Intervento alla manifestazione del 1° maggio

Grazie per l’invito in questo giorno speciale per tutti noi. La Festa dei Lavoratori ci vede impegnati, Chiesa e sindacati, in un’opera culturale straordinaria. Mai come in questa stagione avvertiamo tutte le contraddizioni del mondo del lavoro. Da una parte, infatti, l’economia sembra godere di buona salute e dall’altra non crescono i contratti a tempo indeterminato. Ci sono settori produttivi che hanno fame di manodopera e di personale competente e, contemporaneamente, assistiamo alla fuga di giovani in cerca di occupazione altrove. Il precariato vola, se è vero come è vero che solo il 20% dei giovani ha un contratto a tempo pieno. A ciò si aggiunga la drammatica condizione dei NEET che l’Istat pochi giorni fa attestava al 29%, con un record negativo italiano in Europa da far rabbrividire. E altri dati ancora ci preoccupano: l’abbandono scolastico che supera il 10% e i bassi salari che per il 28% dei giovani non raggiunge i 9 euro netti l’ora.

Abbiamo motivi per non dormire sonni tranquilli. Il lavoro è il “grande tema” (FT 162), come suggerisce Papa Francesco, e facciamo fatica a creare un’autentica cultura del lavoro. Talvolta sembra che non sia neppure chiaro lo scopo delle politiche del lavoro. Sono 75 anni e siamo sempre una Res Publica fondata sul lavoro, che ricorda anche e con saggezza che è necessaria la tutela del lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, perché è un diritto, e deve, sempre la Repubblica, cioè noi tutti cittadini, “promuovere le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Diritti e doveri. Guai a separarli, in un senso o nell’altro. Sarà deformazione professionale – ma spirituale, credetemi, è molto più di quello che pensiamo perché, in realtà, tutti siamo anche spirituali – ma credo che davvero ognuno abbia il dovere di aiutare, con il proprio comportamento e con la propria vita, e di concorrere al progresso. Non il suo, il nostro e solo perché nostro anche il suo! Quanto è necessario garantire questo diritto, che significa anche copertura indispensabile alla sopravvivenza quando l’unico lavoro è la povertà. Occorre garantire reddito sufficiente alla dignità e anche, con creatività, inserimento di nuovo nel mondo del lavoro. È quello che realizza “Insieme per il lavoro”, che cerca di garantire che il lavoro sia per la persona e non viceversa. Oggi un quarto della popolazione giovanile del nostro Paese non trova lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno. La crisi della natalità è legata anche alla precarietà lavorativa che vivono molte persone, tra le quali molti giovani. Dove scarseggia l’offerta di lavoro i giovani sono sottopagati, vedono frustrate le loro capacità e competenze.

Negli ultimi anni sono aumentati i cosiddetti “lavoratori poveri”, persone che, pur avendo un lavoro, non riescono a mantenere le loro famiglie e a dare speranza per il futuro. Ecco la voce che il sindacato è chiamato a far ascoltare! Non permettiamo mai che si mettano sullo stesso piano il profitto e la persona!  E non per motivi corporativi, ma di diritti della persona. E ancora: il lavoro è per la vita e la vita va protetta. Si tratta di formarsi ad avere a cuore, ha detto Papa Francesco, la vita dei lavoratori e educarsi a prendere sul serio le normative di sicurezza perché solo una saggia alleanza può prevenire quegli “incidenti” che sono tragedie per le famiglie e le comunità. Vorrei ricordare una delle ultime vittime, persona morta sul lavoro, perché di questo si tratta, e per il suo lavoro: la dottoressa Barbara Capovani alla quale dobbiamo rivolgere un pensiero grato per il prezioso servizio di ascolto e di cura. Le conseguenze della pandemia sulla salute mentale hanno peggiorato lo scenario, con pesanti ricadute soprattutto sui giovanissimi. Quanti se ne fanno carico, spesso in condizioni difficili e insufficienti, vanno sostenuti con risorse adeguate, creando le condizioni perché si possa lavorare in sicurezza. Ricordiamo i diritti e doveri in un momento che richiede tanto lavoro, anche lavoro per il lavoro, cioè il sistema, non solo le opportunità, altrimenti è pericoloso. Per fare questo occorrono un’economia di pace che difenda la pace e un lavoro che libera le persone e, quindi, le unisce. La solidarietà con i lavoratori e per la pace è indispensabile.

Il legame tra lavoro ed educazione è fondamentale, e forse richiede uno sforzo da parte di tutti, libero da settorialismi e tatticismi, spesso interessati, e capace di alleanze alte, di patti sociali che sappiamo resistere alla tentazione dell’opportunismo e che ci facciamo uscire dalla logica dell’emergenziale. “Le promesse di rinnovamento fatte durante la pandemia di ricostruire un mondo migliore, tuttavia, non sono state finora mantenute nei confronti della maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici del mondo. A livello globale, i salari reali sono diminuiti, la povertà è cresciuta e le diseguaglianze sembrano persistere più che mai. Le imprese sono state duramente colpite da queste crisi. Molte di esse, soprattutto quelle di piccole dimensioni, non hanno potuto far fronte agli effetti negativi di questi eventi e hanno cessato di operare. Le persone hanno la sensazione che i sacrifici fatti per superare la pandemia non siano stati riconosciuti. Le loro necessità non vengono ascoltate a sufficienza. È necessario concentrarsi sulla lotta alle diseguaglianze, sulla riduzione della povertà e sul rafforzamento delle fondamenta dei sistemi di protezione sociale. Bisogna rinvigorire le istituzioni e le organizzazioni del lavoro, in modo che il dialogo sociale sia forte ed efficace”. È necessario un dialogo con la consapevolezza di una nuova alleanza, forte ma anche unita, nella convinzione di appartenenza a un destino comune. Con immaginazione e responsabilità, sapendo guardare dove nessuno ha guardato in precedenza, mettendo da parte protagonismi personali e di gruppo, andando in profondità tanto da vedere quello che è davvero necessario per tutti, e condiviso da tutti, buttandosi con determinazione nella ricerca, per scorgere la soluzione dietro al problema.

È il tempo del coraggio! Si affacciano anche nuove forme di sfruttamento, che perpetuano l’antica tentazione di assoggettare le donne e gli uomini ai processi produttivi. Il nuovo metodo si serve delle tecnologie, che possono portare a forme di disumanità se i comandamenti imperanti sono quelli della velocità e dell’efficienza. Soprattutto in questo tempo abbiamo bisogno di liberare il lavoro e non di liberarci del lavoro. Se dovesse prevalere questa seconda tentazione, finiremmo per liberarci dell’umanità in nome dei nuovi idoli della tecnocrazia e del profitto.

Sappiamo quanto sia importante la qualità del lavoro per capire la qualità della cittadinanza (art.1 della Costituzione). E un’economia senza lavoro è come un pesce fuori dall’acqua: ha vita breve!

La Chiesa italiana nel messaggio per il 1° maggio ha voluto mettere al centro il tema dei giovani, consapevole che lì ci giochiamo una partita importante. Abbiamo scritto:

«Ascoltare questi giovani ci aiuta ad incontrarli, assieme a tanti altri che hanno sicuramente molto da dire, ai quali ci offriamo come compagni di viaggio. Vogliamo trovare il modo ed il tempo per sognare il loro stesso sogno di un’economia di pace e non di guerra; un’economia che si prende cura del creato, a servizio della persona, della famiglia e della vita; un’economia che sa prendersi cura di tutti e non lascia indietro nessuno. Desideriamo un’economia custode delle culture e delle tradizioni dei popoli, di tutte le specie viventi e delle risorse naturali della Terra, un’economia che combatte la miseria in tutte le sue forme, riduce le diseguaglianze e sa dire, con Gesù e con Francesco, “beati i poveri”».

Siamo invitati a dedicare tempo per condividere un nuovo modello di economia e di sviluppo. Per fare questo non c’è più tempo per l’autoconservazione. Sindacati, mondi associativi, Chiesa devono mettersi in gioco perché i lavoratori siano resi consapevoli della loro vocazione al servizio della nostra società e perché funzionino davvero i meccanismi di ingresso e uscita dal mondo del lavoro, nel rispetto della dignità delle persone. Siamo a un bivio: possiamo divenire segni di speranza o essere visti come pesi insopportabili che si mettono di traverso ogni qual volta c’è da pensare in modo nuovo e generativo. C’è spazio per la creatività, dono dello Spirito di Dio.

Piazza Maggiore - Bologna
01/05/2023
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