Te Deum di fine anno

È venuta la pienezza del tempo, afferma l’apostolo Paolo. È Gesù che inizia il suo regno oggi nel mondo. Non dobbiamo “aspettarne un altro”, come chiese nel dubbio Giovanni Battista: i ciechi già vedono e gli storpi camminano. Certo, dobbiamo anche riconoscere la pienezza nelle difficoltà della nostra vita, la luce nelle tenebre, la gloria nella parzialità.

Dio non si manifesta onnipotente, vittorioso: i segni del suo amore pieno si rivelano nella nostra umanità, debole com’è. Noi cerchiamo la pienezza piuttosto in una vita pornografica, che cancella la debolezza, a volte ne fa una colpa da nascondere, cercando sicurezze per avere le risposte per tutto. Noi pensiamo la pienezza sia nel possesso delle cose, nel potere, nel lusso, nella forza della spada, nella prestazione.

Al contrario la pienezza di Gesù si rivela nella sua e nostra debolezza: nel suo amore mite e umile fino alla fine e per discepoli traditori e paurosi; in un morente cui apre la porta del paradiso; in un cieco importuno che urla pietà e inizia a vedere. Ecco, la pienezza la contempliamo nel pane spezzato sulla mensa che diventa amore per fratelli più piccoli che ci rendono grandi.

La pienezza è l’amore, solo amore, gratuito. Riconosciamo oggi quello che non ci sarà tolto e non finisce nel nostro incerto e sempre minaccioso presente, nello scorrere confuso dei nostri giorni. Marta non trova la pienezza perché la cerca nei suoi affanni. Maria la sperimenta nell’amore di Gesù che lei accoglie e dal quale viene accolta. Il tempo, così, non è un casuale susseguirsi di eventi, perché se abbiamo incontrato la pienezza di Gesù, che conta perfino i capelli del nostro capo, sappiamo che sarà con noi tutti i giorni fino a quando l’amore sarà tutto in tutti, tutto sarà chiaro e finalmente capiremo e vedremo. Contiamo i nostri giorni, per cambiare, per non pensare che succede solo agli altri, per entrare nella storia e in questa capire la sua pienezza, e non uscirne per immaginarne un’altra.

Contiamo i nostri giorni come facciamo questa sera, misurando l’inesorabile scorrere del tempo e vincendo la malinconia, perché la sapienza del cuore che nasce a chi conta i suoi giorni è essere piccoli e capire i segreti del regno nascosti ai dotti e agli intelligenti, che pensano di esserlo perché fanno a meno degli altri e dell’Altro. La sapienza dei bambini non è certo infantilismo ma sentirsi amati e conoscere chi ama, immersi in questo tempo di tanta oscurità, pieno di violenza e guerra. Al termine di questo anno ci uniamo per ringraziare e affidarci al Signore, Dio che entra nel tempo e nello spazio perché “siamo rapiti alle realtà invisibili”, quelle essenziali, per capire le visibili. E contare i nostri giorni ci aiuta a non sprecare il tempo, lusso di chi pensa di averne sempre molto tanto da permettersi di farlo.

Il salmo ci invita a lodare. Lo canteremo: “Te Deum laudamus”. Questa sera con tanta commozione lodiamo Dio per il dono della vita del Papa Emerito Benedetto XVI, della sua testimonianza di cristiano e di credente fino alla fine, della sua fede e della ragione, del servizio alla Chiesa universale fin dal Concilio Vaticano II, del ministero episcopale e della grazia con cui ha presieduto alla comunione come Vescovo di Roma. Nella scelta del suo nome c’è qualcosa che lo univa alla nostra Chiesa di Bologna, perché, disse: “Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI per riallacciarmi idealmente al venerato Pontefice Benedetto XV (Della Chiesa, vescovo di Bologna), che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale. Fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne le conseguenze nefaste. Sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell’armonia tra gli uomini e i popoli, profondamente convinto che il grande bene della pace è innanzitutto dono di Dio, dono purtroppo fragile e prezioso da invocare, tutelare e costruire giorno dopo giorno con l’apporto di tutti”.

Papa Benedetto XVI ha amato e servito sempre con rispetto e gratuità la Chiesa, da umile lavoratore nella vigna, difendendola dalla sporcizia ma sempre cercando il suo contrario che è la giustizia della misericordia. Questa sera lodiamo, perché Dio è sempre la prima e ultima lettera della nostra vita, che non è, come disse sempre Papa Benedetto, un cerchio che tristemente e in maniera irreversibile si chiude, ma una linea che procede verso la casa del Padre. Lodiamo perché la vita prevale sulla morte, il bene sul male, la speranza sulla rassegnazione, l’amore sulla divisione e sulla perdita del sapore.

Il Salmo 112 che abbiamo cantato ci descrive Dio che si china sulla umanità. Si china per sollevarci. Gesù è Dio che si china sul mondo e su ogni persona. Dio è interessato a noi. L’amore avvicina, non può restare lontano dall’amato. Per questo Gesù ci insegna a chinarci anche noi sull’umanità che incontriamo, così com’è, sulla sofferenza che possiamo vedere e capire solo chinandoci, non restando dritti o passando alla larga, magari lamentandoci o teorizzando interventi che non facciamo.

Chiniamoci per comprendere la vita vera, la storia. E, come il samaritano, per farci coinvolgere da tanta sofferenza e cambiare la storia, perché chi salva un uomo salva il mondo intero. Il samaritano cambia la storia. Chiniamoci sulle tante, troppe sofferenze che segnano i cuori delle persone e facciamocene carico. Non accontentiamoci del meno peggio, come spesso avviene.

Che tristezza quando ci accontentiamo di non avere problemi, perché poi la logica del meno peggio finisce facilmente per dichiarare che non è possibile fare qualcosa, che la responsabilità è sempre di qualcun altro, che non si sono verificate le condizioni. Non possiamo accontentarci di fare il meno peggio e nemmeno di fare solo il possibile, finendo così per giustificare il poco amore o un modo burocratico.

L’amore fa l’impossibile, non si rassegna, diventa progetto, sistema che protegge e aiuta e permette ad altri di farlo. Gesù ci dona il potere di cambiare la vita, la storia. Chiniamoci sulla sofferenza degli anziani lasciati prigionieri della loro solitudine perché nessuno apre la porta del loro cuore e bussa per ascoltare la loro vita. Chiniamoci sui giovani che non escono di casa, prigionieri delle loro fragilità, incerti sul futuro, che forse hanno troppe medicine e poco amore vero, tante interpretazioni ma pochi motivi per cui stare bene, per cercare di essere migliori e costruire un mondo più bello.

Chiniamoci sul mondo delle carceri, in condizioni di tanto affollamento, dove troppi si tolgono la vita. Chiniamoci su quelle minorili e sulla necessità di investire tante risorse per liberare dalle dipendenze e per inserire i ragazzi in un tessuto positivo, capace di affrancarli da quello negativo che altrimenti diventa un destino se non ci sono alternative attraenti, possibili, forti. Chiniamoci sulle tante ferite della psiche, nascoste nel profondo, spesso frutto delle schiavitù che sono le dipendenze, ferite che chiedono strumenti adatti ma anche tanta comunità attenta, sensibile, affidabile, fedele, non competitiva e non a pagamento.

E la comunità siamo ognuno di noi. Chiniamoci sugli stranieri che sono persone, doni, possibilità. Chiniamoci sul prossimo e vediamolo con speranza, non come un nemico, cercandone la bellezza, non la pagliuzza, interessati e non indifferenti. Tutti possiamo farlo e scopriremo, chinandoci, il nostro vero volto riflesso nell’altro, e questo ci farà trovare chi siamo e ci libererà dalla condanna dell’io rovinato dall’egoismo.

Dio si china e solleva il debole dalla polvere. Dio si china su di noi e ci innalza, ci rende migliori con la verità del suo amore. A tutti viene riconosciuta la dignità di esistere e il diritto ad essere felici. “Insieme”, perché non c’è gioia da soli. È insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi.

Nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace che si terrà domani, Papa Francesco, prendendo spunto dall’esperienza drammatica della pandemia, scrive: “Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola insieme”. Insieme. Nessuno può salvarsi da solo.

Per l’anno che viene scegliamo di essere artigiani di pace, pacificatori: abbiamo l’arma del perdono, l’unica che estingue l’odio ed evita la vendetta; la conoscenza che libera dal pregiudizio, il dialogo che costruisce ponti, abbatte muri, stringe legami di unità; l’accoglienza che mi fa scoprire il prossimo di cui ho bisogno, vince la divisione e ci fa godere della diversità.

Dio benedica la nostra città e tutta la città degli uomini, benedica i nostri giorni e ci renda operatori di pace per vincere la violenza e la guerra, per lodare Dio con gioia e dare gloria al suo nome che è amore. Insieme e per sempre.

Bologna, basilica di San Petronio
31/12/2022
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