Giornata del Seminario

Gesù parla ai suoi discepoli e a tutta la folla. L’orizzonte del Vangelo è sempre grande, allarga il nostro cuore che spesso si restringe, ci aiuta a pensarci in relazione al mondo intorno. Quella folla per Gesù sono “Fratelli tutti”, i nostri fratelli. Il Vangelo è il contrario di un modo di pensare a sé in una rassicurante promessa di benessere individuale. Gesù ci porta per tutte le città e i villaggi, nei luoghi importanti come in quelli senza significato. Il Vangelo è per tutti e Gesù vuole che raggiunga ogni persona. Il senso di essere suoi è intimamente legato alla folla: siamo chiamati per andare, e restiamo con Lui per andare.

La vita della folla non è la stessa se incontra o non incontra Gesù, se scopre la sua dolce e umana presenza che risponde al desiderio che è in ogni persona. Quella folla cerca ciò che non finisce, una forza per non cedere al male, una sapienza per capire cosa fare! I discepoli non sono chiamati per stare bene tra di loro e proteggersi dalla folla pericolosa perché si rivela imprevedibile, impietosa, tanto che griderà la condanna a morte di Gesù. Gesù parla di felicità perché la vita cerca la sua pienezza. Noi, spesso, pensiamo la gioia come uno stato d’animo che arriva, un’opportunità da cogliere immediatamente e che dobbiamo consumare bulimicamente il prima possibile. Noi pensiamo alla felicità come a «non avere problemi» o che è possibile solo dopo avere trovato tutte le sicurezze per evitarli.

Così siamo felici e non lo sappiamo perché i problemi, che vengono da soli perché fanno parte della vita vera, ci condizionano. La gioia non è stare bene, ma amare bene! Non è avere una forza capace di risolvere tutto, che non troveremo mai, ma sentirci amati, “infinitamente amati”, per cui affrontiamo i problemi. Non serve trovare tutte le risposte, collezionare sicurezze che finiscono per farci sentire sempre insicuri. Basta la sua Grazia, e la sua Parola che ci proclama beati oggi. Gesù non vuole una vita triste, forzata, ma una gioia vera. Che tristezza e che pena certe felicità individualistiche, che per essere tali devono crearsi una vita fuori dalla vita, sempre “oltre”, fuggendo dalle difficoltà! Una felicità così immiserisce la grandezza che siamo, l’anima che abbiamo, e riduce noi a consumatori di emozioni e il prossimo ad oggetto. Certo, la gioia di Gesù è anche una promessa, sarà piena in cielo, ma inizia sulla terra.

La gioia si rivela pienamente domani, come avviene per le cose vere, non sempre oggi e subito, rapidamente, senza soffrire, come quelle formule o prestazioni che ci fanno stare bene a tutti i costi e che poi, paradossalmente, ci fanno male! Avviene così con le tante dipendenze che assicurano felicità immediate e poi ci riducono a schiavi, a giocatori di azzardo o a consumatori di sostanze e cose. I discepoli sono chiamati a donare felicità, a portare queste beatitudini perché si compiano quanto prima. Noi stessi possiamo iniziare, umili e poveri come chiede il profeta, il suo Regno!

Noi, discepoli peccatori e contraddittori come siamo, possiamo consolare chi è nel pianto, asciugare le lacrime, pregando, visitando, portando solidarietà. E quanto poco usiamo il balsamo che è l’amore di Gesù, la sua speranza che illumina il buio del male e della morte! Noi possiamo essere la terra promessa ai miti, cioè a chi non reagisce al male con il male e resta benevolo verso tutti. E possiamo essere un pezzo di beatitudine per chi ha fame e sete, spezzando il pane che serve per non morire (pane è anche medicina per chi non può curarsi, calore a chi è nel freddo, nutrimento per chi non ha nulla…) e quello che serve per non fare morire l’anima. Noi possiamo portare la misericordia di Dio, smettendo di giudicare, dando fiducia a chi ha sbagliato, facendo sentire importanti perché puri di cuore in un mondo malevolo che semina zizzania, che legge tutto politicamente e in modo polarizzato, che non sa vedere il bello che sempre c’è in ogni persona. Bello che è di tutti! Noi possiamo donare cuore ad un mondo indurito e aggressivo, non facendoci contagiare dal parlare male, dai confronti e dalla condanna.

Quanta attesa c’è nella folla di trovare finalmente gioia vera! Come non pensare oggi ai tanti che cercano felicità, luce, consolazione, misericordia, nella terra di morte e brutalità che è l’Ucraina e che sono i tanti pezzi della Guerra mondiale, una pandemia che riguarda tutti! La beatitudine di Gesù non è mai senza gli altri. Quanti aspettano giustizia in un mondo che accetta condizioni disumane che impongono di scappare, rischiare tutto, di iniziare la vita per cercare vita. Ecco: sono Beati. Gesù ci affida la sua felicità. Siamo beati se doneremo la sua beatitudine a chi la aspetta. Gesù è l’uomo delle beatitudini, vuole che viviamo la gioia dell’inizio, quella della creazione quando non c’era il divisore, la gioia che sarà il nostro futuro. La beatitudine è gioia che non finisce, più forte dei problemi, capace di resistere al male, anzi fa del male stesso occasione di amore. Noi siamo sedotti dalla forza del mondo e scopriamo quanto siamo stolti, dissennati, presuntuosi e fragilissimi, proprio dalla debolezza che Gesù ci mostra. Non sacrifici, ma gioia. Non un dovere, ma amore, passione, sogno. La gioia del Vangelo è quella che niente e nessuno ci potrà mai togliere (cfr. Gv 16,22) e non finisce perché non evita la croce, ma la attraversa e la vince. Chi piange sotto la croce avrà gli occhi asciugati dalle lacrime. C’è bisogno di persone di gioia e di speranza in un mondo segnato da tante pandemie. La presenza di Gesù non è virtuale, ma si fa corpo, pane spezzato e vino versato.

Oggi celebriamo la giornata del Seminario diocesano. Siamo chiamati tutti. È una comunità che è chiamata e nella quale viviamo la nostra personale, unica, insostituibile chiamata. Manda me! Non qualcun altro, io! Il seminario è la casa che ospita fratelli che lì vivono perché hanno sentito la chiamata al servizio del presbiterato. È legata a questa cattedrale: essi camminano e noi con loro, perché il seme della loro vita, cresca, si rafforzi e sia inserito nella comunità larga della Chiesa. Ma tutti noi siamo chiamati. Custodiamo, facciamo crescere, troviamo la nostra chiamata e non facciamo mancare il nostro servizio! La comunità è un ordito che intesse i fili che siamo ciascuno di noi, e il servizio del presbitero è decisivo perché presiede nella comunione e anche per la presenza di ognuno di noi. Il seminario è la nostra casa e io ringrazio i seminaristi e gli educatori.

Il seminario ha bisogno delle nostre comunità e viceversa. Oggi, cari Andrea, Giacomo, Riccardo, ci stringiamo a voi, alle vostre comunità e famiglie, quelle di origine e quelle che già in questi mesi vi hanno accolto. Siete accompagnati dall’affetto di tutta la comunità e, insieme, cerchiamo di vivere e comunicare umanamente e con tanta umiltà, ma con forza, questa gioia. E di essere lieti ministri dell’Evangelii Gaudium. Oggi diventate accoliti. E per certi versi, come tutte le tappe, lo resterete perché sono capitoli che non si elidono ma si completano.

Benedetto XVI scrisse: «Come ha potuto svilupparsi l’idea che il messaggio di Gesù sia strettamente individualistico e miri solo al singolo? Come si è arrivati a interpretare la “salvezza dell’anima” come fuga davanti alla responsabilità per l’insieme, e a considerare di conseguenza il programma del cristianesimo come ricerca egoistica della salvezza che si rifiuta al servizio degli altri?». La gioia del Signore è comunione e vi aiuti a crescere nella sua conoscenza e nella scelta di essere beati distributori del suo corpo, della sua presenza che nutre la vita, gioia che non finisce. Solo comunità vive saranno generative. E questo è un impegno che coinvolge tutti noi. Cari Andrea, Giacomo e Riccardo: aiutate Gesù a raggiungere tanti, distribuendo il suo pane, cibo di vita eterna, farmaco di salvezza. Apparecchiate questo altare e apparecchiate, con la stessa semplice cura, l’altare nelle case delle persone cui porterete il pane della vita eterna. Anche quando sarete soli con loro sarete sempre uniti alla comunità e sarà beatitudine per voi e per loro. Chiedo anche per voi quello che l’Apostolo domanda per Corinto: «Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, perché, come sta scritto, chi si vanta, si vanti nel Signore».

Grazie Signore, perché tu hai reso bella e piena la nostra vita e perché la vuoi beata. Ti preghiamo di donare alla tua Chiesa presbiteri pieni della tua sapienza e del tuo amore, liberi di donare tutto se stessi, stoltezza per il mondo, perché forti solo di Te. Le nostre comunità e la tua Chiesa siano piene di amore per il tuo Vangelo e generino persone che si mettono al tuo servizio, perché la folla conosca la tua consolazione e la gioia che non finisce.

Bologna, Cattedrale
29/01/2023
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