Humans and robots

L’uomo e/o la macchina. La generazione nata intorno alla metà del secolo scorso è cresciuta con il fascino dei robots. Sembravano un futuro sicuro, che avrebbe garantito agli uomini di vivere accompagnati e aiutati in tutto dalle macchine che, al contrario del temibile lupus che si nasconde dentro ogni homo, erano descritte intelligenti, affidabili e totalmente a servizio. Il futuro, invece, oggi mette paura e inquietudini, sia perché non è così sicuro come si credeva, con crolli improvvisi e imprevedibili, sia perché non sappiamo quanto migliora davvero il presente, cosa prima ritenuta sicura. Si sono perdute le diverse ideologie degli anni sessanta con l’utopia e anche la presunzione che tutto era possibile, che un mondo nuovo iniziava allora e con esso anche l’avvento di un uomo nuovo. Nel frattempo questo si è rivelato abbastanza vecchio. Aveva ragione il Concilio Vaticano II: “Il mondo si presenta oggi potente a un tempo e debole, capace di operare il meglio e il peggio, mentre gli si apre dinanzi la strada della libertà o della schiavitù, del progresso o del regresso, della fraternità o dell’odio. Inoltre l’uomo prende coscienza che dipende da lui orientare bene le forze da lui stesso suscitate e che possono schiacciarlo o servirgli”. Paolo VI invitava 50 anni fa gli scienziati con molta poesia: “Continuate a cercare, senza stancarvi, senza mai disperare della verità! Ricordate le parole di uno dei vostri grandi amici, sant’Agostino: “Cerchiamo con il desiderio di trovare, e troviamo con il desiderio di cercare ancora”. Felici coloro che, possedendo la verità, la continuano a cercare per rinnovarla, per approfondirla, per donarla agli altri. Non dimenticatelo: se il pensare è una grande cosa, pensare è innanzitutto un dovere; guai a chi chiude volontariamente gli occhi alla luce! Pensare è anche una responsabilità: guai a coloro che oscurano lo spirito con i mille artifici che lo deprimono, l’inorgogliscono, l’ingannano, lo deformano! Qual è il principio di base per uomini di scienza, se non sforzarsi di pensare giustamente?”.
Oggi anche noi ci interroghiamo pensosi su che futuro vogliamo costruire e in realtà stiamo costruendo. Anche perché la rivoluzione tecnologica genera nuove relazioni e stili di vita, con un’enfasi sul presente e con un uomo individualizzato che fa sempre più fatica a entrare nella storia, nella quale si sente al centro e allo stesso tempo ai margini, senza riferimenti, essendo tutto virtuale e globalizzato. La vostra riflessione di oggi nasce dalla consapevolezza che già nei prossimi anni, non quindi in un futuro anteriore ma prossimo, la metà dei lavori attuali saranno svolti da macchine dotate di intelligenza. Questa prospettiva è oggetto della nostra meditazione. In effetti pone non pochi problemi.
Ma cosa vuol dire meditare? Dobbiamo confessare che lo sappiamo fare tutti molto poco, compulsivi come siamo, pseudo attori del nostro presente, protagonisti di uno spazio concessosi che controlliamo freneticamente mentre il tempo, il futuro ci sfugge e appare non dipendere da noi. Meditare è guardare in profondità i problemi e cercare di farlo non in una prospettiva immediatamente legata a qualche obiettivo, al risultato, al guadagno, alla ricerca. Meditare è una scelta gratuita. In una logica funzionalistica, quindi, non serve affatto. Medita chi mette al centro l’uomo, l’uomo che è lui, che lo unisce a chi lo ha preceduto e di cui è figlio, dai quali ha ereditato tutto o gran parte di quello che è; l’uomo che vuole essere; l’uomo che ama nel suo prossimo, quello che vede e quello che non vede perché deve ancora venire. La meditazione non è affatto un momento aggiuntivo, per gente che ha tempo e voglia di sprecarlo. In realtà è indispensabile perché è uno spazio privilegiato per la nostra anima, per la coscienza senza la quale viviamo istintivamente. Serve tempo per capire da che parte indirizzare la nostra vita e la nostra ricerca, per rendersi conto, per discernere se è possibile fare qualcosa e cosa, per trovare le motivazioni profonde senza le quali ci si disperde e si diventa disponibili a tutto. La meditazione ci può aiutare a capire come tenere sempre l’uomo al centro e cosa, quindi, questo ci chieda. La meditazione, in realtà, è, pur non essendolo affatto, molto più operativa di quanto possiamo pensare: ci aiuta a scegliere! Non cercando risultati immediati, indicazioni rapide e definitive, unisce la mente e l’anima, le esercita ambedue, ci fa trovare quello per cui vale la pena vivere. Il raccoglimento serve perché permette che il mare in tempesta del cuore si calmi o la nebbia che lo avvolge si alzi per permettere di vedere la bellezza del panorama che altrimenti restava nascosta e trovare la via da percorrere. Gli stimoli che ci assalgono sono tantissimi, potenti, molteplici. L’uomo è continuamente in faccende, spesso naviga in un mare dove tutto appare possibile. E inoltre la pubblicizzazione della propria esistenza si è intensificata tanto che ci raccogliamo poco in noi perché dobbiamo apparire, fare vedere per esistere e contare, consumare immagini e situazioni, esperienze e possibilità. Tutto l’opposto della meditazione. Non abbiamo foto o sms da mandare! Per fortuna! “Con sempre maggiore rapidità e completezza quello che avviene viene comunicato è con tale immediatezza che si può essere tentati di dire che la notizia appartiene all’evento”, scriveva in anni lontanissimi Romano Guardini. La sfera privata va scomparendo, estendendola e banalizzandola; i contenitori sono diventati come vetro e spesso viviamo per fare vedere. Il raccoglimento, invece, è mettersi in silenzio, non dobbiamo fare vedere a nessuno, chiudendo la stanza del proprio cuore, dice il Vangelo. La meditazione può offrire una consapevolezza e una serietà diversa, una coscienza che non possiamo eludere e deludere. Meditare è diverso da un po’ di tempo per sé, dalle infinite terapie che cerchiamo per il nostro benessere, dalla preparazione di un testo. La meditazione è io e gli altri; non si conclude in me stesso perché il bene che dobbiamo cercare è comune. In realtà significa scendere in profondità dentro di sé e dentro la storia. Questo per chi cede avviene davanti a quel Tu che è il Signore, cercando con i nostri i suoi occhi per sentire il suo amore e capire l’espressione del suo volto. Per me è il volto più umano, quello di Gesù. Per chi non crede in quel Tu la meditazione avviene in dialogo con quella anima che abbiamo, che dobbiamo curare e che in realtà ci unisce a Lui. Ne abbiamo bisogno, perché senza finiamo per vivere in maniera istintiva, irriflessa, che può appassionare ma contiene il rischio di credere di capire e decidere mentre in realtà siamo solo condotti dalla corrente delle dinamiche sociali ed economiche, velocissime, fortissime. Cosa capiamo delle cose se non le sappiamo vedere in relazione all’uomo e non di striscio, per convenienza, per accidente, ma come fine primo e ultimo? Non è lo stesso farlo o non farlo. Se non lo facciamo il rischio è altissimo di costruirci un mondo senza cuore, dove finiscono per dominarci le macchine che poi nessuna sa più controllare, come cantava un poeta descrivendoci come chiusi in una scatola nera che nessuno mai aprirà o ritroverà mentre restiamo incollati a programmi che nessuno può più cambiare con il telecomando! Quando lo strumento diventa il fine è davvero rischioso. E avviene senza che ce ne accorgiamo, anzi con l’illusione di comandare sempre. Se domandiamo alle macchine la felicità non la troveremo mai. Niente ci potrà sostituire la carezza tutta umana, fragile, debole di un bambino o di un uomo o di una donna, di nostro padre. Non la produrremo mai e non chiediamo mai alle macchine quello che non possono darci.
Secondo uno studio privato (PwC) il 38% dei lavori Usa potrebbe essere sostituito dalle macchine entro il 2030 (il 35% in Germania e il 30% in Inghilterra. Altre ricerche stimano addirittura che 4 lavoratori su 10 lasceranno il posto alle macchine entro il 2022. A questi numeri dobbiamo aggiungere che chi entra oggi nel mercato del lavoro dovrà cambiare tra le 5 e le 7 professioni (Wef) mentre il 40% dei lavoratori americani lavoreranno in proprio entro il 2020. Le prospettive dell’automazione in Italia sono ancora deboli. La selezione sarà spietata. E chi sarà estromesso? Dove finisce chi non entra? In genere abbiamo due grandi giustificazioni: una è non averlo saputo in tempo, non essersene reso conto. Non possiamo dirlo. Lo sapevamo e non ci siamo fermati, non abbiamo voluto capire, non abbiamo scelto pur consapevoli. Mi sembra quanto sta avvenendo sull’ambiente. L’altra giustificazione è ritenersi neutrali perché siamo solo un pezzo di un meccanismo enorme, dove la responsabilità individuale è sfumata, perché siamo sempre pezzi singoli di un ingranaggio che tende a renderti anonimo, senza un rapporto chiaro tra scelta personale e conseguenza oggettiva. Le domande sulla selezione, su chi sarà estromesso, sul come gestire i cambiamenti perché siano sostenibili (conoscete un futuro che non debba essere sostenibile? altrimenti si tratta solo di un presente angosciante e di un futuro che non arriva perché ci si distrugge prima!) non sono dunque retoriche, esercizi virtuali, prove di simulazione. Interrogarsi, quindi, non è rallentare la rapidità ritenuta necessaria del futuro, ma l’unica via per un futuro consapevole. L’intelligenza artificiale ci dominerà? Chi deciderà? Vi sono già nuovi modelli imprenditoriali. Certo, le tecnologie avanzate debbono essere utilizzate per creare un lavoro dignitoso per tutti, sostenere e consolidare i diritti sociali e proteggere l’ambiente. Ma la tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri. Papa Francesco nella Laudato Sì ammonisce circa la debolezza della politica. “La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati. Così ci si potrebbe aspettare solamente alcuni proclami superficiali, azioni filantropiche isolate, e anche sforzi per mostrare sensibilità verso l’ambiente, mentre in realtà qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere”.
Il problema è che o si padroneggia la quarta rivoluzione oppure si finisce dominati da questa. Se l’umanesimo è debole, a volte ritenuto quasi un ingombro o preoccupazioni eccessive, se la sofferenza è giudicata un prezzo inevitabile sulla via del progresso, dobbiamo preoccuparci ancora di più. E poi dovremmo chiederci: è progresso quello che non vede l’uomo al centro? Ce lo ricordano oggi – e non sono un accidente spiacevole – i disequilibri, le ingiustizie, la povertà diffusa, ai quali non possiamo mai abituarci. Ce lo ricordano chi resta fuori ma anche il bisogno di amore vero che è nascosto sempre nel cuore dell’uomo e che nessuna macchina potrà sostituire o corrispondere. È ovvio che non si tratta di pensare di bloccare un processo straordinario che può aprire possibilità nuove, ma non perdere mai di vista il centro di tutto. Chi ha al centro della sua vita Dio ha anche l’uomo. Direi anche sommessamente il contrario: chi ha al centro della sua vita e del suo cuore, cioè della sua coscienza, l’uomo trova, senza saperlo, Dio. Per i cristiani è quell’incredibile identificazione di Gesù con colui che aveva fame, sete, che era nudo, straniero, malato, carcerato.
I mezzi di oggi e le sfide sono ancora più potenti, come la loro capacità di dominare l’autore stesso. Era la consapevolezza che avevano gli uomini della generazione della seconda guerra mondiale, che hanno visto l’atomica e i suoi effetti terribili. Noi l’abbiamo persa, sfumando l’orrore di un ordigno che può in pochi secondi uccidere centinaia di migliaia di persone. Facciamo più fatica a capirlo, catturati come siamo dal virtuale che troppo confondiamo con il reale. L’uomo ha una possibilità offensiva tale che non possiamo non preoccuparci quando è meno consapevole, con meno preoccupazioni etiche. L’autore, l’uomo, pensa sempre di dominare, ma non si rende conto che quello che produce ad un certo punto può dominarlo. È proprio questo il peccato originale. Credersi padrone assoluto della vita e pensare di essere sé stessi senza l’Altro. Quando l’uomo si è pensato così ha creato Babele. Dobbiamo pensare seriamente al rischio di Babele per accettare la sfida di trasformare le possibilità straordinarie della tecnologia in possibilità di incontro, di dialogo, di sviluppo. Può l’uomo guidare lo sviluppo tecnologico o è un’illusione perché è già questo, unito agli interessi commerciali che vi sono dietro, a comandare? Papa Francesco spiega come “la cultura del benessere ci anestetizzi”, anche perché “piangere davanti al dramma degli altri non significa solo partecipare alle loro sofferenze, ma anche, e soprattutto, rendersi conto che le nostre stesse azioni sono causa di ingiustizia e disuguaglianza”. Nella Laudato Papa Francesco constata che (105) “l’uomo moderno non è stato educato al retto uso della potenza, perché l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza. Qualche volta, vedendo la diffusione delle dipendenze che si impongono sull’uomo e lo rendono un vero automa, viene da pensare che l’uomo è alienato e diventa davvero un robot, oggetto di meccanismi che pensa di controllare ma dal quale è comandato! La libertà dell’uomo è solo nell’amore.
Ciò che sta accadendo ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale. La scienza e la tecnologia non sono neutrali. “Nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane”. Siamo tra Babele e il villaggio globale, tra sviluppo e un futuro incerto e terribile. “Fatti non fummo per vivere come bruti” anche se serviti da robot intelligentissimi. Abbiamo chiaro che al centro ci deve essere sempre l’uomo per non finire nella confusione distruttiva di Babele dove comanda il più forte e la vita non vale più nulla. Vogliamo difendere questa straordinaria casa comune che, con molti robots in più, ma deve sempre vedere al centro Colui al quale il Creatore l’ha affidata: l’uomo. Cercare l’umanesimo, cioè avere sempre al centro la persona ci aiutano, a mio parere, non a perdere ma ad avere un’ambizione ancora più grande, non più piccola o limitata, non marginale o peggio frenante lo sviluppo! Raoul Follereau ci ammoniva: “Terribile civiltà quella che misura i popoli dall’oro che posseggono, dalle bombe che fabbricano o dal numero dei bimbi che possono fare uccidere. Questo mondo schiavo della tecnica che doveva liberarlo, questo mondo che è da gran tempo impigliato nel suo egoismo e nel suo odio, ha TERRIBILMENTE bisogno di amare. Non contenti di dileggiare i valori umani, oggi ci si da da fare, scientificamente, per avvilirli. L’uomo non ha più bisogno di perfezionare dei robot. È lui che diventa un robot. L’uomo non abita più nell’uomo. L’importante non è quello che si è, ma quello che si offre. La felicità che uno ha è il bene che fa. Se manca qualcosa alla tua vita è che non hai guardato abbastanza in alto. Non c’è nulla di meglio per asciugare le lacrime che guardare una stella”. E nessun robot saprà mai capire il segreto di questa comunicazione.

01/07/2017
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