Messa con professione di una Clarissa francescana missionaria

Il Signore vuole proprio che la terra non resti senza frutti. La vita deve produrre vita, non si vive per se stessi. Dio stesso non si basta, non finisce con sé ma dona la sua immagine negli infiniti frammenti del suo amore che rendono ogni persona diversa dall’altra, libera di amare o non amare. Non siamo cloni tra noi e nemmeno con Lui, ma persone.

È piuttosto il dio del consumismo che porta tutti a compiere le stesse cose, che ci rende così uguali gli uni agli altri, consumatori passivi e non creatori. Il peccato è proprio vivere per se stessi, prendere e non donare: deforma quello che siamo. La vita è grande e la grandezza della vita si misura proprio quando si perde per gli altri. Noi siamo fatti per cose grandi, perché Dio ci ha dato la capacità di amare che non dobbiamo mai sciupare. Per fare le cose grandi dobbiamo piegarci a quelle umili e non per principio, riducendo l’amore a idea e finendo per amare questa e non la vita.

Il Signore umilia l’albero alto e innalza l’albero basso, perché ci vuole grandi per davvero, e non è l’orgoglio a farci grandi ma l’amore. Anzi per orgoglio l’uomo perde il senso del limite, costruisce inferni a se stesso e al suo prossimo, si chiude nell’individualismo che lo porta a riempire di amore le cose e a trascurare gli uomini, spesso rendendoli cose, tanto che finiscono per non avere valore. In realtà dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Non è il trionfo della casualità e quindi del fatalismo! Tutt’altro. È la liberazione dal credere di doverci conquistare noi la nostra salvezza, ed affidarci a quel seme che dona vita, si trasforma.

Se avessimo dovuto noi paragonare il regno dei cieli a qualcosa avremmo utilizzato immagini eloquenti, forti, di impatto. La pubblicità avrebbe suggerito qualcosa che si impone da solo, convincente, rassicurante, facile, immediato in tempo di rivoluzione digitale e senza sforzo. Il regno degli uomini, dell’uomo dio, si vede nella manifestazione della forza individuale, nell’esibizione di sé, nella ricchezza che deve garantire sicurezza, nella difesa strenua del benessere anche a scapito del benessere del prossimo e quindi alla fine anche nostro. Gesù, invece, il regno lo paragona proprio al più piccolo dei semi, quello che disprezziamo in maniera pratica perché siamo alla ricerca di qualcosa che ci dia sicurezza fin dall’inizio, che cresca subito.

Viviamo un momento difficile e siamo chiamati ad affrontare il futuro, a guardare e a costruire quello che verrà dopo. Dobbiamo seminare qualcosa che duri nel tempo e che ospiti i tanti uccelli del cielo. Nel seme siamo aiutati a vedere il frutto grande che contiene. Ecco perché abbiamo chiesto a Dio Onnipotente, eterno, giusto e misericordioso di concedere “a questa nostra sorella di fare, per la forza del tuo amore, ciò che conosce essere la tua volontà e di volere sempre ciò che a Te piace”.

È il seme che Santa Chiara e San Francesco hanno preso sul serio, minori, di Madre Serafina che ha unito la preghiera e la vita attiva, la contemplazione e la contemplazione del prossimo, la lectio divina con la lectio pauperum, il chiostro con il mondo, il pane dell’eucarestia e il pane dell’amore da distribuire a chi non ha nulla.

Questo seme cambia il mondo più della diplomazia o permette di scrivere le notizie più belle e ci insegna ad essere noi buone notizie che nessun giornalista sa raccontare e scovare. Quanto abbiamo bisogno di queste due dimensioni unite, quando abbiamo la tentazione di ridurre Dio ad una dimensione fuori dal mondo ma anche di perderci nel mondo dimenticando Dio. Perpetuo! Per sempre. Ci spaventa qualcosa di definitivo? In realtà cerchiamo tutti qualcosa che duri, ma abbiamo paura di non riuscire, tanto che relativizziamo tutto e ci abituiamo a tanti surrogati perché pensiamo “per sempre” come conservazione e non trasformazione.

A volte siamo così superficiali che abbiamo paura di essere statici e scambiamo “per sempre” come il certificato della fine delle emozioni, contrapponendo per sempre ed esperienze e possibilità come i tanti zapping emotivi che ci fanno sentire vivi ma ci fanno vivere sempre in superficie. È proprio la scelta che permette di non perderci. Altrimenti finiamo per essere condotti dalle correnti profonde del mondo o dalla navigazione digitale, prigionieri facili di insidiosi e invisibili influencer. La tua sfida, cara Maria Concetta: una scelta “perpetua” di amore. E l’amore si rinnova, si trasforma, ci mantiene giovani, non invecchia, al contrario delle sensazioni che proprio perché sono superficiali diventano povere di vita. L’amore perpetuo ci dona i sentimenti. Troviamo tutto e non perdiamo niente! Se amo qualcuno non perdo più tempo con altro, ma non rinuncio: scelgo l’amore, per vivere quel comandamento del cristiano che è amatevi l’un l’altro.

Castità, per amare con più libertà e totalità, per avere un cuore puro dalla logica del possesso, quella da cui era libero San Giuseppe, castissimo, che non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. «Solo quando un amore è casto, è veramente amore. L’amore che vuole possedere, alla fine, diventa sempre pericoloso, imprigiona, soffoca, rende infelici. Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui». La felicità non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Scegli la povertà per essere ricca di tutto, per essere gratuita in un mondo che pensa di comprare quello che conta quando lo trova gratuitamente e quando rende ricchi gli altri perché li ama. Chi è povero non è che non ha interesse o non sente suo, ma è, non ha, ama e sa che le cose servono all’uomo e non l’uomo alle cose, usa tutto e non dimentica il fine.

L’obbedienza infine per essere libera dall’idolatria dell’ego, così forte tanto che si dice che il prossimo è morto, dal pensarsi isole che diventano prigioni, perché non si disobbedisce a se stessi. La nostra è obbedienza all’amore e chi obbedisce a Dio e a quelle relazioni con cui lo seguiamo in realtà obbedisce davvero a se stesso, alla sua volontà più profonda. Sii forte e molto coraggiosa, libera e piena di amore. Il cristiano non è un timido! Porta il tuo genio femminile, che non significa affatto subalterno. Anzi. In piena dignità e consapevolezza. La Chiesa ne ha bisogno! Sempre tutto con molta comunione e carità. Non si è santi per se stessi, come i farisei, ma per aiutare gli altri. E non si è santi da soli, ma sempre in compagnia. Dio non sarà mai catturato nel nostro egocentrismo, ma è Lui che ci coinvolge nel suo progetto di amore per tutti. A questo obbediamo e per questo troviamo il nostro essere.

Il Signore sia sempre con te ed Egli faccia che tu sia sempre con Lui. Amen.

Bologna, Cattedrale
13/06/2021
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