Messa Crismale

«Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con le vostre orecchie». Il rito solenne che celebriamo questa sera, uniti al primato di Papa Francesco, che presiede nella carità, alla collegialità e alla sinodalità con tutto il popolo di Dio, ci conferma la comunione piena con il mistero di grazia che è all’origine della nostra vocazione. Siamo familiari sempre solo per grazia. Altrimenti diventiamo come gli abitanti di Nazareth o come i farisei, che difendono se stessi e quella che pensano sia la loro identità.

Non sono familiari di Gesù e non conoscono quel Dio che amministrano! Quanto abbiamo da contemplare questa grazia, nell’incertezza di questo tempo, nel peccato della nostra vita, nelle tempeste che scuotono le nostre persone e comunità che si misurano con la forza delle onde, davanti alle quali siamo impietosamente deboli! Non abbiamo ancora fede? Quanta sofferenza intorno a noi! A volte è evidente come il dolore fisico, altre rimane nascosta nelle pieghe dell’anima, sempre insopportabile, difficile da comprendere e da esprimere.

Il consacrato unge noi e affida la sua forza, il suo potere che innalza gli umili e abbassa i superbi. A noi è affidato il lieto annuncio ai miseri. A noi sono consegnate le fasce per curare le piaghe dei cuori spezzati, come la forza di proclamare la libertà agli schiavi da tante dipendenze e abitudini che imprigionano la vita nelle sbarre della paura e della prestazione. Gli olii porteranno a tutte le nostre comunità consolazione, protezione, guarigione, consacrazione.

Il consacrato ci consacra e oggi celebriamo tutti questa grazia, nei diversi e complementari gradi e nell’unico sacerdozio battesimale, come popolo e come famiglia, dove tutto ciò che è mio è tuo, ciò che è suo è nostro, ringraziando tutti – spero anche il fratello maggiore – il Padre di essere nella sua casa a fare festa. Essere sua famiglia – nei nostri limiti ma anche nella nostra umanità, così com’è – rafforza e difende le nostre scelte individuali, sempre libere e personali, ma che non possono essere individualistiche. Rinnoviamo tutti in questa Pasqua la nostra vocazione a seguirlo, per essere noi stessi.

Preghiamo sempre gli uni per gli altri, per essere tutti migliori, per combattere la tiepidezza. Lo facciamo questa sera in comunione con tutta la Chiesa e portando nel cuore tutti i nostri fratelli lontani ma anche i tanti compagni di strada delle nostre città e paesi, ai quali siamo mandati. Restiamo con Lui solo se lo seguiamo nella scelta di andare incontro al prossimo, di vivere per gli altri, donando la nostra vita per non perderla. La bellezza tutta umana che contempliamo oggi ci libera dalla tentazione di una perfezione che non esiste, di famiglia di puri che non ci sono, di una verità abbacinante che dobbiamo vedere nell’umanità concreta e contraddittoria, proprio come ci insegna Gesù che perdona un’adultera e indica come esempio una peccatrice. Il suo popolo non è una casta di puri, di iniziati controllati e selezionati prima. E la folla è parte del nostro popolo.

Ad essa siamo mandati. Essa è stanca e sfinita e noi siamo lavoratori, non teorici che non sbagliano mai perché non si misurano con la realtà, innamorati delle loro idee, che non hanno il problema di costruire, di unire, di tenere assieme le diversità, cosa che richiede sempre tanta fraternità e paternità. In un momento drammatico, di guerra, di disuguaglianze, di tanta incertezza e amarezza, capiamo perché siamo qui.

Come Chiesa italiana dovremo discernere le forme del nostro camminare insieme non per aggiornare il club ma per correre la corsa del Vangelo e per servire il prossimo. Sentiamo la gioia e lo stupore della grandezza di essere cristiani, di appartenere ad un popolo senza razza e confini, in una stagione che si nutre di frontiere e nazionalismi. Il nostro è un popolo che unisce e non divide, sempre aperto al prossimo, senza orgoglio e supponenza, perché tutti abbiamo ricevuto tutto, dono affidato per donarlo. Sentiamo la lieta responsabilità di essere preti, diaconi, ma anche consacrati, laici nei vari ministeri, istituiti e non, legati tutti nella comunione di questo «laós», popolo dei consacrati. Il corpo del Signore è per tutti comunione e i diversi gradi hanno valore solo se in comunione.

Dovremo trovare le forme di questa ma lo faremo se ci convertiamo tutti al Signore e quindi alla comunione con i suoi fratelli, compresi sempre quelli più piccoli. La comunione costruisce, non si compiace delle parole, di distribuire ruoli e considerazioni, galatei di regole. Viviamo un amore che ci chiede tutto, che ci fa amare questa casa più di qualsiasi cosa per amare le nostre case e per rendere questo mondo una casa. Non una famiglia di puri, ma di amati.

Non di perfetti, ma di perdonati. E la nostra responsabilità comune non è mai fare tutti le stesse cose, perché libera dalla logica del potere e amanti di quella in cui mio e tuo coincidono. Non trattiamo nostra madre con sufficienza! Non siamo estranei: è il nostro corpo. Ci amiamo, non compiamo una prestazione professionale o un dovere. Leghiamo la nostra vita, tutto noi stessi a questa famiglia. Il Signore ci custodisca nel suo amore e conduca tutti noi, pastori e gregge, alla vita eterna che inizia oggi. Con il crisma che ci consacra, l’olio che guarisce, l’olio che ci accoglie e protegge, siamo per tanti conferma e sacramento di amore.

Il Signore ci renda una cosa sola nella comunione tutta umana e tutta divina dell’amore.

Scriveva San Gregorio Magno: “Le ali della virtù sono distese quando il bene che uno ha lo comunica all’altro. Così chi ha i beni soccorra la povertà del prossimo bisognoso; chi è pieno della grazia della dottrina, illumini le tenebre del prossimo che non la conosce; chi è investito di potere temporale sottragga alla violenza gli oppressi; chi è ripieno dello spirito di profezia allontani dalla vita del prossimo il male che lo minaccia; chi ha ricevuto la grazia delle guarigioni si dedichi alla salute degli infermi; chi è libero da occupazioni terrene preghi per il prossimo. Tendiamo vicendevolmente le nostre ali per toccarci nel bene che abbiamo ricevuto, con l’affetto e l’aiuto reciproco. L’ala è la grazia ricevuta. Le nostre ali non sono più distese se si ripiegano soltanto verso la nostra utilità ma sono distese quando indirizziamo quello che abbiamo verso l’utilità del prossimo”.

E questa comunione che vogliamo servire, che dà senso al nostro ministero, ci chiede oggi di essere una cosa sola che fa sentire amati e protetti. Così sia.

Bologna, cattedrale
05/04/2023
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