Messa a Samboseto nell’anniversario della morte del cardinale Caffarra

È una grande gioia celebrare qui a Samboseto. Ne ho sentito parlare tanto, ovviamente per il legame con il Cardinale. Le nostre persone non saranno mai, credo e spero, digitali, un file. La nostra stessa resurrezione non è virtuale, ma nel nostro corpo.

Siamo la storia che ci accompagna, i luoghi, le persone che incontriamo in quel drammatico e magnifico cammino che è la vita. Cammino verso un punto, non una linea che si chiude su sé stessa. Cammino che parte da un punto, dove viene alla luce e va verso la luce. Il punto di Samboseto significa anche i tanti legami, le storie, gli incontri, le parole, l’habitat tutto, che danno senso alla nostra storia. Qui il Cardinale è diventato cristiano ed è stato ordinato sacerdote.

Non possiamo vivere senza profondità, farci scorrere addosso quel mistero che solo la provvidenza di Dio, cioè il suo amore paraclito, difensore e consolatore, sa spiegare. Un uomo profondo, riflessivo, affettivo come il Cardinale, ha cercato di vivere la sua vita cercandone il senso, spiegando il senso, il desiderio profondo a sé stesso e al suo prossimo, nel legame con la sua famiglia, con il villaggio che è Samboseto e con quel villaggio che è il mondo.

Sentiamo così vere per noi le parole del profeta, che è rivolto a noi ma che è anche affidato a noi: «Dite agli smarriti di cuore: “Coraggio, non temete!“». Quanti smarriti perché non protetti, abbandonati in un mondo pericoloso, come gli anziani isolati negli istituti, che non comprendono dove sono e si sentono perduti. Lo abbiamo visto amaramente nei mesi del lockdown. Quanti smarriti, come i profughi che non si orientano nell’immensità del mare o del deserto senza riferimenti oppure smarriti davanti a muri che umiliano e fanno disperare.

A volte sono i volti delle persone che incontrano, dei muri di ostilità. Ma siamo anche tutti smarriti davanti all’orizzonte della vita, che a volte causa come le vertigini, così grande tanto da schiacciare nella nostra piccolezza, e provocarci smarrimento. Accade a chi non trova più sé stesso, diviene confuso da fantasmi del passato che tornano, incerto tra troppe interpretazioni senza il prossimo, reso insicuro dalla paura e dalla disillusione, dalla vanità di tanti sforzi che non risolvono il senso della vita. Dio non rivolge soltanto una parola di conforto! (Qualche volta pensiamo di risolvere il problema pronunciando “una parola buona”, ma che non lo è affatto se non si ama e che, come certe consolazioni di maniera o superficiali, diventa in realtà irritante!).

Il Signore ci chiede di non offrire solo qualche energetico per andare avanti o qualche narcotico per provare meno dolore nelle difficoltà. Dio manda Colui che dona sé stesso perché si commuove per noi, stanchi e sfiniti come pecore senza pastore. E Gesù manda noi. La sua Parola diventa un uomo, Gesù, entra nella storia delle persone e nella nostra piccola storia, per farla grande, grande perché amata da Lui e grande perché ci insegna a spendere quel pezzo di Dio che ci ha messo dentro, che è la capacità di amare.

Ecco, l’amore del Signore apre gli occhi dei ciechi e schiude tanti orecchi di sordi. Forse fu proprio questo a toccare il cuore del piccolo Carlo, determinato fin da bambino a diventare sacerdote, aiutato a conoscere il Signore dalla fede della sua famiglia e delle persone intorno. Non dimentichiamo mai che la nostra persona testimonia o al contrario confonde il prossimo! E non facciamo mancare la nostra fede. Direi che la nostra vita dovrebbe essere come le campane che inviano suoni di amore, che raggiungono gli altri, fanno sentire parte della comunità, esprimono vicinanza, interesse, appartenenza. Facciamolo sempre: non lo sappiamo ma consolano, orientano, risuonano nei cuori. Per questo facciamo sentire sempre quella campana che è dentro di noi, con un timbro unico, originale che è il nostro, inviando parole di amore, a cominciare dal saluto, dalla gentilezza che fa sentire importante chi incontriamo o chi ci vede, dall’attenzione verso chi incontriamo, dallo sguardo, dal sorriso.

Oggi il Vangelo ci porta fuori dai confini di Israele, che significa anche oltre quello che conosciamo già, che sentiamo nostro, ma anche al di là dei nostri limiti, dei giudizi e dei pregiudizi delle nostre misure. L’amore supera tutto, perché l’amore è la misura che non conosce misura!  Lui non si sente estraneo da nessuna parte e ci insegna a sentirci a casa con tutti, anzi a fare sentire a casa tutti. Gli portano un sordomuto e lo pregano di imporgli la mano.

Ecco, questo è il senso della preghiera e anche di quello che la preghiera chiede a noi (quando chiediamo al Signore, il Signore ci ascolta ma ci parla anche e ci chiede pure Lui qualcosa, se lo ascoltiamo! E ce lo chiede perché facendolo troviamo la risposta a quanto abbiamo chiesto). Gesù chiede di essere noi le mani per trasmettere a tanti la sua forza di amore, quella che scioglie la lingua e apre le orecchie. Gesù prende in disparte il sordomuto, lontano dalla folla. Questo luogo in disparte è quello dell’incontro personale, della nostra preghiera e del nostro servizio, in disparte dalla folla, da cuore a cuore. Preghiera e servizio: tutti e due luoghi di incontro di amore che comunica con chi non sa ancora comunicare, che apre ciò che è ancora chiuso. Così avvengono tante piccole resurrezioni che liberano dalla chiusura e dall’isolamento.

La pandemia ha rivelato e provocato tanta solitudine, tanta chiusura del cuore, più complicata di quella fisica. Spesso, però, è una solitudine alla quale condanniamo noi con l’indifferenza, decreto che firmiamo non andando a trovare, non accorgendoci, girandoci dall’altra parte, dicendo “ma io che c’entro?”. Gesù ci viene a dire che noi “c’entriamo sempre!”. Altrimenti tutti sono come quel sordomuto che non riesce ad esprimere con le parole il suo mondo perché nessuno lo ascolta e non ascolta perché nessuno gli parla con amore. A volte siamo così distanti che ci sembra non abbiamo niente da dire. Come è possibile che i cuori, che racchiudono il mistero infinito di Dio, non abbiano niente da dire? Succede quando non amiamo o siamo spenti di amore.

Ogni persona è un universo, un mondo di parole se sappiamo ascoltarle e scioglierle dal mutismo, se noi sappiamo parlare e ascoltare. Quanta vita e quanta sofferenza rimane non compresa, nascosta dietro la chiusura! Gesù ha aperto i nostri cuori perché anche noi apriamo i cuori di tanti! «Effatà». Quante capacità, quanto dolore di non potere esprimere quello che si è e che si ha, perché rimane senza parole da dire e da ascoltare. Il dolore muto è ancora più pesante, insopportabile, spegne il futuro, rende ciascuno un’isola, fa sentire condannati. Gesù apre, cioè libera, restituisce a sé stessi, fa sentire importanti, amati. Proclamiamo anche noi, con sempre rinnovato stupore: “Ha fatto bene ogni cosa, fa udire i sordi e fa parlare i muti”. Anche perché a noi ha dato di parlare quella lingua che raggiunge il cuore di tutti e tutti possono sentire come la propria lingua nativa, cioè familiare, personale.

Il Cardinale ha cercato di aprire il profondo dell’anima, iniziando dalla sua, interrogandosi e desiderando portare l’annuncio di Cristo, spiegando il suo contenuto e le conseguenze di questo, ma sempre nella consapevolezza che è Cristo e solo Cristo a rispondere alla domanda di bello, di buono e di vero che è nascosta nel cuore dell’uomo. Tra le ultime riflessioni scritte poco prima di morire mi aveva colpito quella su “Cosa distrugge l’umano e chi ricostruisce l’umano?”.

Era per lui la contraffazione della coscienza morale e la separazione della libertà dalla verità. Scrisse: “Due persone stanno camminando sull’argine di un fiume in piena. Uno sa nuotare, l’altro no. Questi scivola e cade nel fiume, che sta travolgendolo. Tre sono le possibilità che l’amico ha a disposizione: insegnare a nuotare; lanciare una corda raccomandargli di tenerla ben stretta; buttarsi in acqua, abbracciare il naufrago, e portarlo a riva. Quale di queste vie ha percorso il Verbo Incarnato, vedendo l’uomo trascinato all’auto-distruzione? La prima, risposero i Pelagiani, e rispondono tutti coloro che riducono l’evento cristiano ad esortazione morale. La seconda, risposero i Semi-pelagiani, e rispondono coloro che vedono grazia e libertà come due forze inversamente proporzionali. La terza, insegna la Chiesa. Il Verbo, non considerando la sua condizione divina un tesoro da custodire gelosamente, si gettò dentro la corrente del male, per abbracciare l’uomo e portarlo a riva. Questo è l’evento cristiano”.

Grazie Carlo per la tua vita che con tanto rigore, senza compromessi ma anche con tanta umanità e tanta intelligente attenzione alla persona hai cercato di vivere e far vivere a tutti l’evento dell’amore che rende piena la vita.

Samboseto (Parma)
05/09/2021
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