Funerali di Ferruccio Laffi

Gesù chiese ai due discepoli che lo seguivano a distanza: “Che cosa cercate?”. Il Signore ci aiuta sempre ad essere noi stessi, a trovare la nostra vocazione, aiutandoci a non cercare quello che non serve, che ci fa male, che ci deforma. La risposta di quei due uomini fu: dove abiti, Signore? Dove ti trovo, dove ti posso trovare? È una ricerca drammatica, quando Dio sembra lontano, impossibile, assente, atrocemente distante dalle pandemie della vita, quelle personali e quella collettive, dal dolore immenso, terribile, che segna la vita delle persone, e anche distante dall’incoscienza di altri che invece giocano con la vita, che la consumano possedendo e non regalando, attenti ad avere e non ad essere, che si credono spettatori di un mondo che pensano non li riguardi, che prendono tutto per sé. Ma la casa è una sola e siamo, non dimentichiamolo, tutti sulla stessa barca. Non dovrebbe consigliarci, questo, di abbandonare tante polarizzazioni pericolose, tante divisioni sterili per aiutarci a vivere nella stessa casa, a conservarla e a riconoscere che siamo fratelli tutti?

“Signore, dove abiti?”. Questa domanda inquieta tutti, qualche volta di più proprio chi non ha il dono della fede e si angustia maggiormente a cercare la risposta rispetto a quanti la danno per scontata tanto da non seguire più Gesù che credono di conoscere già mentre si ingannano. Perché Dio si conosce solo amandolo e facendosi amare da Lui, prendendolo sul serio, seguendolo, non restando fermi, non come un dovere ma come amore. Un grande latinista, professore all’Alma Mater, ha lasciato alcune poesie da leggere dopo la sua scomparsa. “Dio di mia madre, Dio della mia infanzia, la tua luce si è spenta alle mie spalle e non rischiara più la via che scendo verso la notte”. E aggiungeva: “Ti chiedo una sola grazia, Signore: esisti”. Ecco la domanda dei due discepoli. Ecco la nostra domanda. La fede ci offre una risposta ma per capirla dobbiamo camminare dietro a Lui, seguirlo, ascoltarlo. Lui ci apre il suo cuore e noi per conoscere dove abita dobbiamo aprirgli il nostro. Altrimenti pensiamo di sapere dove sta ma in realtà non lo sappiamo. Dio non è una lezione che si impara, è un amore che ci coinvolge. È una relazione che ci aiuta a trovare Dio e il prossimo.

Come ripeteva Papa Benedetto XVI, il Vangelo non è un’etica, ma un avvenimento, un incontro, un legame personale e comunitario. Dove abiti, Signore? Perché siamo incerti, alla ricerca di una risposta vera, che ci faccia capire il senso della vita, dove questa finisce e cosa succede dopo. Dove abiti? Perché vorrei credere, riprendere la fede che non ho più, perché non so da dove cominciare, vorrei trovarti e sapere dove poterti trovare quando sono nel buio, nella paura ma anche nell’orgoglio che mi acceca e mi fa perdere. Gesù non ci dà spiegazioni e poi ci lascia soli. Potremmo dire che ci prende subito sul serio e non ha paura di invitarci da Lui! Ci chiede di seguirlo, ci fa stare con lui, ci fa vedere il suo cuore, perché lo troviamo nell’amore. È difficile, allora, avere fede, trovare la risposta? No. È un incontro, una relazione, un’amicizia, che inizia. Serve solo aprire il cuore e imparare ad amare facendoci amare.

Andarono e rimasero con Lui quel giorno. Oggi capiamo dove abita il Signore. Sì, proprio in questa Eucarestia, dove ascoltiamo la sua Parola, spezziamo il suo corpo che continua ad offrirci per nutrire la nostra anima, nella comunità che vediamo attorno a Lui e tra di noi. Ecco dove abita ed ecco dove è accolto Ferruccio, perché l’Eucarestia unisce cielo e terra, è proprio il punto di incontro che ci aiuta a capire che la terra cerca il cielo ma anche il cielo cerca la terra. Perché Dio non se ne sta solo nel suo Olimpo, ma prepara un posto perché ci vuole tutti nella sua casa di amore, dove tutto ciò che è mio è tuo, senza che sia meno mio e meno tuo.

Ferruccio cercava in tanti modi dove abita Gesù. Lo cercava perché aveva visto il contrario della volontà di Dio, dove c’era solo il male. Dio vuole che niente sia perduto della vita degli uomini (conta anche i capelli del nostro capo, per dire quanto tutto è amato e quindi importante!). La violenza, il male che arma gli uomini, l’odio che acceca, il mistero del male, perde tutto, ingoia la vita, non la genera. Era il 30 settembre 1944 e Ferruccio aveva solo 16 anni quando venne trucidata tutta la sua famiglia. C’era una persona rannicchiata in un angolo: era suo padre. Prima di ucciderlo lo avevano fatto assistere allo sterminio della sua famiglia. Le ferite della violenza – dell’ideologia nazista e fascista, e quella di ogni violenza e di ogni ideologia che distrugge la persona, violenza senza perché, misteriosa epifania del mistero del male – dura tutta la vita. La guerra non finisce mai con la pace, non dobbiamo dimenticarlo. Per questo non deve mai iniziare la guerra e non dobbiamo mai accettare la logica della violenza.

“La mia vita è stata martoriata”, diceva Ferruccio, con quel misto di smarrimento e di richiesta di aiuto, con poche parole e con tanta profonda umanità, che non riusciva mai ad esprimere del tutto e che comunicava con i suoi occhi. Lui aveva visto dove abitava il male. I suoi occhi avevano visto e raccontava più con quelli, perché era veramente indicibile ciò che portava dentro. E l’orrore è davvero indicibile tanto è grande il dolore. Un abisso. Passò molti anni difficili, tormentato dagli incubi notturni che lo accompagnarono per tutta la vita. “Non è mica facile prendere tua madre e metterla dentro una buca. Io non me lo dimenticherò mai. Io me li ricordo tutti i giorni. Volevo solo dimenticare, ma non si riesce a farlo”. Anche per questo oggi Ferruccio non poteva capire le guerre, quelle tante stragi che, purtroppo, insanguinano la terra. Possiamo mai capirle, renderle normali, accettare che siano il modo con cui si risolvono i conflitti? Ferruccio soffriva, era per lui sale sulla ferita, ma sentiva il senso della responsabilità perché tutto ciò non cadesse nell’oblìo.

Parlava ma senza odio. “Chi sterminò i miei non li ho mai odiati: basta intolleranza”.  Non è scontato questo, tanto più in una generazione irresponsabile, che lo fa crescere, che lo ritiene innocuo, che lo enfatizza nella ricerca del nemico, nelle polarizzazioni distruttive dell’altro. E si coltiva l’odio mentre si rinuncia alla giustizia. Raccontare è sempre rivivere la sofferenza che si descrive e che non si dissolve neppure con le infinite lacrime che sgorgavano dai suoi occhi. Era un modo per onorare i suoi cari che hanno lasciato a lui e a noi un testamento, una consapevolezza della barbarie per scegliere il contrario, l’umanità. E Dio ci insegna ad essere umani.

 La testimonianza che ci ha lasciato è scritta nei nostri cuori, scritta con simpatia e con grande semplicità, genuinità e immediatezza che ci ha reso partecipi e contemporanei non solo degli eventi, ma soprattutto di una vita. Si, ci ha trasmesso la sua vita, il suo dolore, il suo sgomento. Adesso dobbiamo raccontare noi, perché noi abbiamo visto gli occhi che hanno visto, a noi è consegnata la memoria che aiuta a impedire che questo possa accadere di nuovo. Ci chiede di essere comunità, un po’ come oggi, qui, in tanti attorno a lui. Aveva una rete di relazioni, di tante amicizie, come con le scuole e con i cercatori di pace che coinvolgeva con i suoi racconti e la sua umanità, e con i tanti che lo hanno accompagnato, che lui ha accolto e che lo hanno sentito familiare. Sono legami che non vanno perduti, perché l’odio cresce proprio nella divisione, nell’isolamento, nell’individualismo. Ci chiede di saper trasmettere l’emozione di quell’orrore, perché ci svegli dal sonno della ragione e dell’anima.

Ha ragione il Presidente Mattarella: “È indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità. Volere la pace non è neutralità o, peggio, indifferenza, rispetto a ciò che accade: sarebbe ingiusto, e anche piuttosto spregevole. Perseguire la pace vuol dire respingere la logica di una competizione permanente tra gli Stati. Che mette a rischio le sorti dei rispettivi popoli. E mina alle basi una società fondata sul rispetto delle persone. Occorre coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Dipende, anche, da ciascuno di noi. Pace, nel senso di vivere bene insieme.

Rispettandosi, riconoscendo le ragioni dell’altro. Consapevoli che la libertà degli altri completa la nostra libertà. Vediamo, e incontriamo, la violenza anche nella vita quotidiana. Pure nel nostro Paese, quando prevale la ricerca, il culto della conflittualità, piuttosto che il valore di quanto vi è in comune. Occorre sviluppare confronto e dialogo”. Riconosciamoci tutti nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace. Sono quelli decisi proprio dopo queste barbarie, sono “i valori che la Costituzione pone a base della nostra convivenza. E che appartengono all’identità stessa dell’Italia”. Ecco cosa ci chiede la vita di Ferruccio.

Signore dove abiti? E dove abita oggi Ferruccio? Ti segue e cammina con Te, Signore, e tu lo conduci nella casa dove prepari un posto che ci insegni a preparare già sulla terra. Abita nella casa di luce, dove troviamo noi stessi perché troviamo il prossimo e troviamo il Tuo volto.

Ferruccio, non avere timore. Segui Gesù che teneramente ti prende per mano e ti accompagna nella sua casa che Lui vuole sia anche tua, dove ritrovi tutti i tuoi cari e dove le lacrime dei tuoi occhi saranno asciugate per sempre. In pace. Grazie Ferruccio, ci hai fatto piangere, ci fai piangere, ci aiuti a commuoverci per il dolore che il male crea, per le stragi di oggi, per le guerre che sconvolgono il mondo e così ci hai chiesto di combattere il male. Sii in pace, perché oggi trovi dove abita Dio: nell’amore e nella pace. Per sempre.

Chiesa dei Santi Giuseppe e Carlo - Marzabotto
14/01/2024
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