Omelia nella festa della Madonna di San Luca

Celebriamo questa liturgia in un momento estremamente difficile per tanti fratelli e sorelle della nostra Chiesa e delle Chiese della Romagna. Come non affidarci alla Vergine di San Luca, che proprio per arrestare le piogge torrenziali ricevette un nuovo impulso di devozione! Cambiano i tempi, le situazioni, ma la forza incredibile e imprevedibile delle avversità ci fa riscoprire sempre il limite della nostra vita e cercare la roccia su cui costruire la nostra casa, sia personale sia come comunità.

È dolore che facciamo nostro per le vittime e rinnoviamo la preghiera e la vicinanza per loro e per i loro familiari. È dolore per chi ha perduto beni e, forse, ancor più pezzi importanti di vita, per quanti sono costretti a stare lontano da casa, specialmente chi è anziano e debole. È dolore per chi sperimenta un ulteriore motivo di isolamento, come quanti vivono nelle aree interne e montane. Come sempre nell’incontro con il male, sia nelle pandemie che coinvolgono tutti sia in quelle personali, nelle tempeste di malattia e di morte, quando il mondo si rivolta contro e tutto ci crolla addosso, capiamo che queste fanno parte della nostra vita e che la creazione sempre soffre e geme nelle doglie del parto.

Capiamo come solo insieme possiamo affrontarle e che dobbiamo prenderci cura tutti della nostra unica casa comune. Ringrazio di cuore quanti si sono prodigati con generosità commovente per alleviare le sofferenze e garantire gli interventi di emergenza: la Regione, i Comuni, i Vigili del Fuoco, i Carabinieri e tutti i militari, la Protezione Civile, insomma le istituzioni tutte che si sono prodigate instancabilmente per soccorrere e salvare. Avranno molto lavoro anche nei prossimi giorni. Ci vorrà tempo per ripristinare quanto è stato sconvolto. Sono sicuro, come si direbbe in Romagna, che tutti si rimboccheranno le maniche perché “nun fé e pataca”.

Questo sarà il vero argine che ripara e vince la forza terribile di distruzione. Preghiamo affinché lo spirito di solidarietà e di comunità si rafforzi. Maria, madre di tutti, ci aiuti a non cedere alla rassegnazione, ci renda come è Lei: premurosi verso chi è in difficoltà. Il suo amore ci liberi da quel senso di inutilità e di malinconia che avvolge chi sperimenta il male che irride la nostra fragilità. Siamo deboli. Sì, ma siamo anche fortissimi nell’amore. Il ramoscello di ulivo che la colomba ci consegna attraverso Maria – come è raffigurato nella copertura d’argento della Sacra Immagine –  è Gesù. Lui è la nuova ed eterna alleanza, amore che mette pace tra terra e cielo. Maria è l’arca che contiene e genera la presenza di Dio, nato per riscattare quelli che erano sotto la Legge e donare loro l’adozione a figli e quindi l’eredità, il suo vero tesoro, che è il suo amore, vita che non finisce e che rivela ciò che non finisce della nostra vita. Custodiamo con il nostro amore questa arca che ci custodisce, che ci protegge e che ci è affidata. È madre, mia e di questa famiglia che ci accoglie e ci ama. Non si ha Dio per padre se non si ha la Chiesa per madre e, aggiungerei, se non si lega la propria vita ad una comunità concreta nella quale comprendere la carne e non un’idea. Amiamo e siamo amati attraverso una madre umile ma vera, non una categoria, un’astrazione idealizzata ma una concreta amicizia. È piena di grazia nonostante il nostro peccato e ci ha custodito. Con Maria cantiamo anche noi il Magnificat per i tanti doni con cui Dio ha reso grande, bella e utile la nostra vita. Maria ci aiuta a comprendere e ricomprendere sempre il dono del nostro servizio presbiterale e diaconale. È il Magnificat che cantiamo con alcuni fratelli che ricordano ricorrenze importanti della loro vita, tutti, sempre, accompagnati da questa madre che ci continua a generare come figli. Ricordo anche chi è nella malattia e i tanti che non possono essere tra noi perché impediti ma che portiamo nel cuore. Questa nostra Madre ci libera dal veleno della malevolenza, nelle parole e negli atteggiamenti, nei giudizi espliciti o anche silenziosi, che pensa di spiegare e conoscere e non ci fa scoprire il dono del prossimo, impedisce di viverlo e di essere noi un dono per gli altri, in un legame che deve essere affettivo, fraterno. Qui sentiamo per noi e tra di noi il dono della benevolenza, che non ignora certo il peccato, la pagliuzza, ma fa scoprire sempre la grazia che è pure in noi. Aggrappiamoci al bene e riconosciamolo sempre. Non c’è mai nessuna giustificazione alla malevolenza. Ringrazio per il dono che siete e che siamo, per come siete, per la testimonianza, sempre segnata certo dal limite personale, ma sempre piena del tesoro che abbondantemente è passato attraverso i nostri vasi di creta. Noi abbiamo sempre la tentazione di ridurre tutto a Nazareth, facendo anche della famiglia di Gesù un villaggio chiuso, un possesso, pensando di capire riducendo tutto al conosciuto come quando si finisce per essere innamorati delle proprie formule, strutture, definizioni, categorie più che della vita così com’è. Non si conosce Gesù senza amarlo e senza seguirlo per le strade del mondo e non si può ridurre questo a Nazareth. Maria non resta a Nazareth. Accompagna Gesù fin sotto la croce e sarà a Gerusalemme con la sua vera famiglia, larga, che parla tutte le lingue, che si misura con i confini della terra. Non smette di credere all’adempimento di ciò che il Signore le ha detto e le continua a dire. Non colleziona risposte alla ricerca di sicurezze che liberano dai dubbi, dalla fatica di cercare, di affrontare quello che non si conosce. Noi non dimentichiamo certo il poco della nostra vita, anzi, proprio per questo, e forse solo quando lo ricordiamo, possiamo cantare il nostro personale e comunitario Magnificat al Signore per essere stati chiamati da Lui, innalzati e beati nonostante il nostro peccato, il poco della nostra vita.

 Maria non conosce con chiarezza il suo futuro ma si mette in cammino per incontrare. Ha trovato grazia presso Dio e crede che questa non sarà tolta. Quel Gesù che porta in sé la porterà alla vita. Si fida di Dio più della propria esperienza. Crede nell’adempimento, cioè che la promessa si realizza sempre. Il programma di Maria è il Vangelo che porta nel grembo e la libera dalla paura di generare vita. Maria lega tutta se stessa a Gesù, solo a Lui. È la nostra scelta, nostra e di Dio. Maria è sempre donna dell’attesa perché ha dentro di sé quello che deve compiersi, che ancora non c’è pienamente. Così siamo noi e sono le nostre comunità. Attesa significa conservare e far crescere quella vita che abbiamo e che si manifesterà tutta, che genererà altra vita. Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, attraversò le montagne. Seguiamo anche noi Maria che vuole incontrare questa sua parente che tutti dicevano sterile. Penso a questa settimana con la sua Immagine, che rappresenta però tutti i nostri giorni. Quanti incontri, quanta commozione, quanta consapevolezza, quanta vita esaltata in grembo durante questi giorni di visita! La discesa della Sacra Immagine ci ha portato ad incontrare tanti, percorrendo una parte delle strade e delle comunità della città per incontrarla tutta, per guardare con amore le case e le persone, per andare incontro a tutti. Seguiamo Maria. L’incontro è un legame e non un impegno per riempire l’agenda o un contatto in più nei social! Scopriremo anche noi tanta attesa. La visita, l’incontro, la relazione riempie di gioia l’altro e anche Maria, che così può cantare il suo Magnificat. È beata ed Elisabetta le spiega il perché! Ho visto tanta commozione nell’incontro con Maria. La sua scelta di uscire da Nazareth ci aiuta a non avere paura, a fare il primo passo per andare incontro, per regalare attenzione, perché la nostra attesa risponde all’attesa, alla domanda di senso, di consolazione, di amicizia, di futuro che c’è nel cuore di tanti. La speranza vede la spiga quando c’è ancora soltanto il seme. Don Mazzolari ricordava come nel mare in tempesta occorre gettare le ancore. Non sempre troviamo un fondale che tiene. Questa nostra Madre, che ci ricorda il noi cui apparteniamo e a cui tanti appartengono, è il nostro fondale sicuro, dove possiamo fiduciosamente gettare questa nostra povera vita e tutte le sue disperazioni.

Madre dell’attesa e della speranza, con Te esultiamo di gioia riconoscendo l’umiltà della nostra vita perché ci porti incontro al prossimo e ci fai vedere quello che ancora non c’è ma che portiamo con noi, e che genera una vita nuova che siamo sicuri ci sarà. Beata sei Tu che credi e ci aiuti a credere all’adempimento della Parola di Dio.

Bologna, Cattedrale
18/05/2023
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