Messa della II Domenica del Tempo ordinario a Casalecchio

“Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada”. È per amore che il profeta parla, per amore della città santa. È per amore che il Signore ci chiama, non per sé, ma per noi. È per amore che rispondiamo alla Sua chiamata, perché amando Dio troviamo il senso e la pienezza della nostra vita. Gesù è la nostra speranza, quella che dà senso a tutto, per cui nulla è vano della nostra fragile vita, financo i capelli del nostro capo. Il Signore li conta! Conta i capelli? Quello che noi non possiamo contare è prezioso per Lui, perché ama e non perde nulla della nostra vita. Nulla va perduto. Preghiamo tanto che Gerusalemme sia davvero la città della pace, che i figli di Abramo onorino il loro comune Padre imparando a vivere in pace tra loro e che la fragile tregua diventi l’inizio di un percorso di pace. La pace è quando i diversi carismi, i doni che ognuno porta con sé si pensano assieme. Siamo diversi, ma non contrapposti, siamo complementari. Siamo diversi ma in comunicazione, perché il carisma individuale trova senso solo in relazione al resto, al corpo, altrimenti diventa inutile, perde il suo significato perché il dono serve agli altri e lo capiamo proprio quando è riflesso nel nostro prossimo.

È proprio vero: a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune. Significa anche che ognuno è prezioso ed è responsabilità di ciascuno spendere il suo dono per il bene comune – non quello privato, ma quello che serve a tutti e quindi anche all’individuo – ma è anche responsabilità nostra aiutare a capirlo. A volte sembra che il prossimo non abbia significato ma ciò non è vero, il motivo è nostro ed è perché non lo abbiamo scoperto. Ieri sera avete accolto il coro di Mons. Frisina. La nostra speranza ci dice che in paradiso saremo un coro con gli angeli e i santi e che il cielo inizia quando ci vogliamo bene, ci amiamo così tanto da essere un cuore solo e un’anima sola. Ah, se lo anticipassimo un poco! Non lo si diventa facilmente. Ci vuole tanto sforzo per pensarsi insieme e ci vuole un direttore d’orchestra e il migliore – senza nulla togliere a don Marco! – è Dio, che move il sole e l’altre stelle, l’infinita sinfonia dell’universo. Bisogna pensarsi insieme, accordarsi, e ciò non a caso coinvolge il cuore. Lo dice Papa Francesco nella Dilexit Nos: «il nostro cuore coesiste con gli altri cuori che lo aiutano ad essere un “tu”. Il cuore è anche capace di unificare e armonizzare la propria storia personale, che sembra frammentata in mille pezzi, ma dove tutto può avere un senso. Amando, una persona sente di sapere perché e a che scopo vive».

Oggi ringraziamo del dono di un coro, che ci aiuta a capirci perché insieme. E sappiamo come la musica ci aiuta a quel di più che è proprio il cuore. È vero: chi canta prega due volte, perché prega lui ma anche il prossimo che canta con lui, per quel di più che è la melodia che tocca e unisce le corde profonde del cuore, perché esprime quello che noi stessi facciamo fatica a comprendere  e ci aiuta a metterci davanti a Dio. Sant’Agostino dice: cantare amantis est. Fonte del canto è l’amore. Il canto è espressione dell’amore. Papa Benedetto XVI diceva: «cantare in coro, non è solo un esercizio dell’udito esteriore e della voce; è anche un’educazione dell’udito interiore, l’udito del cuore, un esercizio e un’educazione alla vita e alla pace. Cantare insieme, in coro, e tutti i cori insieme, esige attenzione all’altro, attenzione al compositore, attenzione al maestro, attenzione a questa totalità che chiamiamo musica e cultura, e, in tal modo, cantare in coro è un’educazione alla vita, un’educazione alla pace, un camminare insieme».

Gesù e Sua madre riescono a rendere piena la vita nostra. Partecipano ad una festa. Questa finisce. Finisce! In realtà, tutti vorremmo che le cose belle non finissero mai. Eppure sappiamo che ci scontriamo, a volte con tanta amarezza e sofferenza, con il limite, con la fine, per cui cerchiamo di afferrare più che possiamo come chi pensa che non c’è altro e quindi prende più che può. Maria è donna della speranza. Ha avuto fiducia in Dio. Lei per prima aveva detto “sia fatta seconda tua parola”, credendo al suo adempimento. Non un auspicio ma speranza, che non delude perché diventa storia. Non una vaga promessa, un’ipotesi attraente, ma la certezza, l’àncora che permette di resistere alle burrasche, terribili, della vita. Maria ha fiducia nel figlio e ci insegna ad ascoltare e a mettere in pratica la Sua parola. Tutta, e tutto quello che ci dice. “Qualsiasi cosa vi dica fatelo”, non restiamo senza metterla in pratica.

La Parola chiede sempre la concretezza della vita. Ecco l’atteggiamento vero dell’ascolto. Non sento solo quello che penso mi convenga, non sento solo una volta, ma sempre e tutto, e senza aggiunte avrebbe detto San Francesco. L’obbedienza è fare propria la Parola di amore con il nostro amore, affidandoci anche quando non capiamo tutto, ma sapendo che ci farà trovare quello che fa bene a me perché è una parola di amore. Chi l’ascolta e la mette in pratica sarà beato, cioè troverà quello che desidera, il compimento delle proprie attese, della propria speranza. Maria è donna della speranza: crede che tutto possa cambiare, che si può sempre far qualcosa, che l’amore è più forte dell’evidenza: “non hanno più vino”! La speranza si misura con la mancanza, la affronta, anzi, è la prima ad accorgersene e, forse proprio perché si rivolge a Gesù, a parlarne, a non accettare che tutto finisca. Maria vuole che non finisca, sa che non finisce, spera che non finisca e la sua speranza si incontra con l’àncora che è Cristo. I servi all’inizio non capirono nulla. Probabilmente avranno pensato che era inutile andare a prendere l’acqua, forse qualcuno di loro si sarà lamentato, noi avremmo aperto un’inchiesta o avremmo immediatamente pensato male. “Fate quello che vi dirà”. Il vino davvero buono è quello che non finisce, che trovo quando tutto è finito, quando sembra non ci sia nulla da fare, gratuito anche per questo, frutto di solo amore. E questo non finisce. Siamo uomini di speranza, quando non c’è speranza tutto sembra finito.

Gli uomini della speranza sono quelli che credono nella pace quando c’é la guerra, e non solo credono ma fanno tutto quello che Lui ci ha detto e non smetterà di ripetere, anche quando sembra qualcosa che non serve a nulla. Abbiamo speranza per i popoli in guerra, non ci daremo riposo, non taceremo perché siamo liberati dal male, da quella pandemia che è la guerra e che genera tutti i mali, che si impadronisce delle persone, dei cuori e delle menti. Il male non è un destino! La preghiera di Maria è audace, supera il realismo e diventa concreta. La speranza ci aiuta a vedere quello che altrimenti noi giudichiamo impossibile. In questo Giubileo cosa dobbiamo fare? Pensarci insieme, pensarci per gli altri, iniziando dall’essere amabili e dal guardare e ascoltare con benevolenza, regalando ogni giorno qualcosa al prossimo. Il mondo ci persuade a salvare noi stessi e a consumare a più non posso per cercare di stare bene. Il vino più buono, quello dell’amore, vino gratuito che non finisce e buono perché di Gesù, sappiamo non finirà mai. Facciamo quello che Lui ci dirà. Tutti possiamo. Non è pesante, anzi ci libera da tante pigrizie, paure, abitudini. Perché Lui ci dice quello che ci fa bene e ci fa fare quello che serve a tutti. Anche quando ci sembra inutile, eccessivo. L’amore non è mai perduto e solo l’amore permette la gioia senza fine.

Casalecchio di Reno, chiesa di San Giovanni Battista
19/01/2025
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