Messa in ricordo di mons. Enrico Manfredini

«In quei giorni sorse Elia profeta, come un fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola» (Sir 4,1). Il cristianesimo non è certo un’indicazione generica, tiepida. Ricordiamo che siamo ammoniti a diventarlo dall’angelo dell’Apocalisse, come quando non si provano più il freddo e il caldo della vita vera e si giudica tutto da lontano, protetti, attenti più all’apparenza che alla sostanza. Dio è fuoco, passione che accende passione, perché Dio è amore, non una spiegazione convincente o un ente rassicurante senza volto, senza un Tu che fa trovare il nostro io. Il cuore arde nel petto quando incontra la sua presenza nelle strade della nostra vita. È una parola forte quella di Elia, di Giovanni Battista, di questo Avvento che tanti ci chiedono di preparare. Il deserto è grande e serve una strada perché il Signore porti vita, salvezza, gioia. Si finisce persi assecondando gli idoli dell’esibizione di sé, della competizione, dell’avere e non dell’essere, dell’individualismo che coltiva l’io, ma dimentica il prossimo e Dio, che quindi lo esalta e lo abbatte. «Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro» (Mt 17,12-13) è l’amara constatazione di Gesù. Questo Avvento ci sveglia dal sonnambulismo, dall’agitarsi vivendo come in un’altra dimensione, chiusi in noi stessi, dentro la realtà, ma in fondo come se questa riguardasse altri o come se noi potessimo attraversala da spettatori, non feriti dalla sofferenza, dalle domande urgenti che questa pone. Sonnambuli come i discepoli che si addormentano per le troppe paure nell’orto della decisione.

Oggi ricordiamo un pastore che con forza, passione, senza riguardo agli equilibrismi ecclesiastici e civili, anche se sempre obbediente e totalmente zelante per la Chiesa, ha indicato l’incontro con Cristo, la sua presenza, come il senso di tutto da riconoscere e cercare. Un “avvenimento” prima e una dottrina poi, diceva. Mi ha colpito che non aveva lo stemma come tutti i Vescovi. Anzi, scriveva che provava soggezione davanti ai quadri dei predecessori.  Voleva vivere come la sua famiglia, con tante radici nella terra, senza titoli, certo, non per posa ma per sobria e diretta povertà. A Bologna disse che come eventuale ricordo avrebbe voluto il simbolo di un ramo verdeggiante, spalmato di miele che attira e conquista uno sciame di api, ricordando quanto accadde al Cardinale Svampa: per condurre non a sé ma alle sorgenti della vita.

Non perdeva tempo in distinzioni accademiche, da laboratorio, perché il laboratorio era la vita e l’insegnamento era predicare il vangelo e l’amore forte, non da paura, per la Chiesa, per il Papa, per la gente. Aveva una visione della Chiesa non chiusa sul territorio, tentazione che poi deforma la Chiesa stessa e la comunità civile, finendo per esaltare solo le proprie esigenze, dimenticando il mondo, aumentando così le paure e il vittimismo, indebolendosi come sempre avviene quando ci si chiude.

Aveva partecipato nel 1963 come parroco uditore, nominato prevosto di San Vittore a Varese dal Cardinal Montini. Certamente a Roma conobbe la larghezza della Chiesa e anche i Vescovi dell’Uganda, il cui calvario sentiva, come deve essere, legame indispensabile per l’essere cristiana, cattolica, universale. La “Chiesa particolare”, insomma, non può essere limitata dai confini amministrativi di una parrocchia o diocesi, ma è sempre aperta al mondo. E fino alla fine visse generosamente questo impegno, che aveva augurato a se stesso e al Sindaco il giorno del suo ingresso: «Signor Sindaco, mi permetta di augurare anche a lei quello che vorrei fosse augurato a me: di poter spendere ogni energia intellettuale e morale, ogni risorsa fisica e pratica, unicamente per promuovere in Bologna l’uomo, tutto l’uomo, e tutti gli uomini, con speciale attenzione agli ultimi».

Per Manfredini il Vangelo non era un discorso, un teorema, un’idea, ma un incontro, una presenza. La differenza non è da poco. Papa Francesco indicherebbe nello gnosticismo la tentazione di un cristianesimo ridotto a regola, a esercizio intellettuale, a entità rassicurante, senza comunicazione di amore, senza coinvolgimento di questo con l’imprevisto e la novità che solo la vita può portare.

Ci aiutano questa Cattedrale, la presenza dei due successori nella Chiesa di Piacenza, alla quale la sua vita episcopale è così legata, dei suoi fedeli di Varese, la teoria della Chiesa di Bologna da cui proveniamo, chi ha seminato prima di noi, e che ci è affidata per affidarla a chi viene. Guai a farlo senza vivere, ma guai anche a disperdere il patrimonio e la ricchezza di tanto amore e santità!

Manfredini aveva un carattere, si direbbe, forte, rapido, e allo stesso tempo attentissimo all’incontro, alla persona. Salutava tutti e si attardava ad uscire perché si fermava con le persone cercando l’incontro “fisico”, perché il vangelo è incontro.

Tutto inizia dal primo incontro, quello che ci prepariamo a celebrare nel mistero dolcissimo, drammatico, vero del Natale. Mistero che illumina anche di tanta luce il nostro, sempre breve, passaggio sulla scena di questo mondo.

Racconta Giussani che Manfredini «una volta sulla scala (del Seminario, ndr), mentre stavamo scendendo in chiesa in silenzio mi disse: “Però, a pensare che Dio è diventato un uomo come noi…”.Sospese la frase, che mi rimase impressa: “Che Dio sia diventato uomo è una cosa dell’altro mondo!”. E io aggiunsi: “È una cosa dell’altro mondo che vive in questo mondo!”».  La sua passione per l’uomo aveva come approdo naturale l’educazione. Invitando gli studenti al pellegrinaggio delle Medie superiori a San Luca, Manfredini annotò: «Penso che un simile gesto, proprio per il significato di fede e di testimonianza che può assumere, possa giustificare anche un’assenza dalla scuola. Alle vostre famiglie, a cui compete non soltanto la cura dei vostri studi, ma di tutta la vostra crescita umana e cristiana, chiedo di assumersi, insieme con me, in forza della nostra comune missione educativa, la responsabilità dell’iniziativa anche nei confronti della comunità scolastica».

Univa un dinamismo straordinario, senza risparmio, ma mai fine a se stesso, perché si nutriva dell’attenzione, della preghiera, del silenzio. Come disse di lui il cardinale Biffi: «Capitava a volte di tornare la sera tardi, anche a mezzanotte. Io andavo a dormire, invece Mons. Manfredini dedicava un’ora alla preghiera nella cappella del Vescovado. Da lì traeva la sua forza, sveglio nel pensare, nell’immaginare e nel decidere. Amava stimolare, organizzare, inventare forme nuove d’azione, vincere di slancio ogni torpore intimistico, sapendo efficacemente additare alla sua Chiesa il traguardo di una pienezza di vita, di presenza, di azione nel mondo. E tutto ciò non per frenesia di attivismo, ma per illuminata volontà di coerenza con il suo caldo amore per Cristo, da lui riconosciuto e adorato come il Signore della storia, il re dell’universo e dei cuori, il salvatore di tutta la realtà umana». Il centro è Cristo e per questo l’uomo!

Desidero, infine, ricordare le parole dell’ultimo, appassionato, incontro che avvenne la sera prima della sua morte. Egli affermò: «Il programma pastorale va fatto su misura: la prima cosa da costruire tra noi è la sintonia: ho bisogno di voi per lavorare, pe poter conoscere la situazione. Io non ho il monopolio della verità. Dobbiamo confrontarci. Un vescovo del discernere, occorre dare spazio alla capacità di tutti, fare convergere tutto nell’unità. Occorre molto dialogo». Bisogna creare sinfonia, perché tutte le voci siano armonizzate. Si tratta di trovare quella via di solidarietà reale con gli uomini di oggi, specialmente con i poveri. Non gli interessavano le discussioni inutili, ma la comunicazione viva del Vangelo, specialmente con i laici direttamente coinvolti e protagonisti.

Ringraziamo il Signore per la testimonianza appassionata di Mons. Manfredini, e il Natale che viene, compimento di ogni avvento della nostra vita, dell’attesa che sempre portiamo in noi, illumina e spinge a cercare la sua luce nell’oggi, per attendere con fiducia l’ultima venuta, la pienezza della vita.

Bologna, Cattredrale
16/12/2023
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