Messa nella festa di Maria Madre di Dio

La memoria di oggi, Maria Madre di Dio, ci ricorda che anche noi non siamo un caso, generati da noi stessi o orfani; non siamo schiavi che possono solo obbedire, magari pensando male del loro padrone nella segreta e velenosa speranza di diventarlo. Siamo figli. “Dio mandò suo figlio nato da donna, per riscattare quelli che erano sotto la Legge”. Siamo liberi, vinciamo la paralizzante paura della libertà, spesso accresciuta da deformate convinzioni di perfezione che niente hanno a che fare con il Vangelo. Non siamo schiavi di dipendenze che dominano e rovinano la nostra vita, pericolose proprio come il virus che sembra innocuo e fa credere di non avere conseguenze o che possiamo gestire facilmente. Le dipendenze si impadroniscono di noi facendoci credere che basta decidere e possiamo tornare indietro a nostro piacimento, mentre in realtà sono molto più forti della nostra volontà.

Non siamo schiavi di noi stessi, del nostro individualismo, il peggiore tiranno dal quale siamo affrancati perché non siamo figli unici e se siamo figli siamo fratelli, senza limiti. Fratelli tutti! Siamo liberi perché figli e figli di un Dio che è Padre, non un paternalista che sottilmente lega a sé, non un padrone che impone la sua volontà, ma un padre che non possiede perché ci ama per davvero, che si prende il rischio di incomprensioni, di essere usato, addirittura visto come un limite, oggetto di diffidenza da coloro che ama. Ma è un padre e ci vuole figli liberi, perché solo da liberi si può amare.

Ed è proprio questa la più grande libertà, che ci fa essere noi stessi: amare, non essere prigionieri del nostro ego perché solo l’amore ci fa andare oltre il suo limite. È la libertà dello Spirito, che soffia dove vuole e rende nuovo ciò che è vecchio, quella che ci rende uniti anche se diversi, quella che ci libera dalla tentazione del protagonismo che fa usare il dono che si è per sé, e quindi, credendo di possederlo, lo perdiamo. Il dono è nostro se lo doniamo e lo inseriamo in quel concerto di amore che è la comunione, mentre il protagonismo vale se resti tu padrone del dono.

Amiamo questa Madre, sensibilissima e fortissima come tutte le madri. Noi siamo figli, segnati dal nostro peccato. Questo non ci scandalizza. Ci scandalizza il peccato, non il peccatore! L’ipocrisia farisaica finisce per scandalizzarsi del peccatore, pensando così di combattere il male, mentre la vera risposta non è la Legge o un suo aggiornamento ma amare i figli, volere che tornino a casa, riabbracciare nella misericordia, gioire di un fratello che è risorto. Questa Madre è affidata a noi, cattivi come siamo, e non ha timore di farsi prendere nelle nostre case, come avvenne per Giovanni. E quanta gioia proviamo a portarla a casa nostra, essere suoi e lei nostra, perché siamo figli non solo quando stiamo fisicamente assieme, ma nella nostra vita concreta, limitata e peccatrice com’è.

Ricordiamoci che siamo suoi per servirla, mai per usarla, perché è madre di tanti, si dispera per i suoi figli più piccoli. Vogliamo darle tutto quello che abbiamo come lei fa con noi. Vogliamo proteggerla da quei tanti nemici che vogliono farne quello che non è, riducendo la sua famiglia a una massa anonima, a un club di iniziati, di soci che si aiutano tra loro e guardano con indifferenza o ostilità quanti non ne fanno parte. Figli di questa Madre siamo fratelli universali, senza paura di esserlo, perché chiunque è il nostro prossimo.

Questa Madre la contempliamo intorno alla presenza del suo figlio, nell’eucarestia deposta sull’ambone e sull’altare, parola e corpo, nutrimento di vita che non finisce, di amore che sazia, centro per cui come nel cerchio i raggi più lo cercano più si avvicinano tra loro e diventano una cosa sola quando raggiungono il centro che è Gesù. Questa Madre ci porta nelle tante Betlemme che sono la continuazione di questa mensa, perché anche lì è deposto lo stesso corpo di Gesù, quello dei suoi fratelli più piccoli. Questa Madre ci sorprende, perché ci permette di sentirci a casa ovunque e con chiunque, perché è tanto più libera di quello che noi crediamo e con dolcezza spinge a non avere paura, vuole che noi, adottati, adottiamo tanti, facendoli nostri nell’amore, facendoli sentire a casa, dandogli fiducia perché sono nostri.

A Betlemme si riunisce la prima famiglia di Dio, quella di coloro che ascoltano l’angelo che parla in tanti modi e in tanti modi si mettono in cammino per cercarlo e lo trovano accessibile, senza filtri e difese, fragile e umile. Immagino così il cammino sinodale – cioè insieme – che inizia nelle prossime settimane per la nostra Chiesa: persone che hanno cura del gregge, cioè delle persone intorno, della città degli uomini e della Chiesa, all’aperto, che camminano alla ricerca di quello che ancora non conoscono e che non smettono di scoprire e riscoprire, affrontando l’oscurità, la notte piena di pericoli perché sentono la gloria di Dio nel cielo ma vogliono trovarla sulla terra, vederla.

Essendo madre di tutti è vicina a chi soffre. Per questo il suo giorno è dedicato alla pace, perché ogni figlio che è colpito dalla violenza, ogni vittima, è di questa madre e quindi, ricordiamolo, anche affidato a noi. Tutti, non solo i tanti cristiani colpiti dalla violenza per la loro fede, ma qualunque vittima.

È una madre che ci insegna ad essere artigiani di comunità e di pace. Costruire la comunità è costruire la pace ed è possibile solo ad artigiani, cioè solo con il coinvolgimento di tutto se stesso. Non si diventa impresari. Si fa pace con la preghiera, con l’ascolto, abbattendo i muri per cui con quella persona non parlo perché ho un pregiudizio, non gli affitto casa o non la saluto perché la giudico per l’apparenza. Combattiamo ogni atomo di odio nel nostro cuore e versiamo nel mondo tanti atomi di amore.

Papa Francesco nel suo messaggio indica tre vie per la pace: il dialogo tra le generazioni, contro il distanziamento, lo scarto tra anziani e giovani, che richiede di parlare di più, vivendo da vecchi i sogni, anzi tornando a sognare per aiutare i giovani a farlo, perché il loro futuro sia davvero il presente e dargli le possibilità e la fiducia per viverlo. La seconda via è l’educazione, indispensabile per la libertà, la responsabilità e lo sviluppo, per non vivere come bruti. Essa richiede tutto il villaggio e quindi non è solo nelle università o nelle scuole ma responsabilità di tutti! Purtroppo diminuisce, ricorda scandalizzato il Papa, l’investimento per la scuola mentre aumenta quello per le armi! Possiamo accettarlo? E non dimentichiamo che nella pandemia l’istruzione a distanza “ha in molti casi generato una regressione nell’apprendimento e nei percorsi scolastici”. Restano indietro i più fragili e non vogliamo che nessuno si perda. Infine la terza via della pace è il lavoro, perché il lavoro è via di sviluppo dell’uomo. La pandemia ha causato la perdita di tanto lavoro e ha accentuato la vulnerabilità di tanti precari. Senza welfare e senza lavoro come si può parlare di giustizia e solidarietà premesse per la pace? Come non pensare alle troppe vittime sul lavoro? Possiamo accettare il precariato che significa de facto sfruttamento?

Aiutiamo questa Madre Chiesa diventando tutti operatori di pace, come possiamo. Come? Una visita ad una persona sola, il fermarsi a parlare con uno che dorme per strada, insegnare la lingua a uno che non vuole essere e non è straniero, anche solo parlando con lui e poi con l’infinita fantasia dell’amore. Per spiegare meglio che tutti possiamo farlo nei piccoli gesti di attenzione, fedeli, verso il prossimo vorrei leggervi l’ultima lettera di un condannato a morte nelle carceri americane, scritta poco prima della sua esecuzione ad un membro della Comunità di S. Egidio che corrispondeva con lui per un legame di amore, che dona vita sempre, anche a chi aspetta la morte. «Aspetto l’esecuzione. È un periodo di grande commozione. Non potrò leggere la tua risposta. Ti racconto una storia antica. Un uomo camminava all’alba sulla spiaggia e vide da lontano un vecchio che sembrava stesse danzando: si muoveva in avanti, uno due passi, si fermava, si piegava e poi, due passi verso il mare e poi di nuovo così. Il giovane raggiunse il vecchio e vide che non stava ballando ma stava prendendo con cura le stelle marine sulla spiaggia e le rimetteva in mare.

Il giovane si fermò vicino al vecchio e gli chiese: “Perché lo fai?”. “Perché la stella marina che si è persa morirà se lasciata al sole del giorno”, rispose. “Ma la spiaggia va avanti per centinaia di chilometri e ci sono milioni di stelle marine dappertutto”, rispose il giovane scoppiando a ridere. Il vecchio contemplò la stella marina che aveva in mano si girò e la appoggiò dolcemente nell’acqua. “Per lei questo fa la differenza” rispose il vecchio. Io ti racconto questa storia perché spiega la nostra amicizia. Ci sono milioni di persone in Italia e ci sono migliaia di prigionieri negli Stati Uniti. Noi siamo le stelle marine che si sono perse. Milioni di persone non hanno influenza nella mia vita e tu mio caro amico sei sconosciuto a tutti gli altri prigionieri ma la cosa più importante, come quel vecchio, tu hai fatto la differenza per la mia vita: la tua amicizia mi ha rimesso in mare dopo che mi ero perso. Sei stato la grande differenza, sei stato molto importante per questa stella marina. Per questa qui. La mia vita è migliore perché ti ho conosciuto». Che tanti possano dire la stessa cosa di noi e che tanti di noi non abbiamo paura di essere artigiani di comunità e di pace e compiano piccoli gesti perché, come diceva don Pino Puglisi, se ognuno fa qualcosa allora si può fare molto.

Ci benedica il Signore e ci custodisca. Il Signore faccia risplendere per noi il suo volto e ci faccia grazia. Il Signore rivolga a noi il suo volto e ci conceda pace.

Bologna, cattedrale
01/01/2022
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