Messa in suffragio di tutti i fedeli defunti

In realtà tutti ci confrontiamo sempre con il limite della vita, molto più spesso di quello che pensiamo e diciamo. Così poco, però, sappiamo trarne decisioni. Qui, in questa Gerusalemme della terra che ci aiuta a contemplare quella del cielo, ci misuriamo con il tempo che non finisce. Impariamo a contare i nostri giorni per diventare saggi. Ricordiamo i nostri cari ma, come spesso accade visitandoli, ricordiamo i tanti che riposano accanto ad essi. In un paese facilmente si conoscono o si può ricostruire chi sono.

L’amore di Gesù ci aiuta a sentire tutti cari, in quella solidarietà che nasce dalla condizione di essere davvero sulla stessa barca, tutti segnati dalla debolezza, chiamati a confrontarci assieme con la pandemia costituiva della vita che è la morte. E se siamo tutti sulla stessa barca, come non aiutarci a difenderla, a renderla più forte, ad imparare a viverci da “Fratelli tutti”, consapevoli di una condizione umana che ci unisce? La morte si presenta brutale e implacabile in questi mesi di tragica pandemia della guerra, epifania ultima della forza del male, madre di tante morti ma anche frutto di tante complicità. La guerra genera povertà, disperazione, la perdita del cuore, la crescita dell’odio e della vendetta. La guerra significa versare il sangue di tanti Abele sulla terra, come in questi giorni angoscianti nella Terra Santa.

Dio non smette di imporre a tutti il comandamento di non uccidere e Dio salva la vita di qualsiasi Caino. “Siano liberati subito gli ostaggi”. “Fermatevi, fratelli e sorelle! La guerra sempre è una sconfitta, sempre!”. La vita di ogni persona umana ha una dignità uguale davanti a Dio, che ci ha creati tutti a sua immagine. È tempo di fermare questa guerra, questa violenza insensata. Faccio mie le parole di Papa Francesco e del Patriarca Pizzaballa che ha scritto: “Avere il coraggio dell’amore e della pace qui, oggi, significa non permettere che odio, vendetta, rabbia e dolore occupino tutto lo spazio del nostro cuore, dei nostri discorsi, del nostro pensare”. Il monito di Dio che ricorda che siamo custodi del nostro fratello impedisca che la rabbia diventi l’istinto di morte se non è dominata, L’etica non deve mai essere messa in discussione e non si deve mai superare la vera linea rossa che é quella dei diritti, del rispetto, della sacralità della persona. La sofferenza aiuti tutti a rientrare in sé e avvicini la pace.

La morte si presenta quotidianamente, presenza sempre indesiderata, traditrice, ingiusta. La sua ombra la vediamo nella violenza, nella divisione, nei pregiudizi o ci raggiunge con la malattia, parte della nostra vita temporale. Non nascondiamoci e non droghiamoci con il vitalismo perché produce solo una caricatura della vita. Non basta non parlare della morte, non pensarci. Questa si ripresenta lo stesso e riempie il cuore e la mente di angoscia. Non serve riempire tutti i vuoti e i silenzi ma, anzi, dobbiamo affrontare le domande sul senso delle cose che facciamo. Guardare in faccia la morte non ci rende più tristi, perché farlo ci libera dalla tristezza, ci aiuta a guarire da tante ferite del cuore che producono silenziosamente molta sofferenza ed agitano il nostro profondo.

Vitalismo significa consumo, rapidità, possesso, facilità, apparenza, protagonismo individuale. Vivere così rende poco attraenti aspetti che, al contrario, ci permettono di trovare la vita vera: la sobrietà, l’ascolto, il dono, la gratuità, il sacrificio per amore, l’interiorità, il dono di quello che si è, il servizio. Cosa vince la caducità che segna la creazione e le creature? Qual è la gloria dei figli di Dio nella quale vogliamo entrare? È quella di Dio che ci mostra Gesù, che si fa servo, non dominatore. È la gloria che si rivela quando l’amore riveste di bellezza la fragilità e ne rivela la vita che sempre essa nasconde. La gloria di Dio, quella del cielo, la vediamo quando i piccoli trovano protezione, quando una solitudine è sconfitta. Non sono queste le primizie dello Spirito, quando i nemici si stringono la mano, il perdono affranca dal male, l’odio è sconfitto dal dialogo, quando la guerra finisce con la pace e la giustizia? Gesù ci mostra la via del cielo: l’amore. Il suo amore che ci afferrerà nel salto della morte per portarci in alto, nella sua luce.

Il suo amore ci afferra già oggi e ci porta in alto da una vita senza senso, povera di amore. Anche Gesù vince la sua paura e angoscia affidandosi al Padre e facendo la sua volontà. Nelle sue mani rimette il suo Spirito, iniziando dalla croce il salmo che grida l’angoscia più grande, quella di sentirsi abbandonato proprio da Dio, tradito nella sua fiducia, sperimentando la terribile solitudine, la vertigine della perdita di tutto. Ma il salmo continua fino ad affermare che “a lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a lui si curveranno quanti discendono nella polvere; ma io vivrò per lui (Ps. 22, 30). È la fede nell’amore del Padre che gli permette di affrontare l’angoscia e la paura. Anche per Gesù la tentazione era nel “salva te stesso”, condanna a restare soli, a finire, rimanendo prigionieri della solitudine della nostra condizione umana. Proprio ieri un signore mi ha investito con una domanda comune: “Cosa fa Gesù per fermare il male?”. Lo diceva pensando alla guerra. La domanda è vera per ogni epifania del male. Dio muore, Gesù muore per noi, muore per amore, muore perché sia sconfitta la morte anche se resta per tutti noi il morire. Il problema non è cosa fa Dio ma cosa fanno gli uomini o cosa non fanno gli uomini! Dio ce lo ha detto: amatevi, amatemi per capire l’amore, lasciatevi amare per capire chi siete. E non lo ha solo detto: lo ha fatto. Ci lascia drammaticamente liberi perché Dio ci ha fatti a sua immagine e non si ama per obbligo, ma per scelta. L’uomo può dare la mano, stringerla, usarla per costruire falci e tutto ciò che dona vita, per lavorare, per accarezzare, per donare o può usarla per colpire, per impadronirsi, per afferrare la spada, per dare morte, per alzare muri, per distruggere suo fratello che non riconosce più. Allora la vera domanda è cosa posso fare io, cosa debbo fare io. Questa memoria, severa e umanissima, ci aiuta a capire cosa resta, cosa è davvero essenziale, come vivere bene in questa e nell’altra vita. Sono legate.

Noi oggi ricordiamo i nostri cari, con tutta la loro interezza, non una parte soltanto. L’anima non è separabile dal corpo. Quando questo avviene il corpo diventa un fatto meccanico, guidato più dall’istinto e dalle passioni che dalla mente e dai sentimenti. Al contrario l’anima senza il corpo resta una dimensione fuori dalla vita, astratta, alla fine insignificante, eterea, che pericolosamente non si misura con la concretezza della vita. Niente si perde della nostra anima e del nostro corpo. Tutta la storia della nostra vita, le cose piccole e quelle grandi. Ogni essere umano è legato agli altri e in modo speciale alle persone che ama. Ed è l’amore che mi fa scoprire il prossimo e mi fa essere prossimo per l’altro. Senza il prossimo non può diventare un io. Questo ha bisogno sempre del tu. “Vivere come persone significa vivere in relazione”. La vita dopo la vita, la resurrezione del nostro corpo, comprende tutto questo e sarà una relazione piena, senza diaframmi, libera, perdonata, senza paura, totale con quell’Altro, quel Tu che è Dio e che saranno tutti i defunti. I legami fanno parte della mia vita da questa parte e dall’altra. Ed é quello a cui ci leghiamo sulla terra che non sarà perduto. Dell’amore niente va perduto e tutto sarà amore.

Tutto diventerà “corpo” davanti a Dio, con le nostre ferite ma tutte trasfigurate nella pienezza. Così una vita che finisce in se stessa, che non dà frutto, non incontra questa gloria e questa pienezza. Noi viviamo tanti riflessi da questa parte della vita! Sono le beatitudini, del cielo e della terra. Beato nella terra e nel cielo chi dona qualcosa da mangiare a chi ha fame, chi condivide quello che ha, gratuitamente. Sarà saziato. Beato chi ha offerto da bere perché qualcuno aveva sete, sete di amore, di un piccolo e possibile bicchiere d’acqua di gentilezza, di fiducia, di sorriso, di visita, di speranza. Beato in cielo e in terra chi vince la paura e ospita il suo prossimo che veniva da lontano, che diventa parte di me e si sentirà a casa e mi farà scoprire la mia casa. Beato chi riveste una persona spogliata di dignità, di calore, di protezione, di significato, sarà rivestito di amore che non finisce. Beato in cielo e in terra chi visita il malato, non lo lascia solo nella debolezza, tornerà come il samaritano perché si è preso cura di lui. Beato chi non giudica, chi non condanna, chi ha superato le sbarre dell’indifferenza ed è andato in carcere per aprire porte di speranza. Beati. Felici. Pienezza della vita che non finisce. Beato perché ha incontrato Gesù, che dona il riposo eterno, l’amore che non finisce, perché l’amore non finisce.

Ringraziamo Dio che chiama dalla morte alla vita e non smette di amarci e di insegnarci ad amare, nonostante il nostro peccato. Ringraziamo Dio perché il cielo non è lontano e saremo un unico corpo, una cosa sola, tutto in tutti. Splenda sui defunti la luce che non finisce. Insegnaci, Signore, a tenere in alto la luce che hai acceso nel nostro cuore, perché anche una piccola luce è riflesso della vita che non finisce. Grazie Dio della vita nell’altro dei cieli, in mezzo ai fratelli, nel profondo del cuore. Siamo tuoi. Sono tuoi. Tu sei con me, con noi, Dio che non perdi nulla perché tutto ami. Per sempre.

Bologna, chiesa di San Girolamo della Certosa
02/11/2023
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