Messa in occasione della Giornata per la vita

Una giornata per la vita? Ne abbiamo un grande bisogno per vivere tutti i giorni una vita bella, per non sciupare il dono benedetto della vita, per difenderla, la nostra e quella degli altri, tutti. Lo capiamo ancora meglio qui, nella casa di Colei che ha dato la vita all’autore della vita. Il cordone ombelicale che lega spiritualmente – teniamolo sempre unito – Maria con la città degli uomini misteriosamente ne raccoglie tutte le sofferenze e domande e la raggiunge con la sua protezione.

La vita ha sempre lo stesso valore per ognuno, per tutti, sempre, e sempre e per tutti va difesa e amata. Non smettiamo mai di andare a scuola dell’arte di vivere. Gesù di se stesso dice: “Io sono la Vita”. Tutti la riceviamo e il mistero della vita ha per noi – che grande dono la fede e la fede cristiana! – un nome e un volto, quello più umano e più divino, Gesù. Gesù dona anche il suo volto a chi non lo ha, meglio che non viene riconosciuto, anzi è ignorato, considerato non interessante, pericoloso, nemico.

Gesù riflette nel suo volto il nostro, facendoci capire chi siamo, illuminando con il suo amore la nostra vita, tutta, anche le parti più buie, difficili, esigenti che tutti abbiamo. La vita, insomma, non è un caso, né per noi né per il prossimo, e la vita chiede ciò che fa vivere: amore. È solo l’amore che ci insegna a riconoscerla, altrimenti è animazione a volte priva di significato, perché solo l’amore la rende preziosa, straordinariamente bella, sempre.

Se manca l’amore la vita può essere rivestita di lusso, di forza, di esibizione, di prestazione, di soldi, di cose, eppure non vale di più, anzi ci sembra insignificante. E al contrario, posso avere poco, qualche volta soltanto gli occhi, posso essere segnato da tanti problemi eppure avere tanta vita e forza.

Ho negli occhi gli occhi di Mustafà, quel bambino siriano che è la gioia in persona, nato senza arti perché la mamma mentre lo aspettava aveva inalato il sarin, veleno sganciato dal dittatore siriano sulla popolazione civile, preso in braccio dal papà che invece ha perso una gamba per colpa di una mina. La guerra è questo e la vita – quella vera – è questa!

Nella debolezza capiamo la nostra vera forza; vulnerabili la vera difesa; nella sofferenza impariamo a contare i giorni! Gesù, amore che insegna ad amare, ci libera da un immaginario della vita che la deforma tanto da farci credere che c’è vita quando non ci sono problemi, quando è priva di imperfezioni e limiti, quando è indipendente e non si deve chiedere aiuto, possiede e basta a se stessa.

La vita non basta mai a se stessa! È se stessa perché è per gli altri, perché la vita è amore. Gesù è maestro perché ama: gli uomini danno lezioni, giudizi e consigli, ma lasciano soli, tanto che qualcuno arriva a pensare che legarsi sia limitante. Il comandamento di Gesù è, al contrario, di amarci gli uni gli altri e di amare Dio, il prossimo e noi stessi con tutta l’anima, la mente, la forza, cioè di legarci, come sa fare l’amore, senza possedere e essere posseduti.

Ecco, questa è la vita che dona senso a tutta la vita, anche quella che non vediamo, al suo inizio e alla sua fine, così come durante, comprese quelle parti nascoste pure a noi stessi, le numerose imperfezioni e contraddizioni, financo il nostro peccato, anche quello che non conosco. Gesù ci spiega la difficile arte di vivere, per alcuni davvero difficile, segnata da tanti problemi. I poveri diventano, per noi, maestri di vita. La gioia non dipende affatto dal benessere, il grande inganno con cui il consumismo continua incredibilmente a renderci dipendenti (sarebbe meglio dire schiavi!), comprando l’anima, riducendoci a cupidi acquirenti di oggetti e di emozioni che poi non solo non ci fanno trovare la vita, ma la perdono.

Attenzione: Gesù non è affatto contro lo stare bene e non ama la sofferenza. Gesù, come per Pietro, vuole che la nostra vita trovi una pesca abbondante e non accetta la tristezza di non raccogliere nulla. Per questo ci insegna a trovare la vita dove c’è, vita che dona senso allo stare bene, alle ricchezze e anche alle avversità.

Noi, che “abbiamo tanto tempo e anche il lusso di sprecarlo” e che pensiamo di potere continuare ad avere sempre opportunità per capire quello “che non hai capito già”, ci siamo scontrati tutti – dolorosamente – con la pandemia, con il limite della vita che ostacola (come le mascherine, i distanziamenti), analogia della nostra fragilità e del limite ultimo, la morte, che rimuoviamo ma che compare continuamente. Perché la vita lotta contro il suo nemico: la morte. Nella pandemia abbiamo capito (speriamo di non dimenticarlo!) che la vita di ognuno è legata a quella del prossimo, cioè di tutti gli altri. Non abbiamo bisogno, per misurare ed affrontare il mistero della vita, di interpreti, analisti, rassicuratori e anche di Dio ridotto a tranquillante. Non risolviamo il problema collezionando immagini, esperienze, ma capendo per chi vivere.

E chi vive per Gesù, vive per il prossimo e per se stesso, perché solo l’amore ci la spiega vitae ce la sa raccontare. Per questo non accettiamo i limiti e le misure ingiuste di un mondo pigro e pauroso, perché senz’amore siamo davvero fragili. Noi non siamo preservati dalla fatica di vivere ma aiutati dal suo amore, dalla sua presenza.

Se cerchiamo un Dio che ci renda invulnerabili e viva lui al posto nostro saremo delusi. Lui chiede l’amore, che significa tempo, pazienza, sensibilità, tenerezza, temperanza, lentezza, sacrificio e ci libera dalla furbizia, dalla rapidità, dall’istintività, dal pensare a sé, dal gretto prendere per sé, perché vivendo così facciamo del male e ci facciamo del male.

Ecco, il tema della Giornata per la vita di quest’anno è preso da quanto riporta il Libro della Genesi verso l’uomo: cura e custodisci la vita. Tutti abbiamo bisogno di essere custoditi dal male, dall’incertezza, dalla solitudine, dalla disperazione, e tutti possiamo curare. Quanta solitudine, quante ferite nella psiche, che diventano difficoltà di relazione, incertezze, durezze. Tutti possiamo curare con l’intelligenza del cuore. Non vuol dire che tutti saranno guariti, ma tutti possono essere curati, cioè custoditi dall’insignificanza, dall’abbandono, dal male. Se non si custodisce si perde. Se non curiamo, il mondo soffre.

Ecco allora l’invito che il Vangelo di oggi, di fronte al mare confuso e troppo grande, rivolge a noi segnati come Pietro dalla fatica e dal non avere preso nulla: “Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca”. Prendiamo il largo, cioè gettiamo con speranza le reti del nostro cuore per tutti. Pietro accetta di farlo solo “sulla sua parola”, oltre la sua esperienza e il limite evidente dei suoi calcoli. Gettare le reti vuol dire affrontare di nuovo il profondo della vita, l’imprevedibile incontro con gli altri, con la confusione del mondo; è il rischio dell’amore, che va oltre noi stessi.

Significa amare la vita di tutti, anche quando non conviene, specialmente di chi è più fragile. Gesù chiede di usare le nostre capacità per Lui e per il prossimo, perché solo così non le perdiamo, acquistano senso ed utilità. Di fronte ad un amore così grande Pietro riconosce il suo peccato, quasi a mettere in guardia Gesù da aiutare uno come lui. Gesù non chiama i perfetti, quelli che bastano a se stessi e credono di giudicare tutto. Il vero perdono è proprio la fiducia che il Signore dona a Pietro e ad ognuno di noi: proprio tu peccatore potrai diventare pescatore di uomini, curare le tante ferite del prossimo e rendere questo mondo il giardino pieno di vita per cui Dio l’ha creato.

Bologna, Santuario di San Luca
05/02/2022
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