Messa per il gruppo “Genitori in cammino”

Tutti noi abbiamo sperimentato in piccolo una grande pandemia. Spesso non troviamo le parole per esprimerlo: a volte ci sembrano troppo poche per spiegare l’amato, per raccontare di lui o di lei, quel mondo di memoria che ci portiamo nel cuore. Siamo raggiunti poi dalle onde dei dubbi, della sofferenza, di tante immagini inghiottite da un mare in tempesta che sembra volere cancellare tutto. Spesso le parole ci danno fastidio, anche perché spesso ci appaiono o sono insulse, televisive, tutte fastidiosamente uguali, superficiali, sembrano banalizzare tutto, dette solo per farci stare meglio non per trovare una luce che illumini il buio. Ecco: la nostra piccola grande pandemia, specifica, ha il volto e il nome di quella persona, quel ragazzo, quella donna o quell’uomo che il male mi ha portato via. Qualche volta non vogliamo proprio essere consolati, come se questo significasse dimenticarsi di lui, amarlo di meno. In realtà sappiamo che essi vogliono che la nostra vita sia rivolta avanti e non al passato, perché ci aspettano avanti e sono una luce verso cui camminare, perché illuminati dalla luce di Dio. Spaventa tutti guardare dentro di noi questo abisso troppo grande che si è aperto nel nostro cuore, abisso che si spalanca ogni volta che si riaffaccia qualcosa della persona amata, in maniera imprevedibile, atroce, che toglie il respiro e fa solo piangere, che non sappiamo come affrontare e che non accettiamo. A volte conserviamo qualcosa del nostro amato, come pezzi di presenza che allo stesso tempo rappresentano in maniera struggente la sua assenza.

Potremo mai abituarci? Non vogliamo abituarci, non possiamo abituarci. Possiamo, però, come quando guardiamo un quadro, vederne non più solo un particolare, ma tutta la grandezza, collocare l’amato in un contesto più grande. Come a volte i tratti fisici dei nostri cari si stemperano in una luce più diffusa, ma riducendosi la vividezza umana vediamo con gli occhi della fede la grande presenza spirituale. Ecco, dalla nostra pandemia come da questa pandemia dobbiamo uscire ancora più determinati a combattere il male, ad aiutare chi si trova in situazioni simili a trovare consolazione vera e anche a fare di tutto perché la nostra sofferenza sia risparmiata ad altri. È proprio come il dolore di Davide che perde Assalonne, figlio, che pure si era posto contro di lui ma che era pur sempre suo figlio, perché la morte è sempre una sconfitta, non è mai una vittoria.

Oggi siamo tutti come Giàiro, questo papà che aveva supplicato Gesù per la sua figlioletta che stava morendo. Gesù non prende tempo: si mette in cammino subito. Cambia il suo programma, perché il programma di Gesù siamo noi, sono le nostre invocazioni, come quelle disperate dei giorni di sofferenza, di incertezza, di lotta tra la vita e la morte oppure quando chiedevamo al Signore che non fosse vera quella notizia che era arrivata. Ad un certo punto sembra che tutto sia inutile. Perché disturbare ancora Gesù? Qualcuno recriminerebbe, come Marta e Maria, vi ricordate, le sorelle di Lazzaro: «Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto!». Quante volte lo abbiamo pensato, accusando il Signore che può tutto di non avere fatto quello che avevamo chiesto e per di più con tanta sofferenza?

Ma la vicenda non finisce qui, dicendo che ormai non c’è più niente da fare e che si può soltanto consolare perché la speranza è spenta. Anzi, come spesso avviene, continuare a sperare è oggetto di derisione, compatimento, come qualcosa di inutile. C’è un ultimo capitolo della storia degli uomini, la vera parola finale della nostra e della loro storia. Gesù prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni. Saranno gli stessi che vorrà accanto a sé nella sua personale tempesta, nella pandemia della sua morte. Erano gli stessi che aveva preso con sé nel momento più bello, della sua consolazione più grande, sul monte della Trasfigurazione. Ma quella luce non è spenta nell’orto degli ulivi, come le tenebre non sono l’ultima parola. È una lotta. Prende anche noi con questa santa liturgia, ci porta di nuovo a vedere la forza del suo amore, asciuga le nostre lacrime, ci spiega come la morte è un sonno e dopo questo c’è un risveglio. Oggi ci prende con sé, come quel Giàiro e la mamma, e prende per mano la fanciulla e le dice: «Talità kum», che significa: àlzati. Sono le parole che con tenerezza pronunciava quando il male spegneva la vita dei nostri amati, sollevandoli al cielo. Ecco la nostra fede. Non avete ancora fede? Non temete, abbiate fede! Ecco quello che ci dice oggi Gesù.

E chiede qualcosa a tutti noi: aiutatemi con le vostre mani a sollevare tanti che sono nella difficoltà. Alzate chi alla fine della vita sta sempre a letto e soprattutto isolato dagli altri, doppiamente tenuto a distanza, dal male e dall’indifferenza del prossimo. Alziamo dalla disperazione dando futuro a chi lo cerca ma non trova chi lo aiuta. Per alzare gli altri dobbiamo abbassarci noi. Proprio come fa Gesù. Abbassiamoci nel servizio, nella visita, nella generosità, nel dare quello che possiamo, fosse solo il tempo.

Qualcuno può pensare: ma sono io che ho tanto dolore, come faccio? La vera risposta alle nostre ferite è sempre aiutare a rimarginare quelle degli altri. Così anche la nostra troverà guarigione. C’è un mondo di cuori feriti, in difficoltà, isolati. Troveranno in noi cuori attenti, sensibili, vicini? Troveranno qualcuno che dà fiducia e affronta il male senza rassegnarsi? Ecco cosa ci chiede Gesù: non temere e abbi fede. E la fede sposta le montagne, libera da tante tenebre.

Grazie Signore, che ti fermi con tutti e anche con noi, a cui sembra che la nostra vita si perda giorno dopo giorno, come con quella donna che voleva toccare il tuo mantello. Grazie Signore, perché il tuo amore accende di speranza la nostra poca fede. Ci fai toccare il tuo mantello e ci guarisci con il tuo amore più forte del male. Solleva nella tua casa del cielo i nostri cari e solleva anche noi dal nostro dolore, perché possiamo aiutare quanti sono oggi nella solitudine e nella difficoltà. In pace, pieni della tua luce che i nostri cari vivono pienamente immersi nell’amore che non finisce mai.

Bologna, parrocchia Santa Maria Madre della Chiesa
01/02/2022
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