Omelia Messa XV domenica Tempo ordinario

Non smettiamo di comprendere il Vangelo che ci aiuta ad aprire gli occhi sulla storia, a vedere il mondo con gli occhi di Gesù, vero samaritano. Sono quelli della compassione, che illuminano gli occhi, come recita il Salmo 18, gli unici che vedono il prossimo e che, per certi versi, generano il prossimo. Noi non smettiamo anche di giustificarci. Perché ci giustifichiamo verso chi non ci attacca? Perché ci giustifichiamo davanti a chi ci ama? Perché abbiamo paura di amare, di un amore senza limiti che non controlliamo e che ci fa perdere anche il controllo di noi, perché amore è abbandonarsi, perdere le misure, i limiti che pensiamo definiscano, e a volte condannano, la nostra vita. Spesso siamo più servi che figli! Ciò che propone Gesù al dottore della legge è, invece, capire il senso di quello che osservava da figlio e non da esecutore. Invece di attaccarsi alla lettera propone di vivere lo spirito, invece delle proprie abitudini religiose di affidarsi allo spirito che crea, genera.

Non dimentichiamo Marta e Maria, che come insegnava Vinay, non casualmente sono l’incontro successivo in quel cammino, per strada. Marta non si ferma con Gesù, come il levita e il sacerdote non si fermano con l’uomo mezzo morto. Non ci pensano proprio! Dovevano osservare le loro leggi, in realtà obbedire all’egocentrismo anche se con un risvolto religioso, per cui non avevano tempo, cuore per quell’uomo che ignoravano chi fosse. Non si fermano perché non rientrava nell’osservanza dei loro doveri, che anzi li autorizzavano ad andare avanti, a passare dall’altra parte. Obbedivano ad un Dio che rassicura il loro io, che garantisce benessere, grande interprete dell’io o indistinta fonte di energia che ricarica e rassicura. Un Dio ente di riferimento, impersonale, che in realtà acquista la fisionomia di ciascuno, che non chiede niente di più di quello che vuoi, che ti permette di essere solo quello che vuoi e che nutre l’autosufficienza.

Dio è compassione: ama e come chi ama fa sua la sofferenza dell’amato, non sopporta che sia esposto alla fragilità, ama tanto da dare tutto, da umiliarsi Lui, da chinarsi come Maria che si china. E chi si china ai piedi di Gesù si china su quelli dei suoi fratelli più piccoli. Chi non ama può provare un sentimento di vicinanza, anche un moto di filantropia – ci mancherebbe – ma non si ferma, non cambia tutti i suoi programmi, non si impegna alla fedeltà, come chi ama. Solo la compassione fa vedere per davvero e così quell’uomo non resta un estraneo, ma diventa prossimo. Tutti in qualsiasi condizione di sofferenza. Gesù non dà un’ennesima regola al dottore della legge, ma racconta la vita, una storia di tutti i giorni, imprevedibile, da vivere. Parla del prossimo e lo indica, parlandone non in maniera psicologica:  non quello che provi tu, ma quello che fai, che tocchi, che prendi sul tuo asino, per il quale ti dai da fare. Chi insegna la compassione di Dio? Chi mostra con la vita, che è il primo modo di comunicare il Vangelo, un Dio che è compassione. L’amore supera tutte le misure perché è la misura! Gesù indica un samaritano anche per liberare quel dottore della legge dai suoi giudizi per cui ha tutto chiaro e, certamente, non poteva credere che un samaritano potesse diventare per lui esempio di come si fa a trovare il prossimo! L’amore rende tutto possibile.

Il prossimo è colui che io rendo tale fermandomi, facendomi carico di lui e che la compassione mi fa “vedere!”.  Non è un programma. Non è una categoria fissa, che porta inevitabilmente a escludere qualcuno. Non è nemmeno in base ai suoi meriti morali, etici. Non sappiamo niente dell’uomo mezzo morto. Il samaritano non sapeva nemmeno perché fosse in mezzo alla strada! Poteva anche essere uno dei banditi che aveva avuto problemi! Vedere e avere compassione.

È vedere che porta alla compassione oppure vediamo perché siamo pieni di compassione? Il Vangelo è la compassione di Dio che manifesta la sua passione per noi e diventa con noi. Ma perché quel samaritano si ferma? Il pregiudizio era che erano infingardi, pagani, superstiziosi, pericolosi. Li allontanavano. Non passavano per la Samaria, per prudenza. Perché aveva avuto compassione di lui! Ecco perché si ferma: perché aveva visto uno fare lo stesso, forse perché qualcuno si era fermato a parlare con sua madre ad un pozzo ed era diventato colui che aveva detto tutto quello che aveva fatto (altro che oroscopo o infinite interpretazioni o la banale conferma di un pregiudizio!).

La compassione produce compassione, abitua a rendere possibili, anzi normali, quei gesti che altrimenti sono pericolosi, impossibili. Si prese cura gratuitamente senza sapere nulla, ma sapendo quello che conta, quello che permette di sapere tutto. Il samaritano non sapeva chi fosse e anche lui solo dopo avrà scoperto il suo prossimo, si sarà affezionato a lui: adottandolo scopre che era fatto per lui e che lui aspettava proprio il suo passaggio. La chiave di tutto è la gratuità, il non avere alcun interesse, come l’amore. Gratuità è anche fermarsi senza che nemmeno l’uomo lo chieda, solo perché la sofferenza è già una domanda di aiuto, una richiesta di amore, di compassione che non si può far aspettare. Solo gratuitamente, senza convenienze, come Maria che ascolta senza fare niente, senza obblighi di servizio, solo per amore.

Il samaritano è la base di fratelli tutti, di quella stirpe santa della comunità, del popolo di amati che hanno compassione. Come disse qualcuno, il prossimo per l’ucraino è il russo, per chi sta bene il malato. Prendersi cura di lui vuol dire restare lì la notte con lui e affidarlo all’albergatore, coprendo ogni spesa futura, perché quello che gli interessava non era fare qualcosa, svolgere una prestazione limitata, ma fare tutto quello che serviva a lui, proprio come facciamo con una persona cara, di casa. Si allea con l’albergatore che diventa anche lui amico di quello sconosciuto. Così il mondo cambia. Perché è proprio vero che chi salva un uomo salva il mondo intero. E salva se stesso dalla cattiveria che indurisce e rende indifferenti, che fa scappare dalla sofferenza, che poi, inevitabilmente, ci travolge. Il samaritano trova se stesso trovando il prossimo, dando felicità a chi era stata rubata. Ecco il cristianesimo felice.

10/07/2022
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