloso, minaccioso, incomprensibile. Cosa fare? Pensiamo sempre che non dipenda da noi, che non possiamo fare molto e così rinunciamo a fare quello che è possibile. Spesso vogliamo essere sicuri prima di iniziare e abbiamo quasi più paura di sbagliare che di fare qualcosa che serva comunque a rendere migliore il mondo. Facilmente pensiamo che il vero problema sia “salva te stesso”, “pensa a te”. Non “prima le donne e poi i bambini”, come vedevamo nei film, cioè prima i più deboli, ma rozzamente o in maniera raffinata “prima io”. Ma non stiamo bene da soli e non salviamo noi stessi se la barca affonda per tutti! Dio ci aiuta a vivere bene sulla terra e chi prende sul serio il Signore prende sul serio se stesso perché capisce che è quello che gli serve e non fa di sé il centro di tutto.
Chi prende sul serio Dio si accorge del prossimo e lo ama, non lo usa, non pensa che non abbia niente a che vedere con la sua vita. Dio ci rende davvero sapienti nel senso che ci fa capire quello che conta nella vita e non la fa perdere. Dio rende sapiente chi non ha studiato, chi ha sbagliato, chi non capisce proprio tutto, chi dimentica presto, chi è incerto! Sapiente è chi sente il suo amore e non ha paura di amare, perché Gesù non possiamo ridurlo ad un’etica, non è un codice di comportamenti da seguire ma amore da ricevere e regalare.
Noi, spesso, invidiamo le persone forti, di successo, quelli che sembra la sappiano sempre lunga, che danno lezioni e giudizi, gli influencer, che molte volte per convenienza economica fanno e mostrano come si fa. Viene il sospetto che tutto quello che fanno serva piuttosto a loro. Dio, il più forte, è un amico tenero, vero, che ascolta e capisce perché non si stanca di noi. Quello che è stolto per il mondo, cioè insignificante, senza valore, senza importanza perché senza apparenza, tanto che pensiamo non valga nulla, le parti che nascondiamo anche a noi stessi, la nostra debolezza: ecco, Dio ha scelto proprio questo per confondere chi si crede sapiente. Non dobbiamo fare finta di essere forti, ma deboli come siamo cerchiamo la vera forza, l’unica che rende bella e piena la nostra vita e che non finisce: l’amore.
Gesù parla di felicità e ci indica come essere felici, deboli come siamo, San Giovanni Bosco indica sempre una via di gioia. Ci aiuta lui, che è stato beato, ha trovato vita, era gioioso e ha donato tanta vita e gioia. Non si comunica gioia se non la viviamo! E gioia piena, felicità, non uno stato d’animo che finisce cambiando la situazione. La gioia è anche più forte della sofferenza. Chi vive la sofferenza sentendo l’amore di Dio e delle persone intorno a lui spesso dice “mi ha aiutato”, “mi ha fatto bene perché mi ha liberato da tante cose inutili”.
Ad una generazione come la nostra, ossessionata dalla ricerca del benessere e che scambia questo per gioia, contrapponendo così gioia a fatica, sacrificio, sofferenza, Don Bosco continua a regalare felicità vera a tanti ragazzi ai quali dona consapevolezza, fiducia in sé, conoscenza, capacità di esprimere quello che ognuno è. La sua festa, e di questa famiglia, cade a pochi mesi di distanza da una ricorrenza importante per la Famiglia Salesiana: cinquant’anni dalla beatificazione di don Michele Rua, che fu il primo successore di Don Bosco. Era un grande educatore. Oggi sembra così difficile educare, perché richiede di essere se stessi e di amare il giovane come un figlio. A volte pensiamo: «mi educo da solo», «trovo quello che serve nella grande navigazione di internet». L’educazione non è una risposta o una lezione, ma esperienza con qualcuno che mi aiuta ad essere me stesso. Sono poche le persone che oggi vogliono educare e pagare il prezzo per farlo. Sembra una cosa in più! Gli adulti pensano di poter restare sempre quelli di sempre, sfuggire la responsabilità scaricandola su qualche professionista – come se fosse la stessa cosa – sentendosi fragili e quindi in diritto di essere curati.
Don Bosco dava a tutti una medaglietta. In uno di quei giorni, arrivato il turno di Michele, il sacerdote fece un gesto strano: gli allungò la mano destra, fece finta di tagliarla con la sinistra, e intanto gli disse: «Prendi, Michelino, prendi». Il ragazzo non capì subito, ma Don Bosco gli spiegò: «Noi due faremo tutto a metà». Ma fare a metà di che cosa, dato che il sacerdote non aveva nulla?
Ecco che arriva la risposta di don Bosco: «Dolori, cure, responsabilità, gioie e tutto il resto saranno per noi in comune». Ecco la beatitudine, la gioia che si condivide sempre non è mai un fatto privato come la gioia del mondo. Fare a metà vuol dire non dare quello che avanza ma tutto quello che ho, ed è possibile se lo faccio solo per amore. Condividere significa aprirsi agli altri senza timori, sentendosi coinvolti nelle gioie e nelle fatiche dell’altro, ed è uno dei modi migliori per far sentire importante la persona con cui entro in relazione pensandola così speciale da poter fare qualcosa insieme a me. L’educazione salesiana è proprio far sentire il giovane protagonista a scuola, nel cortile, nel centro di formazione professionale o in oratorio, affrontando le sfide possibili e pensandole sempre secondo le potenzialità di ciascuno. E ognuno ha le sue perché a tutti dobbiamo riconoscere il merito perché l’educazione deve scoprirlo in tutti. Merito non è questione di classifiche ma di riconoscere il dono di ciascuno e il proprio! La vera educazione del cristiano è l’opposto dell’individualismo che prende per sé ma non divide con gli altri, difende l’individuo ma non il noi. Nel mondo di oggi, fatto di marketing e di slogan, verrebbe da dire che, grazie alla condivisione, il “noi siamo” diventa sempre il doppio di “io sono”. E chi riceve regala, in una circolarità che aiuta tutti a pensarsi per gli altri. Solo così si sta davvero bene.
Grazie don Bosco per aver avuto fiducia in quel bambino timido e impacciato che pur non capendo si è comunque fidato e si è lasciato guidare. Grazie don Rua per aver fatto veramente a metà, e per aver continuato a portare l’esperienza salesiana in giro per il modo. Con la vostra opera avete portato la speranza in una vita migliore e piena di senso ai giovani più disperati. Questo è il vostro testamento ed è la missione che non solo la famiglia salesiana ma tutta la Chiesa deve portare avanti seguendo il vostro esempio.