Messa nel 7° anniversario della morte del cardinale Giacomo Biffi

“Se tu accoglierai le mie parole e custodirai in te i miei precetti, se appunto invocherai l’intelligenza, se la ricercherai come l’argento e per averla scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la conoscenza di Dio”. Queste parole descrivono l’ispirazione che ha guidato tutta la vita del Cardinale Giacomo Biffi, che oggi ricordiamo nel giorno della sua nascita al cielo, nel suo dies natalis, mistero che lui stesso, saggiamente, non ha mai inteso spiegare con dovizie di particolari, parlando solo di Cristo. Solo Cristo offre luce a quello che altrimenti resta un buio imperscrutabile, irritante, angosciante, e solo la luce della fede in Gesù, della sua resurrezione dai morti, offre un senso a ciò che lo toglie e non ne ha. Noi, infatti, non capiamo e solo se accogliamo le sue parole e custodiamo i suoi precetti arriviamo alla sapienza del cuore.

Viviamo in un mondo che ascolta molto se stesso e poco il Signore e anche il prossimo, perché l’ascolto vero richiede tempo, pazienza, silenzio. Spesso finiamo per ascoltare tutto in superficie, anche noi stessi e per non capire la nostra stessa vita. Chi non ascolta non sa nemmeno parlare ed esprimere i suoi sentimenti. Un bambino è difficile da interpretare (infante significa proprio senza parola) e se ha qualche problema lui non sa spiegarlo con esattezza. Il bambino impara il linguaggio ascoltando il padre e la madre. Solo così può farsi capire. Ecco cosa porta l’ascolto della Parola, perché ascoltarla ci insegna non solo a capire Dio ma a capire noi stessi. Il nostro è un mondo di persone indebolite, confuse, che si sentono deboli e cercano una grande forza nella difesa di sé proprio perché si capiscono poco, non sanno esprimere, lasciano tutto fluido e possibile. Siamo più soli. E allora crescono le paure e le difese. Ci difendiamo con l’egoismo, che diventa un’ossessione tanto da portarci a non accorgerci della vita che facciamo. Ci difendiamo imponendo noi stessi, difendendo la nostra identità anche quando in realtà non sappiamo cosa fare o quando significa praticamente la nostra solitudine. Ci difendiamo con il nostro orgoglio e con il possesso di ciò che pensiamo sia nostro, a volte con l’odio, con la rozzezza giustificata proprio dal sentirci attaccati. Attaccati da chi? Da nemici che possiamo identificare con qualcuno o con qualche categoria. Quando accettiamo di averne finiscono per diventarlo potenzialmente tutti e la nostra stessa vita ci diventa, nonostante il tanto che abbiamo, come nemica. Ci difendiamo con la furbizia, il sospetto, i giudizi e poi, come spesso avviene, nascondiamo tanta paura, tanta insicurezza e debolezza di fronte ad un mondo drammaticamente pieno di rischi e di problemi. Ecco perché ascoltare la parola di Dio ci fa scoprire chi siamo, ci fa capire cosa abbiamo nel cuore – il desiderio – e ci insegna a chiedere aiuto e a chi rivolgerci, ci libera dalla tentazione di rifugiarci in un mondo medicalizzato che finisce per essere debole ed egocentrico, che pensa di vincere la paura perché aumenta le difese, si chiude in fortezze più inespugnabili o protette da armi più sofisticate. La vera difesa è solo l’amore: solo questo ci libera dalle prigioni delle nostre difese e delle paure.

I discepoli hanno paura di avere lasciato tutto (e loro avevano lasciato tutto!) e di restare senza niente. Noi cosa avremo? Spesso cerchiamo di avere le garanzie prima di lasciare e non lasciamo nulla se non siamo prima sicuri. Il Signore non spreca tempo per convincerci! Anzi, ci sconsiglia di seguirlo senza fiducia e senza amore, ricordandoci che con Lui non avremo nemmeno un posto dove poggiare il capo. Non garantisce le tuniche, o il denaro per garanzia, e chiede di andare fino ai confini della terra senza niente, fidandoci di Lui. Questo non si capisce senza amarlo e senza fiducia e non si capisce nemmeno restando fermi. Il centuplo lo troviamo camminando! Ecco perché l’atteggiamento prudente, fintamente previdente, di chi contrappone la verità alla via e alla vita, porta a perdere il Signore. Gesù rassicura le nostre inevitabili incertezze del cammino. Pietro, invece, una volta tanto chiede di portarsi i dubbi nel cuore per finire a discutere di nascosto su chi è il più grande. Gesù non si scandalizza del nostro peccato e perdona, a differenza degli uomini che condannano – gli altri – e rendono il giogo dolce e leggero pesante, insopportabile, con carichi che loro, però, non vogliono portare. Avrete il cento volte tanto di quello che avete lasciato! E la vita che non finisce. Quando però lo riceveremo? Fin da adesso. La vita del cristiano è piena, è beata. È l’esperienza di un cristianesimo felice, cioè di una vita più ricca umanamente di quella che abbiamo tenendoci stretto il nostro possesso. Ma per vivere questo bisogna lasciare e smettere di cercare la felicità accumulando, impadronendosi, sostituendo la logica del servizio con quella del merito, credendosi a posto invece di ricordarci che tutto è grazia e quindi tutto è da regalare gratuitamente perché così abbiamo ricevuto. E questo avviene amando e facendo esperienza del suo amore.

Il Cristo non può esser ridotto a un esempio di buona condotta: sarebbe cosa troppo umana. Egli è la primizia dei morti. “Il cristianesimo – prima ancora che un culto, una concezione, una morale, una religione – è un avvenimento: l’avvenimento dell’incarnazione redentrice del Figlio di Dio”, scriveva Biffi. “Il cristianesimo nella sua sostanza è un avvenimento in atto: l’avvenimento della risurrezione del Figlio di Dio, che si fa principio del rinnovamento del mondo. Quando uno è convinto che Dio esiste, ed è Padre e approdo di tutti gli esseri; e che Gesù Cristo è risorto, primizia della nostra vittoria, non può non essere allegro nel profondo del suo essere, per quanto male gli vadano le cose e per quanto deludente gli possa sembrare la cristianità. Tanto più che la fede cattolica gli dice che nella vita sacramentale l’esistenza divina e risorta già ci è stata comunicata”. Con la consueta ironia aggiungeva: “Qualcuno però ha osservato che a guardare le facce di quelli che partecipano alla messa festiva, in generale non si capisce affatto che sono dei “salvati”. Ma perché sono poco credenti, e ha dunque ragione l’interpellante di lamentarsene.  Hilaire Belloc all’inizio del secolo poteva descrivere l’impressione che gli avevano dato i suoi nuovi fratelli di fede con questi versi: “Che regni tra i cattolici buon vino e allegria, / questa, posso giurarlo, è l’esperienza mia”. Noi ci dimentichiamo troppo delle nostre fortune. Ma come si fa a non essere felici, quando si ha un Padre nel cielo, che non muore mai, quando si ha un Salvatore che ci salva alla fine da ogni guaio, quando nella Chiesa abbiamo un’appartenenza che non viene mai meno, quando si ha la possibilità di cominciare sempre da capo dopo ogni sbaglio, anche il più grave, quando si è incamminati verso una vita eterna?”. Ringraziamo il Signore anche del dono del cardinale Biffi che ha insegnato ad amare Cristo e a metterlo al centro di tutto per trovare il senso, la felicità e la pienezza della nostra vita.

Bologna, cripta della Cattedrale
11/07/2022
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