Messa per Tancredi

“Perfino i capelli del vostro capo sono contati”. Questa rassicurazione così paterna e materna ci aiuta a comprendere qual è la volontà del Padre per ogni persona: che niente vada perduto. Tutto ha valore, perché tutto è amato da Dio. Gli uomini perdono tanta vita, spesso senza accorgersene, non sapendo contare i nostri giorni, l’avanzare inesauribile del tempo con il suo contatore che imprevedibile stabilisce poi il suo esaurirsi. Perdiamo tanta vita perché vogliamo tenercela stretta, perché ne investiamo tanta per il nostro benessere, finendo per essere solo più fragili e storditi e per affezionarci alle cose e non alle persone, perché la vita la troviamo donandola. Se non ci lasciamo addomesticare dal Signore e dal prossimo diventiamo solo più selvatici, e il mondo intorno diventa più duro per tutti.

La forza che Gesù ci dona è quella che Lui stesso vive e ci comunica: non perdere nessuno e andare a cercare chi si è perduto. Non giudica, non aspetta che torni: va a cercare. Gesù si è fatto Lui stesso senza fissa dimora solo per prepararci un posto in quella sua casa con tante dimore dove vuole predisporcelo. E continua nell’amara esperienza che non c’è posto per loro nell’albergo!

La vita è relazione, e “io sono” quando incontro e riconosco il “tu sei” come parte di me. I farisei non hanno il problema di amare, di cercare l’amore, ma quello del giudizio. Non si perdono certo per andare a cercare: guardano da lontano, osservano con scrupolo, che poi diventa facilmente ossessione, la legge, dimenticando il cuore, tanto che temono la misericordia, che in realtà è la pienezza delle legge. Anche i farisei conoscono chi si è perduto, ma non hanno il problema di Gesù, di amarlo e di volerlo con sé. Non è più loro fratello e loro non sono più fratelli per lui. Gesù, invece, è il Padre che corre incontro perché non aspettava altro: che il figlio perduto ritorni in vita. E per questo perde la sua vita: perché tutti noi la troviamo.

Gesù sente compassione. Non soltanto per una persona, ma per la folla, cioè per tutti. Gesù non ama una categoria, perché la persona è sempre irripetibile. Ha compassione per tutta la folla che non può misurare, per tutti e per ognuno. Vuole che nessuno resti escluso, dimenticato o senza un incontro personale. Nella folla cercava colei che aveva toccato il suo mantello. Non è un protagonista, narcisista, contento del suo ruolo, che deve controllare le sue capacità, rimarcare, ostentare, mostrare quanto esso è indispensabile, con la vanità di chi prende, invece di dare, esibisce le proprie qualità, non cerca di capire quello che serve alla folla perché l’altro diventa solo funzionale a lui. Dare da mangiare, invece, significa condividere e pensarsi insieme, fratelli tutti. Gesù ci mette tutti a tavola e vuole che ognuno riceva il pane buono del suo amore, a sufficienza, quanto ne serve. È pane del cielo, pane di amore che non finisce. È pane eucaristico, continuazione di quel dono di se stesso dell’ultima cena.

Ecco il contrario della pandemia, l’amore che arriva a ognuno. Anche il male arriva a tutti e tutti coinvolge, tanto che rende tutto anonimo, indistinto, come la folla, per cui la persona è un numero, un letto, un giaciglio sulla strada, una cartella, un pregiudizio, un nemico. La compassione rende la folla una famiglia, riconosce di tutti il nome, cioè il dono che è ogni persona. La pandemia ci ha isolati. È sempre così. La pandemia ultima, quella della morte, con i suoi alleati a iniziare dall’indifferenza che toglie valore alla vita e dalla violenza che provoca la morte.

Nella pandemia ci siamo trovati tutti isolati, distanti dagli altri, impossibilitati a comunicare, precipitati in una condizione che all’inizio sembrava impossibile, che confondeva. Così è sempre la pandemia silenziosa della povertà, che travolge la fragilissima vita delle persone e con le sue onde impietose ci fa ritrovare senza niente, a guardare tutto in modo diverso e sentirsi guardati in modo diverso. E poi chi mi prende sul serio, per chi conto per davvero, chi sa ascoltare il mondo che ho nel cuore, chi capisce quello che sono e lo sa comprendere? Chi mi ama ridotto così? Ecco, la compassione ricorda il nome di ciascuno. Il nome è davvero la persona, contiene tutto il suo mistero, quell’intreccio che, se amato, è sempre straordinario, prezioso, bellissimo perché amato. Solo l’amore è capace di superare ogni distanziamento, di rivelare il vero volto, al di là di quella maschera che purtroppo non ci fa vedere l’altro e nasconde anche il nostro vero volto.

Per tutta la folla, tutta, il luogo è deserto. Lo è stato nei momenti più drammatici della pandemia. Lo è per chi la pandemia della povertà la vive tutti i giorni. Ricordiamocelo per quella folla di persone che vivono senza fissa dimora, cioè in una condizione che sembra definitiva di precarietà, cioè di tanta sofferenza e incertezza. Se qualcuno che ne è travolto si indurisce è ben comprensibile, pensando a noi che siamo duri e aggressivi avendo tante sicurezze. Il deserto è popolato da uomini distanti, quelli sì invisibili perché non accesi dalla luce dell’amore. La burocrazia non diventa un deserto insidioso, dove l’altro non esiste? Ci accontentiamo di dare quello che c’è o quello che serve? Non siamo troppo distanti, ancora, e le nostre misure non sono troppo modeste perché quando si ama poco i limiti diventano sempre troppo grandi, tutto è impossibile e ci difendiamo con “abbiamo fatto tutto il possibile”. Quando si ama si diventa capaci di fare di tutto, si superano i limiti, si fa l’impossibile, e non ci si accontenta di fare quello che si può. Come il samaritano mettiamo qualsiasi cosa perché per il mio prossimo faccio tutto quello che serve. È l’amore.

Ecco, oggi ricordiamo Tancredi e i tanti, tanti, Tancredi con le loro storie, gioie, desiderio, fragilità, stranezza. Sì, anche quella è amata, perché il prossimo si ama per quello che è, non per come lo vogliamo noi. Non è un dovere: è il mio prossimo! Lo amo e per questo supero le difficoltà. Solo chi ama i poveri impara ad amare tutti.

La pandemia ci ha fatto misurare tutti con le distanze, ce le ha rese di nuovo insopportabili e ci ha posto il problema di quella più grande, quella con il cielo. Vincere le distanze che ci separano sulla terra ci aiuta a capire anche come la grazia di Gesù annulla la distanza tra terra e cielo. Conosciamo e ricordiamo il nome del nostro prossimo. Sono fratelli, non oggetto di benevolenza. Ricordare il loro nome ci aiuta a capire il nostro nome, cioè che ci stiamo a fare sulla terra. Non è un problema di risorse: la prima grande risorsa è il poco che abbiamo. È la gratuità che moltiplica. E tutti con poco possiamo fare molto. È il pane dell’amicizia quello più importante, che diventa tante cose e che cerca di risolvere la sofferenza, non soltanto di lenirla, di curarla, ma anche di guarirla. Sempre, però, averne cura.

Tutti furono saziati. Solo l’amore perduto, cioè donato senza interesse alcuno, non finisce. Per l’amore di Gesù, salvatore nostro, perdutamente innamorato di noi, accendiamo una luce per ogni persona della quale ricordiamo il nome. Essi sono nella luce che Gesù ha portato sulla terra e accendono anche i nostri cuori all’amore. E capiamo anche il senso di quella luce che portiamo con la nostra vita, che a volte ci sembra poca, che non dobbiamo mai accettare come modesta, ma che vogliamo sempre umile. L’immagine che sarà consegnata alla fine insieme a quel fiore, descrive la fragilità e la bellezza della vita di ognuno e anche il dono che portiamo nel cuore verso questi che sono davvero i nostri cari e che non vogliamo dimenticare. Perché Gesù ci insegna a non dimenticare nessuno ed è Lui il samaritano.

La locanda dove viene portato perché trovi la vita vogliamo siano i nostri cuori, le nostre comunità, questa madre che è la Chiesa. Oggi per loro è la casa del Padre, di luce e di amore pieno, dove finalmente saremo tutti e per sempre saziati, tutti amati da Dio.

Bologna, basilica dei Santi Bartolomeo e Gaetano
12/02/2022
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