Messa nella Giornata della Vita Consacrata

“Il vecchio portava il bambino e il bambino sosteneva il vecchio. Maria sempre vergine adora il suo Dio, il figlio da lei generato”. Ecco la bellezza tutta umana e tutta divina della festa di oggi, cantata con l’Antifona al Magnificat dei primi vespri. Maria e Giuseppe presentano Gesù al tempio, come tutti i buoni ebrei. È sempre l’umiltà che fa incontrare il Signore e lo rende vicino ad altri. Loro portano umilmente la promessa annunziata dall’angelo, colui che “salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21) e che “regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” (Lc 1,33). Sono umili. Non si appropriano della promessa. Anche Simeone e Anna sono umili. Non smettono di cercare, non si compiacciono delle grandi dichiarazioni come i vanitosi. Non restano a casa come chi si sente grande e in diritto. Aspettano. Questo bambino è il sostegno del vecchio se il vecchio lo prende tra le sue braccia, lo riconosce, non resta distante. Siamo persone dell’attesa, paziente, vigilante, così diversa dall’irrequieta agitazione degli affanni, delle nostre ansie di programmazione e di prestazione, dalla rapacità che vuole possedere a qualsiasi prezzo.

Aspetta chi non si rassegna, chi non è sazio, chi non è preso da sé, chi attende la consolazione perché vede il dolore di tanti, non si accontenta di analizzare o di preoccuparsi del personale benessere, non si abitua alla sofferenza. Aspettare è sperare. I due vegliardi pur avanti negli anni, segnati dalla debolezza fisica e come tutti tentati dal veleno della disillusione, sono invece presi da un entusiasmo giovanile, che si esprime nella immediata gioia, nel non perdere tempo. Entusiasmo e sapienza, tanto che Simeone parla della gioia ma anche della spada che trafiggerà la sua anima. Non una gioia che evita le avversità, che non le sa riconoscere, ma consapevole e più forte di queste. Nella pandemia Gesù è il suo contrario: l’amore universale.

Gesù è luce per tutti e ci spinge a parlare a tutti, non solo a quelli più vicini, a quanti giudichiamo meritevoli, sezionati con rigorosi esami di verità. Il Vangelo parla a tutti e vuole raggiungere tutti. Simeone e Anna hanno l’ambizione di cambiare il mondo, di guarirlo, che tutti vedano la luce di cui hanno bisogno. Quanta sofferenza e quanta povertà creata e accentuata dalla pandemia! Quanta disperazione che diventa confusione, incertezza, paura! Simeone e Anna, vecchi e deboli come sono, diventano luminosi, si fanno prendere da un sogno universale, sono insomma i primi Fratelli Tutti che cantano la presenza di Dio tra gli uomini. Anche noi siamo vecchi, ma pieni di Spirito troviamo la risposta necessaria e non smettiamo di sognare e trasmettere speranza. I vecchi possono cambiare! Come Nicodemo. Nulla è impossibile a chi crede! Non restiamo a guardare il passato, a rovistarlo alla ricerca di sicurezze, perché lo capiamo cercando il futuro! Non lasciamoci condizionare dalla logica del mondo.

Il nostro è un mondo pieno della tanta idolatria dell’io e, anche per questo, di tanta sofferenza. Il mondo spesso mette paura. Dobbiamo guardarlo con l’entusiasmo dei due vegliardi di Gerusalemme. Il mondo va amato, non giudicato né rincorso perché la verità è Gesù. Anche perché fare come tutti non significa certo capire tutti! L’egolatria così diffusa è quello che svuota la vita delle persone, immiserisce, rende schiavi del proprio istinto. Dobbiamo metterla in discussione, contrastarla con un io più bello di quello isolato! Il contrario dell’egolatria è l’amore per sé e per gli altri. Gesù ci manda, vecchi come siamo, non per giudicare ma per salvare. Mettendoci in movimento impariamo a camminare e a farlo assieme, all’interno delle nostre comunità e con la Chiesa tutta. La nostra è, in un mondo tentato da tanti nazionalismi e localismi, una famiglia senza confini, anche fisicamente. È la bellezza delle nostre famiglie religiose e anche così umane. Anna parla del bambino a quanti aspettavano. Paolo VI disse: “Cristo è la luce per cui la stanza del mondo prende proporzioni, forma; bellezza ed ombra; è la parola che tutto definisce, tutto spiega, tutto classifica, tutto redime”.

Questo è tempo dello spirito, tempo di comunione che avrà certamente degli sviluppi istituzionali, come i ministeri, ma sempre nella prospettiva pastorale e missionaria, la vera visione che permette di trovare le risposte. Le future risposte istituzionali, senza la vita vera, sarebbero formule di laboratorio, che si esauriscono facilmente in contrapposizioni interne. Ci mettiamo in cammino perché sentiamo l’urgenza della missione, la nostalgia della madre, la compassione per tanta sofferenza, l’urgenza della carità. E scegliamo di farlo insieme, come padri, madri, fratelli non come esecutori senza responsabilità o membri di un esercito che pensa indispensabile combattere una guerra, invece di imbracciare le armi della misericordia e di essere un seme di amore da gettare nel mondo. È un kairós nel kairós della pandemia. A sessant’anni dal Concilio viviamo proprio quella sobria ebrezza dello Spirito che ci libera da un certo cupio dissolvi, da quell’odore di morte che entra nel nostro cuore, che pensa così di risolvere i problemi e le paure. Ci mettiamo in ascolto e raccogliamo le domande, liberi da politiche ecclesiastiche obsolete e da estetica ecclesiale nominalista.

Camminare insieme non è una tra le tante caratteristiche della Chiesa, ma la sua caratteristica più importante, poiché tutti siamo popolo di Dio! Per esserlo dobbiamo vivere le nostre comunità come famiglia, con relazioni da fratelli e sorelle e la nostra Chiesa come madre. Non vogliamo essere una Chiesa mediocre e modesta. La cristianità seduce con i grandi numeri ma il suo trionfalismo disperde tanta genuina passione per la Chiesa. La fine di questa ci dona di essere liberamente evangelici e di vivere la radicalità dell’amore. Desideriamo i carismi più grandi, come invita l’Apostolo, perché l’amore è grande e rende grandi. Questo non ci porta fuori di noi, a trascurare il nostro io, anzi. Le nostre promesse, che oggi rinnoviamo insieme, ed è anche sostegno reciproco, sono paradossali per il mondo, ma aiutano, sempre con il nostro peccato e la nostra miseria, a vivere un’umanità bella, aperta a tutti, libera, obbediente all’amore e spesa per l’amore. Desideriamo essere una casa accogliente, un rifugio fraterno per ogni uomo e donna che vuole nascere alla pienezza della sua umanità.

“Il vecchio portava il bambino, e il bambino sosteneva il vecchio”. Signore ti ringraziamo perché continui a farti bambino per prenderti con noi, per crescere con Te, per scoprire nella fragilità dell’amore la vera forza. Gesù sei venuto per tutti e tutti vuoi raggiungere. Sei la luce per ciascuno di noi, per ogni paese, nazione, e ci rendi fratelli tutti, il ponte che unisce la terra al cielo. Grazie Signore perché anche i nostri occhi vedono la luce del tuo amore e insegna a noi a rifletterlo nel buio della vita.

Cattedrale di San Pietro
02/02/2022
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