Messa nella Giornata del Seminario

La nostra vita non è un confuso succedersi di fatti ed emozioni, che si accalcano e dei quali a volte facciamo fatica a trovare il valore, il senso. Il Signore ci conosce da sempre (“Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato”) ed Egli conserva per ognuno di noi il significato e noi non smettiamo di comprenderlo e soprattutto di viverlo. È quella che chiamiamo vocazione: Dio, che non solo ascolta le nostre richieste, le fa sue come un Padre ma anche chiede qualcosa a ciascuno di noi. Quello che chiede è proprio quello che cerchiamo, che realizza la sua volontà, che è la nostra. Lo capiamo bene in questo tempo così difficile, ancora immerso nella brutale tempesta della pandemia, imprevedibile, che continua a ghermire qualcuno, che rivela le nostre fragilità e presunzioni, le nostre miserie ma anche le nostre grandezze. Sentiamo la chiamata a vincere la paura e a fare di questa avversità occasione per cambiare, per essere migliori e per riparare il mondo e curarne le ferite.

Quanta sofferenza nella nostra casa comune! Aveva ragione Papa Francesco che parlava di un grande ospedale da campo. Quando stiamo bene e pensiamo – follemente – di potere continuare a vivere sani in un mondo malato, non ce ne rendiamo conto. Quando cambiamo canale di fronte alle immagini di dolore, quando facciamo un selfie per ritrarre per l’ennesima volta la nostra faccia e non per vedere chi ha bisogno di aiuto, non ci accorgiamo di nulla, addirittura perdiamo il pudore e la pietà di fronte alla sofferenza. Ma quando le onde della tempesta raggiungono la nostra vita, quando i nostri occhi incrociano quelli di un povero, quando pensiamo che quella persona non è un estraneo o un pericolo ma il nostro prossimo, cioè una parte di noi e quindi io stesso, allora cambia tutto.

Dio ci chiede di vincere le paure e di aiutarlo a curare il mondo con la sua forza, che è l’amore. Noi istintivamente rispondiamo: «Io sono debole, cosa posso fare? Ho tanti problemi da risolvere prima, e solo dopo, forse, posso fare qualcosa per gli altri», (come se fossero “altri” e non il mio prossimo!). A volte resta in noi il desiderio di fare qualcosa, ma crediamo sia troppo difficile, ingannati dal male che vuole sempre apparire più forte e ci confonde per spegnere in noi l’amore, l’unica arma che lo combatte. Il male fa credere che non vale la pena e che per stare bene dobbiamo pensare a salvare noi stessi. Dio al profeta Geremia (che aveva paura perché diceva di essere giovane e che ad un certo punto se l’era presa con Dio rinfacciandogli di averlo sedotto mentre lui si sentiva fallito, perché i dubbi a volte ci riprendono e ci confondono) dichiara (ed è un impegno): «Io sono con te». Siamo forti perché Gesù è con noi sulla barca, si fa ospite del nostro cuore, entra nelle nostre case. La nostra forza è il suo amore, del quale ci nutriamo con il suo Corpo e con la sua Parola che, come dice il Concilio, «La Chiesa ha sempre venerato come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (DV 21). E aggiunge: «Come dall’assidua frequenza del mistero eucaristico si accresce la vita della Chiesa, così è lecito sperare nuovo impulso alla vita spirituale dall’accresciuta venerazione per la parola di Dio, che “permane in eterno”».

Fare le cose per il Signore significa farle solo per amore, per tutti e non solo per qualcuno, farle anche per noi stessi ma senza l’orgoglio e il vanto! Sentiamo oggi tanto l’urgenza di combattere il male perché vediamo le conseguenze terribili. Ecco la chiamata del Signore, il nostro oggi, come quello di Nazaret. L’amore è quello che tutti cerchiamo, che il prossimo cerca, di cui tutti abbiamo sempre uno struggente bisogno. L’apostolo Paolo ci aiuta a capire di che amore stiamo parlando, perché così non usiamo la parola carità per coprire cose che non c’entrano nulla. Anche a Nazaret cercavano l’amore, la guarigione, ma pensavano di ottenerlo senza ascoltare e cambiare, per eredità. Credevano che Gesù dovesse servire ai loro interessi, mentre il figlio di Giuseppe allarga il loro cuore e chiede loro di seguire il suo interesse, quello di amare tutti. Gesù non si piega ad un benessere individuale o di gruppo, non diventa uno dei tanti tranquillanti che devono garantire il diritto al “salva te stesso”. Gesù ama ma ci chiede di amare con Lui e come Lui, perché solo così troviamo vera felicità. Per questo Paolo chiede di aspirare alle cose alte, di non accontentarci, di non vivere come viene, da bruti, in modo irrazionale, senza umanità. Parla della carità con cui Gesù ci ha amato e che è “la via più sublime”.

Possiamo compiere cose grandi, anche piene di generosa filantropia, volute spesso solo per vanto e a questo condizionate, perché se non abbiamo l’amore non sono nulla. L’insoddisfazione che spesso ci accompagna nasce proprio dal poco amore, per cui cerchiamo conferme e non le troviamo, siamo portati ad esibirci e a nutrire il penoso narcisismo, con la conseguenza di fare queste cose senza carità, per cui non servono a nulla. È vero il contrario: posso fare poco, ma se lo faccio per amore, solo per amore (e da questo non si trae nessun vanto e nessuna ricompensa) anche il poco che faccio ha un valore enorme. «Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta».

Tutto. Le nostre misure avare, i nostri calcoli, i vittimismi, il senso di incapacità, scompaiono! Non lo sperimentiamo anche noi, oggi, quando amiamo solo per il Signore? Quando amiamo riusciamo a compiere qualcosa di cui non avremmo mai pensato di essere capaci, troviamo energie, capacità, parole, gesti impensabili. Ma bisogna amare ed iniziare ad amare. E la carità non avrà mai fine. La carità è la più grande di tutte ma è anche la più piccola, perché l’amore si misura nei particolari, nel servizio umile, non nel gran gesto che finisce per essere bronzo che rimbomba. L’amore non invidia, perché già tutto è suo e il vero amore non possiede; non si vanta (caso mai si vergogna un po’), perché sa bene che tutto è donato e l’amore è umile, non si gonfia d’orgoglio, non va a nutrire l’io perché il vero amore possiede solo quello che perde; non manca di rispetto, anzi circonda di onore colui che ama; non cerca il proprio interesse, perché l’unico interesse è l’amato; non si adira, perché l’amore è forte e paziente, tempera l’istinto della rabbia; non tiene conto del male ricevuto, perché ne resterebbe prigioniero lui, non gode dell’ingiustizia perché questa è sempre inaccettabile, anche quella che potrebbe convenirci. Si rallegra della verità, che è Gesù, verità della nostra vita. Ecco a cosa siamo chiamati. Non chiediamo a Gesù di essere quello che pensiamo noi, ma ascoltiamolo e conosciamolo per diventare noi come vuole Lui! A Nazaret la vita non cambia, si conserva e finisce.

Ecco la scelta del ministero del presbitero alla quale si formano i nostri seminaristi, alcuni dei quali oggi vivono un momento importante, che li accompagnerà per sempre, perché lettori della Parola e suoi annunziatori lo saranno sempre. Nutritevi per nutrire, meditate la Parola come Maria ai piedi di Gesù, che sceglie la parte migliore quella che nessuno ci può togliere, gettatela con fiducia perché sia seme di amore e, come vi dirò, «germogli e fruttifichi nel cuore degli uomini».

Il ministero del presbitero è una scelta paradossale per un mondo che ritiene perfetto il benessere e per questo sacrifica tanto della propria umanità. È paradossale scegliere di amare come Gesù, ma ci fa trovare il cento volte tanto oggi, nel nostro già, anticipo del non ancora. E ricordiamoci, scusate se lo ripeto, che non amiamo perché siamo perfetti, ma siamo perfetti perché amiamo, come possiamo, con i nostri evidenti limiti, contraddizioni, peccati. Guai alle verità abbacinanti dei farisei, che intimidiscono e ingannano, che fanno pensare di difendere la legge mentre la rendiamo disumana e ipocrita.

Il seminario è casa di comunione, prosecuzione di questa, dove coltivate quel seme che ci porterà a dare frutto e a seminare a nostra volta perché crescano tanti frutti del regno. Preghiamo per loro e per i sacerdoti, perché presiedano nella comunione, cioè servano la carità circolare che tutti coinvolge, per camminare insieme, per essere Chiesa di tutti e non condominio per pochi o piccoli parlamenti. Amiamo e onoriamo questa madre che è maestra perché madre. Il seminario prepara il futuro. Non lo conosciamo e qualche volta ci preoccupa, ma conosciamo Lui, la nostra forza, che resta con noi. Questo tempo è tempo di grazia: prendiamo in mano la nostra vita di credenti e viviamola in pienezza insieme, sacerdoti, consacrati e laici, perché la carità di ciascuno rafforza quella di tutti e perché solo camminando insieme sulle strade dell’umanità possiamo annunciare e vivere il Vangelo dell’amore, parola di vita eterna che realizza oggi il sogno di Dio.

Bologna, Cattedrale
30/01/2022
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