Messa di suffragio per le vittime della strage del 2 agosto

Ci presentiamo dinanzi a Dio con nel cuore una folla di nomi, parole, sentimenti, immagini, emozioni, volti.  È quella folla da cui spesso gli uomini fuggono, cercando di anestetizzare il loro cuore o di chiudersi in un destino individuale, contrapponendo la felicità personale a quella del prossimo. Tante felicità individuali non producono certo una felicità collettiva e da soli non si è felici! Viviamo oggi quell’incontro di cui abbiamo ascoltato nel Vangelo. Quando gli apriamo il cuore da affamati di senso, di risposte, di speranza come siamo e quando “sentiamo” la sua presenza anche noi “siamo” saziati.

La memoria ci fa risentire l’odore acre dell’esplosivo, del sangue, le urla, il silenzio, il pianto, lo sgomento, la rabbia, la solitudine che spegne la vita dentro e fa sentire sopravvissuti. Avviene sempre così quando la tempesta del male investe la fragile barca della vita. Per tutti. Le lacrime sono tutte uguali, sempre. E le conseguenze della tempesta sono cicatrici del cuore che non si chiudono e sempre chiedono di essere riparate. Portiamo a Gesù la folla dei tanti perché, che non trovano risposta, la nostra fame di consolazione vera, di pane che non riempia solo lo stomaco ma che sazi l’anima.

Ci è necessario questo pane di amore, pane che si riceve perché è solo dono, che non si possiede e non ci possiede perché non si compra e non si vende. Ci è necessario questo pane che non finisce, vero anche se invisibile. Il Vangelo è amore che coinvolge e chiede amore, solo gratuito amore. Gesù ha compassione: patisce con noi, si fa carico di quello che abbiamo nel cuore davvero troppo pesante per camminare, ché è più intimo a noi di noi stessi.

Non distribuisce qualche verità che poi noi da soli dobbiamo vivere e capire. Lui è il pane, il nutrimento essenziale, uguale per tutti, abbondante perché misurato sulle necessità, donato fino a che ognuno trovi la sua sazietà. La compassione è la risposta di Dio a quella sanguinante domanda che è la sofferenza. Oggi capiamo qualcosa che spesso, purtroppo, nella vita ordinaria dimentichiamo, esercitandoci in distinguo, confronti, categorie, per cui pensiamo sempre che quello che accade riguardi altri, può interessarci, certo, ma riguarda altri, non noi. Pensiamo di vivere sani in un mondo malato.

Quanto dobbiamo ancora capire che ci si salva solo assieme e che su questa terra siamo “Fratelli tutti”, con la stessa fame. Dio il pianto e il riso ce lo ha regalato ma, come cantava quel poeta, “noi qui sulla terra non lo abbiamo diviso”. Gesù insegna a condividere perché a nessuno manchi il pane. Lui condivide se stesso, il suo corpo, perché vuole nutrirci del pane degli angeli. Le vittime sono tutte nostri parenti, sono i nostri cari e noi siamo i loro familiari.

È una strage di tutta la città, una folla dove ognuno ha un nome, è una persona. Sono stati posti per strada, come pietre di inciampo per fare cadere l’indifferenza e come sampietrini per indicare la strada della memoria e ricordarci la storia delle nostre strade. L’interrogativo che incupisce alcuni dei sopravvissuti “perché io no?”, che quasi fa sentire in colpa di essere in vita e la domanda lancinante di chi è stato strappato alla vita e chiede “perché io?”, sono in realtà le domande di tutti noi.

Lì sotto ci poteva essere ognuno di noi. La pandemia della violenza, che nessuna ideologia può mai giustificare, chiede a tutti di sentire propria ogni pandemia e di combatterla iniziando dal nostro cuore, con la nostra vita. Le pandemie non guardano in faccia nessuno e colpiscono tutti. Per questo, come è avvenuto dalle 10.25 del 2 agosto 1980 fino ad oggi, l’unica risposta è il contrario della strage: la compassione, combattere assieme il male, facendo nostro il dolore del prossimo.

E lottare contro il male non è solo consolare le ferite, nemmeno cercare gli esecutori ma sempre combattere le cause, in questo caso identificare i mandanti, chi ha concepito questo orrore di morte. Gesù non accetta la logica dei discepoli per cui il luogo è deserto e alla fine ognuno si deve arrangiare come può, da solo. Come la vedova del Vangelo non ci stanchiamo di chiedere giustizia, con insistenza perché la vedova non la trova solo per sé ma aiuta anche tutte le vedove a cercarla, a non arrendersi. Non c’è perdono senza giustizia e il perdono aiuta a cercare la giustizia con ancora più coraggio e convinzione.

Oggi è tutta la nostra città che si sente ancora vedova perché ancora privata della giustizia, umiliazione che si aggiunge alla morte e la rende amara e ancora più insopportabile. La memoria delle vittime ci fa provare fastidio per la vacuità di tanti ragionamenti, suscita una certa intolleranza per le parole dette per non dire nulla, per gli impegni di chi gioca con la vita e non prende sul serio nessun impegno, di chi pronuncia parole retoriche che il salmo definisce “untuose”, per gli interessi che coprono inerzie e complicità, per chi causa ritardi e avvelena con la disillusione. E ringrazio quanti con tenacia, nella società civile e nelle istituzioni, non si sono arresi e cercano giustizia.

Gesù ha compassione e si fa nutrimento del nostro cammino e vuole, come chi ama, che mangiamo il suo pane di amore che sazia la vita, pane del cielo che dona la forza vera agli uomini ma che chiede loro anche di condividere il pane della terra perché se è vero che non di solo pane vive l’uomo, l’uomo ha bisogno e diritto al pane per vivere. La compassione è il contrario del narcisismo che piega tutto all’io, rende il prossimo estensione dell’io, si esaurisce in una emozione soggettiva tanto da fare anche del dolore altrui un selfie!

La compassione ci fa piangere, anche disperare, perché il dolore lo sentiamo come il nostro, è il nostro ma anche unisce i destini, non li distingue, e quello che vive l’altro lo vivo io. E solo questa è la via della gioia. Per questo la compassione non è facile filantropia, che scompare con l’apparire di qualche problema, che lascia le differenze, come tra sano e malato, tra forte e debole, tra salvato e sommerso, perché io sono il mio prossimo. La nostra generazione scappa dal dolore, pensa sia debolezza da nascondere, offesa alla pornografia della vita del benessere.

Gesù non accetta mai la sofferenza, piange nel vedere chi è colpito, la previene, ma vuole una gioia vera, tanto da dire beati coloro che piangono, perché saranno consolati. Per Gesù “semplicemente ci sono due tipi di persone: quelle che si fanno carico del dolore e quelle che passano a distanza; quelle che si chinano e quelle che distolgono lo sguardo e affrettano il passo”. Ecco, così troveremo la risposta alla domanda “dov’è Dio?”: quando lo ascoltiamo e abbiamo compassione lo troveremo lì dove l’uomo soffre.

Nella strage della stazione la vera domanda è dov’era finito l’uomo! Con ostinazione chiedo a chi sa qualcosa che può aiutare la verità: riscatti la colpa sua o di un altro, dimostrando di essere una persona. Permetta il suo perdono aiutando le indagini e trovando il modo per far giungere frammenti di verità. Il Signore, che ha in braccio ognuna delle vittime, aspetta per liberare dall’inquietudine amara che attanaglia il cuore di chi è colpevole e che solo il perdono può vincere. Cosa ha infatti l’uomo se ha in mano tutto ma non ha il perdono?

Gesù è la prima vittima perché nessuna vittima del male sia perduta o dimenticata, perché la vita non finisca, per combattere il male in questa terra e per aprire agli uomini della terra la via del cielo. Grazie Gesù che hai compassione. Sentiamo la forza del tuo amore per non arrenderci alle trame di morte, per avere compassione delle vittime di ogni pandemia di morte, per diventare operatori di pace e di giustizia, fratelli tuoi e per questo fratelli tutti.

Bologna, chiesa di San Benedetto
02/08/2021
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