Il cristiano e le sfide attuali
 [Incontro Comitato Scientifico IVS 22-06-05

Vi ringrazio di aver accolto il mio invito a questo momento di riflessione.

Il vostro apporto è importante per l’attività dell’Istituto

Veritatis Splendor [IVS].  Esso infatti consiste nell’indicare le

linee di ricerca.

Il mio intervento si propone solamente di introdurre la vostra riflessione.

Lo faccio dal punto di vista del pastore attento alla condizione del popolo

cristiano e alla sua vocazione missionaria.

L’esperienza più profonda e coinvolgente vissuta dalla Chiesa

in questo momento è stata certamente la morte di Giovanni Paolo II e

l’elezione di Benedetto XVI. è stata la successione petrina.

è compito della Chiesa ricevere ora nella profondità della sua

vita quotidiana l’eredità spirituale di Giovanni Paolo II, nella

docile disponibilità alla guida di Benedetto XVI. La mia riflessione

si inserisce anche in questo contesto.

1.Ho letto attentamente e meditato il discorso di Sua S. Benedetto XVI all’Assemblea

generale della CEI: è una sorta di Lettera Enciclica alla Chiesa in

Italia. è da esso che prendo spunto ed ispirazione.

Nella mia prima Nota Pastorale ho individuato nella rigenerazione del soggetto

cristiano il compito fondamentale della nostra Chiesa. Nel citato discorso

del S. Padre, si sottolinea la necessità che «in Cristo sia individuata

la misura del vero umanesimo, per la coscienza delle persone come per gli assetti

della vita sociale». Ogni giorno più vedo che questo è la

questione centrale: quale misura l’uomo, intendo l’uomo concreto

in carne ed ossa, assume nell’interpretazione di se stesso, nell’elaborazione

delle risposte alle sue domande, nelle scelte della sua libertà? Fin

dalla sua prima enciclica, Giovanni Paolo II aveva affermato: «L’uomo

che vuol comprendere se stesso fino in fondo – non soltanto secondo immediati,

parziali, spesso superficiali, e perfino apparenti criteri e misure del proprio

essere – deve … avvicinarsi a Cristo. Egli deve, per così dire,

entrare in lui con tutto se stesso» [Lett. Enc. Redemptor hominis 10,1;

EE 8/28]. Ed ora Benedetto XVI parla di «individuare in Cristo la misura

del vero umanesimo», indicando anche i due luoghi fondamentali in cui

questa individuazione deve avvenire: la coscienza delle persone e gli assetti

della vita sociale.

Penso che la debolezza di cui non raramente soffre oggi il soggetto cristiano,

la fragilità spirituale soprattutto dei giovani, siano dovute in primo

luogo ad una grave incapacità di giudizio, e quindi di conoscere la

realtà alla luce della fede. è riferendosi ai giovani che Benedetto

XVI ricorre ancora una volta al testo paolino: «sballottati dalle onde

e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» [Ef. 4,14].

La ricostruzione di una vera capacità di giudizio nel soggetto cristiano

esige anche un grande impegno di riflessione nella Chiesa. A quest’opera

di ricostruzione che compete in primo luogo ai pastori della Chiesa, è necessaria

la riflessione condotta da coloro che si dedicano quotidianamente alla … “fatica

del concetto”. è in questa luce  che comprendete il senso

profondo di quella subalternanza della ricerca alla formazione nell’IVS,

di cui parlo frequentemente.

2.Vorrei ora sottoporre alla vostra attenzione un tentativo di diagnosi di

quell’infermità di giudizio di cui parlavo poc’anzi: per

essere aiutati a capire – noi Chiesa di Bologna – e a svolgere

il nostro servizio pastorale.

L’ipotesi diagnostica che propongo è, brevemente, la seguente: la

debolezza o (perfino) l’incapacità di giudizio del soggetto

cristiano è dovuta alla debolezza o (perfino) all’incapacità dello

stesso soggetto a rispondere alle sfide culturali fondamentali che gli sono

rivolte.

Prima di passare alla breve esposizione del contenuto di questa ipotesi, basta

solo premettere che l’aggettivo “culturale”, o meglio che

il termine “cultura” in questo contesto denota l’assetto

che si intende dare alla propria esistenza, il modo con cui la persona si colloca

nella realtà ed in rapporto con essa.

Ciò premesso, a me sembra che nel momento in cui il credente cerca

di assestarsi alla luce della fede dentro alla realtà, appunto di “inculturare” la

sua fede, si trova a dover rispondere a tre fondamentali sfide: la sfida del

relativismo, la sfida dell’amoralismo, la sfida dell’individualismo.

Le prime due riguardano più direttamente il primo luogo in cui secondo

Benedetto XVI deve avvenire l’individuazione di Cristo come misura del

vero umanesimo, la coscienza delle persone; la terza riguarda più direttamente

il secondo luogo, gli assetti della vita sociale.

Non è necessario che entri molto dettagliatamente nella descrizione

di quella triplice sfida; voi ne conoscete bene i contenuti. Mi limito semplicemente

a dire che cosa essenzialmente intendo.

La sfida del relativismo è la proposta di esistere rinunciando

a quella ricerca della verità, che genera tutta la vita dello spirito; è la

proposta di esistere, meglio di verificare l’ipotesi di una possibilità di

vivere «etsi veritas non daretur». Mi permetto di ricordarvi un

testo di Tommaso, che potrebbe essere una chiave profondamente interpretativa

della sfida di cui stiamo parlando: «res naturales, ex quibus intellectus

noster scientiam accipit, mensurant intellectum nostrum, ut dicitur x Metaph

[com 9], sed sunt mensuratae ab intellectu divino, in quo sunt omnia creata,

sicut omnia articificialia in intellectu artificis. Sic ergo intellectus divinus

est mensurans non mensuratus; res autem naturalis, mensurans et mensurata;

sed intellectus noster est mensuratus, non mensurans quidem res naturales,

sed artificiales tantum» [Qq. Dd. de Veritate q.1, a.2]. Le due regioni

della realtà che Tommaso denota come “res naturales” – “res

artificiales”, e nei confronti delle quali in relazione diversa si pone

la ragione umana – mensurata/mensurans – , sono ridotte ad una

sola; anche la “regione umana”: l’uomo prodotto dell’uomo

e quindi l’uomo misura dell’uomo.

La portata di questa visione la si coglie interamente quando portiamo la nostra

attenzione sulla verità circa la quale l’uomo nutre non interessi

penultimi, ma un interesse ultimo: la verità circa il bene della sua

persona, la verità morale. è la seconda sfida con cui

oggi il credente è confrontato: la sfida dell'amoralità. è  la

sfida di una proposta di vita, costruita da una libertà compresa e vissuta

come autodipendenza pura, ossia come potere di determinare la verità circa

il bene della persona e dunque come potere di costituire la sua [della persona]

propria natura. Ho parlato di amoralità in un senso preciso. Nel senso

che l’affermazione secondo la quale «esistono atti che, per se

stessi ed in se stessi indipendentemente dalle circostanze, sono sempre gravemente

illeciti» [Es. Ap. Reconciliatio et penitentia 17; EV 9/1123], non è fondata,

dal momento che la condizione sufficiente per determinare tutte le regole dell’agire

in un dato gruppo o società è esclusivamente il patto delle parti

interessate. Consensus facit veritatem de bono/malo. La seconda sfida cui oggi

il credente è confrontato è la proposta di vivere «tamquam

si bonum non daretur».

L’ultima riflessione ci ha condotto dentro alla terza sfida fondamentale

con cui  il credente oggi è confrontato, quella che ho chiamato “sfida

dell’individualismo”. è possibile, è cioè pensabile

un sociale umano originario, che preceda cioè ogni contrattazione sociale,

se non esiste un bene comune e quindi una verità circa il bene comune?

Non credo. Ora quale sociale umano è praticabile se non esistono relazioni

originarie fra le persone umane? Un sociale esclusivamente contrattato e quindi

frutto di opposte esigenze, nessuna delle quali ha la possibilità di

richiamarsi ad una verità circa il bene superiore ad ogni individuo

coinvolto nella contrattazione ed inscritta nella mente di ogni individuo;

superior superiori meo et intimior intimo meo, come direbbe Agostino. è in

questo contesto che si pone oggi il problema più grave a riguardo del

diritto: come esso nasce e come deve essere pensato e prodotto perché esso

sia veicolo di giustizia e non privilegio di coloro che hanno il potere di

stabilirlo?

Non procedo oltre nella determinazione di queste tre sfide perché sono

a voi ben note. Concludo questo punto dicendo che la registrazione più urgente

oggi delle tre suddette sfide, e delle domande che esse implicano, è la

registrazione biopolitica. Gli esempi che mostrano questa urgenza non mancano

3.Ritorniamo all’ipotesi diagnostica da cui sono partito, secondo la

quale la debolezza o perfino l’incapacità di giudizio del soggetto

cristiano è dovuta alla debolezza o perfino all’incapacità di

rispondere alle tre sfide culturali che ho cercato sommariamente di descrivere.

Vorrei ora proseguire facendomi la domanda seguente e per me pastore più urgente:

come aiutare il soggetto cristiano ad uscire da questa condizione e quindi

quale è l’apporto che la ricerca scientifica dell’IVS può darci

per venire in aiuto alla Chiesa di Bologna?

Penso che ci siano delle pseudo-soluzioni a questo problema, che hanno spesso

il volto [mascherato!] di vere e proprie fughe dalla realtà ardua in

cui viviamo. Mi limito solo ad accennarle, poiché non è questo

il luogo in cui parlare di questo argomento, che ha un carattere più spiccatamente

pastorale.

Una prima pseudo-soluzione è l’evasione dal confronto vero e

serio con queste sfide. Un’evasione che assume genericamente il volto

del fideismo, del rifiuto della dimensione veritativa della fede cristiana. è una

vera e propria indisponibilità, non necessariamente intenzionale, al

confronto serio e rigoroso sul piano propriamente culturale. è l’evasione

in una fede solamente esclamata e non interrogata, solamente affermata e non

pensata.

La seconda pseudo-soluzione, specularmente contraria alla precedente, è la

soluzione prassistica. Essa consiste nel pensare e praticare un (o pseudo-)

confronto consistente solo nell’impegno sociale e/o politico. è questa

una delle insidie più presenti nelle proposte formative fatte oggi alle

giovani generazioni, pensare che la loro formazione consista principalmente

ed esclusivamente nell’impegnarli a fare qualche esperienza di volontariato.

La mia proposta parte da un presupposto sul quale vado da tempo meditando. è il

seguente: nei momenti di più grave crisi spirituale che un popolo attraversa,

la scelta prioritaria è la scelta educativa. S. Benedetto in un momento

di grave crisi, cioè di transizione culturale, ha inventato una schola

divini servitii, che corrisponde al monastero benedettino. Ha cioè inventato

un luogo, una dimora dove potesse nascere un uomo nuovo ed una nuova umanità.

Novità che consiste nella capacità di compiere l’opus Dei,

nel duplice senso: la divina liturgia e l’umano lavoro, che costituiscono

il contenuto del servizio che l’uomo rende a Dio. Ma non voglio continuare

con riflessioni storiche, per le quali non ho una preparazione adeguata; vorrei

piuttosto brevemente esplicitare il contenuto della mia proposta.

Forse ci può aiutare nell’evitare generici appelli, tenere presente

che la  proposta suddetta si attua, si deve attuare nel campo del [rapporto]

privato e nel campo del pubblico. Sono cosciente io per primo che la formulazione

della distinzione non è delle più felici.

Secondo una certezza di fede esiste impressa nell’uomo l’immagine

di Dio che niente e nessuno potrà mai cancellare; l’idea tommasiana – in

larga misura persa nella sua stessa scuola – di una partecipazione della

nostra ragione alla stessa sapienza divina è centrale nella proposta

che vado sostenendo. Ambedue le affermazioni, di fede e di ragione, ci suggeriscono

che l’educazione di un soggetto cristiano robusto non può non

consistere in una pedagogia del “maestro interiore” che vedo formulata

stupendamente in un verso di K. Woitila: «Ma se c’è in me

la verità – deve esplodere/ non posso rifiutarla, rifiuterei me

stesso». è  qui fondamentale quell’«in me».

Voglio dire che esiste nell’uomo una presenza, a modo di indicazioni

originarie, che è compito di ogni vera paternità rendere consapevole,

per rendere capace ogni uomo di interpretare quelle inclinazioni. L’analisi

che Agostino fa del desiderio di beatitudine che è nel cuore umano, è al

riguardo esemplare ed insuperabile.

In questo contesto il vostro apporto ci è assolutamente necessario,

da un duplice punto di vista. Positivamente aiutandoci in questa lettura dell’humanum

attraverso la costruzione teoreticamente consistente di un antropologia adeguata.

Negativamente, dimostrando l’inconsistenza, alla luce della ragione,

di ogni forma di riduzionismo antropologico, di ogni forma del «nient’altro

che…» [l’uomo = non è nient’altro che …].

Non è necessario che io vi mostri quali sono oggi le principali forme

di riduzionismo.

Ma questo non è tutto. Questa proposta non può non avere anche

una dimensione pubblica.

Nel discorso già citato rivolto da Benedetto XVI all’Assemblea

generale della CEI si individua una certa forma di razionalità come

la principale insidia alla presenza dell’avvenimento cristiano nella

nostra vita, nella vita del nostro popolo. Forse lo scontro a livello pubblico è in

questi termini. è necessario generare uomini capaci di giudizio, come

ho detto prima. Ma questa generazione non basterebbe se non fosse accompagnata

da un confronto pubblico fra le due forze fondamentali che hanno plasmato la

modernità occidentale: la fede cristiana e la ragione funzionale di

cui parla il S. Padre. è questo il vostro compito fondamentale, o comunque

uno dei vostri compiti fondamentali. è dal confronto di quelle due forze

che in larga misura dipende il destino dell’Occidente. è necessario

che questo confronto non sia più rimandato.

Lo vedo necessario soprattutto in due ambiti che sono strettamente connessi:

nell’ambito della bioetica e biopolitica; nell’ambito della progettazione

propriamente sociale.

La sintesi di questa duplice attenzione la trovo espressa mirabilmente in

una riflessione di R. Guardini: «Cosa accadrà quando prenderemo

bruscamente coscienza delle formule razionali, quando ci troveremo davanti

al prevalere degli imperativi della tecnica? La vita ormai è inquadrata

in un sistema di macchine. Essa si difende, aspira all’aria libera e

cerca un rifugio al sicuro. Ma che giovamento trae da questa lotta? In un tale

sistema, la vita può rimanere vivente?».

Forse la preoccupazione che oggi ci preme più urgentemente è proprio

quella che la vita rimanga vivente, e che l’uomo sia affermato nella

sua verità intera.

Nella relazione tenuta al VI Forum del Progetto Culturale della CEI dello

scorso 3 dicembre 2004, il filosofo R. Brague affermava che il XXI secolo sarà il

secolo di un’aspra contesa tra l’essere e il nulla: «il problema

centrale non è altro che l’esistenza dell’uomo sulla terra».

Lo scontro fondamentale non è fra civiltà e ancor meno fra le

religioni o fra popoli diversi che coabitino: è sull’uomo e sul

suo futuro.

22/06/2005
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