Messa nella festa di Maria Madre di Dio nella Giornata mondiale per la pace

Iniziamo l’anno con Maria, Madre di Dio, Madre nostra, Regina della pace, in giorni cupi. La Chiesa è madre e proprio come una madre “sente” la sofferenza dei suoi figli. Davvero per lei il loro dolore è il suo. La guerra, divisa in tanti pezzi, ruba gli anni e li condiziona tutti, per sempre, perché la violenza segna il cuore e il corpo di chi ne è travolto e dei loro cari. Siamo in tempo di guerra. Siamo nella notte. Lo capiamo quando non ci facciamo ingannare dalle luci che illudono di stare tranquilli, di avere sicurezza e protezione, di poter rimanere spettatori. In tale tempo di guerra sentiamo come non mai l’importanza di questa Giornata della pace, che sembrava eredità di un passato superato oppure occasione per appelli irenici.

Ne abbiamo un bisogno fisico, abbiamo bisogno di pace, esposti come siamo alla violenza e alla guerra. La pace riguarda e coinvolge tutti, ha bisogno di ognuno perché la guerra riguarda e coinvolge tutti. Non si vive se non c’è pace. La minaccia della guerra è molto più vicina di quanto possiamo pensare nella presunzione, colpevolmente inconsapevole, che tanto “andrà tutto bene”. Questa sera, proprio come i pastori del Vangelo, vegliamo. Lo facciamo in questa notte così fitta, con la preghiera e la solidarietà, cercando umilmente ma fermamente il sentiero della pace. Questa inizia nel cuore degli uomini, in quello di ognuno di noi. Se c’è, terribile e inquietante, il contagio della guerra c’è anche quello della pace.

E dipende, quindi, da ognuno di noi. Maria, come tutte le madri, porta nel cuore la sofferenza che sale da tante terre, tutte importanti. Non si rassegna a non poter far nulla: non si abituerà mai alla distruzione delle persone e delle città. Che tragedia, quanta sofferenza, quanta cattiveria che semina altro male! Con le persone viene distrutto anche il pensarsi insieme, unica via per vincere il male. Aiutiamo nostra Madre che è affidata a noi!

Il messaggio della Giornata di quest’anno inviato da Papa Francesco invita a fare memoria di quello che è successo con il COVID per capire, con la vivezza della storia, che dobbiamo essere migliori e che solo insieme c’è salvezza. Ripudiamo anche noi la guerra e la violenza, nelle parole e nei gesti. Nella preghiera continua, commossa, uniamoci per chiedere la pace. Come la pandemia del COVID anche quella della guerra attraversa le frontiere, colpisce tutti e a ogni età, con tante varianti. La guerra arma i cuori e purtroppo pure le mani, tanto da far morire anche la stessa pietà. Il virus della guerra appare improvvisamente e rivela la nostra impreparazione, le difese non sufficienti, proprio come è successo per il COVID.

Abbiamo coltivato poco il dialogo e molto le ideologie e un modo da “contrapposizione”, nel quale era più importante schierarsi che capire. Il virus della guerra enfatizza le differenze e soprattutto le contrappone, isola le persone e le riempie di paure, facendo credere che per essere se stessi bisogna essere soli, relegando il pensarsi insieme ad un’illusione ingenua e pericolosa. Non è drammaticamente pericoloso, in realtà, stare soli? Il COVID ha accresciuto le disuguaglianze, non solo impoverendo ma anche rivelando che i figli dei poveri sono condannati ad essere poveri. In realtà non c‘è salvezza pensandosi soli. Per nessuno! “Nessuno può salvarsi da solo”.

Tutti abbiamo bisogno di Gesù, unica medicina capace di sconfiggere il virus della violenza. Il messaggio del Papa invita a trarre lezione dal COVID per combattere le pandemie. La guerra inizia con cose che appaiono da niente, facilmente controllabili, come delle parole dette per gioco, degli scherzi che non durano poco, le prese in giro su caratteristiche personali o di razza o di storia della propria famiglia. Il virus della guerra cresce se omettiamo di fare il bene, perché il male non conosce le omissioni: lavora sempre. Il virus cresce nel pregiudizio che si comunica se non si contrasta, resta al di là di tante parole, si nutre di ignoranza, di semplificazioni, di false notizie che colpevolmente creano il nemico e l’abitudine a colpirlo. Cresciamo coltivando nemici da abbattere per sentirci vivi, importanti. Nel grande mare di internet i veri gestori delle correnti profonde che trascinano senza che te ne accorgi, ti portano dove vogliono, a seguire interessi che convengono a loro.

La condivisione è la terapia che Gesù ci offre in un mondo segnato dal virus della disuguaglianza. Non è un po’ di calcolata e interessata filantropia. Gesù condivide tutto e ama fino alla fine, non si risparmia. È questa la via del Natale: Dio che si fa relativo a noi e ci porta a condividere. Con convinzione, come i pastori a Betlemme glorifichiamo e lodiamo Dio per un amore così grande, nell’oscurità della guerra, segno di speranza che è affidato alla nostra custodia. Il Natale del Signore ci dona la forza di combattere la notte e di essere luminosi. Se il virus della guerra è forte l’amore è ancora più forte. “Insieme” è l’indicazione del messaggio della pace.

Cosa ci chiede, sia come persone sia come soggetti ecclesiali? “Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali”. Gesù si pensa insieme a noi e intorno a lui si compone fin dall’inizio una famiglia altrimenti impossibile. Possiamo curare le ferite e i problemi non risolti, quelli rimandati, oppure quelli per i quali ci accontentiamo del meno peggio o di contenerli. E poi tutti i problemi sono diversi se affrontati insieme e, soprattutto, se insieme a Gesù. Altrimenti crescono la rabbia, il senso di fallimento, l’isolamento. Mai lasciare nessuno solo. La disuguaglianza la combattiamo trattando tutti con gentilezza e cercando di aiutare la soluzione dei problemi.

Papa Francesco suggerisce di tenere “i piedi e il cuore ben piantati sulla terra” e di restare svegli “come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie”. Siamo noi gli operatori di pace, cioè cuori che guardano con amore il prossimo e ne desiderano il bene, che distruggono l’odio con il perdono, con la pazienza e la perseveranza per non cedere all’istinto che sta sempre accovacciato alla porta del cuore. Solo così saremo benedizione per il prossimo e sapremo comunicare la pace che pure ci è donata.

“Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”.

Siamo adottati da Te, Signore, senza nemici perché l’altro in realtà è nostro fratello. Signore non ci hai voluto schiavi ma figli e quindi fratelli. Solo insieme sapremo vincere il male. Maria, Regina della pace, prega per noi.

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 Vorrei concludere, infine, ricordando quando il card. Lercaro consegnò il testo del messaggio di Papa Paolo VI per la Giornata mondiale  della pace.

 «Vorremmo che non mai ci fosse rimproverato da Dio o dalla storia di avere taciuto davanti al pericolo di una nuova conflagrazione fra i popoli, che – come ognuno sa – potrebbe assumere forme improvvise di apocalittica terribilità». Perciò non posso ora limitarmi alla semplice consegna del testo del Sommo Pontefice.

Mi chiedo se quello che ho detto sinora può bastare o se ancora non vi sia qualche cosa da aggiungere, per orientare ancor meglio le nostre anime a pensieri e a opere di pace, proporzionate alla estrema gravità del pericolo e dell’impegno storico che, variamente ma solidalmente, grava su tutti e su ciascuno. Da una parte, la Chiesa non deve stancarsi di diffondere, spiegare e rispiegare l’insegnamento generale cristiano sulla pace; deve anzi approfondire ancora più le radicali esigenze del Vangelo circa la rinunzia alla violenza; deve formare le coscienze; soprattutto deve metodicamente guidare i credenti e rispettosamente aiutare i non credenti a ricomporre in se stessi quella pace personale e interiore che l’uomo moderno poco conosce e «che è – secondo le parole di Paolo VI – la radice profonda e feconda della pace esteriore, politica, militare, sociale, comunitaria» (Discorso di Natale). Dall’altra parte, la Chiesa non deve far mancare il suo giudizio dirimente – non politico, non culturale, ma puramente religioso – sui maggiori comportamenti collettivi e su quelle decisioni supreme dei responsabili del mondo, che possano coinvolgere tutti in situazioni sempre più prossime alla guerra generale e che possano, a un tempo, confondere le coscienze proponendo false interpretazioni della pace o false giustificazioni della guerra e dei suoi metodi più indiscriminatamente distruttivi. Vorrei essere un servo dell’Evangelo di pace, vorrei che tutta la Chiesa di Bologna non fosse altro che un unico generale annunzio dell’Evangelo di pace a tutti, ma specialmente ai giovani, perché tutta la nostra gioventù possa divenire — malgrado tutte le tentazioni, tutti i miti e tutte le compromissioni di guerra — una forza grande, spirituale e storica nei nostri giorni «operatrice di pace» e perciò, secondo la promessa delle Beatitudini, veramente «figlia di Dio»: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).

Bologna, Cattedrale
01/01/2023
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