Messa nella Giornata del malato

Il Signore non è neutrale tra il male e il bene. Sceglie sempre e solo il bene. Non fa finta per non prendere posizione e vedere come va a finire, senza compromettersi; non rimanda, diventando così complice del male che non aspetta. Dio ama perché per lui non è la stessa cosa “salvare una vita e perderla!”. La sapienza è l’amore, quella che permette di vedere e capire ogni cosa, quella possibile a tutti, perché è dei piccoli. Dio custodisce perché vive ciò che chiede a noi: ama fino alla fine e il suo comandamento è il legame che stabilisce per primo con noi perché nessuno sia lasciato solo. Lui non ci considera mai “stupidi” o “pazzi”, non accetta che siamo nemici. Non condanna, come spesso fanno i vigliacchi e i presuntuosi, quelli che “la fanno pagare” sentendosi in diritto di farlo, dimenticando quanto è stato loro perdonato. La sapienza di Gesù non è di questo mondo, dei suoi tanti dominatori, quelli che si impongono, che violentano con le parole i giudizi, quelli che schiacciano gli altri. Questi vengono ridotti al nulla, sono troni abbattuti, mentre gli umili sono innalzati. La sua sapienza non è di questo mondo perché il mondo è deformato dal male, dal peccato che lo rovina.

Gesù porta a compimento la legge. Ci ama fino alla fine e non c’é fine per chi è amato da Gesù. La sua giustizia ha superato quella retributiva degli scribi e dei farisei perché è amore, misericordia, non condanna o punizione. Lui non si è adirato contro chi gli diceva “pazzo”, lo irrideva chiedendogli di salvare se stesso o pensava male del suo amore senza male. Non ha detto “stupido” a chi lo colpiva sulla guancia, ma lo ha vinto con il suo amore, offrendo l’altra guancia. Lui ci aspetta per riconciliarsi con noi, facendo il primo passo, come il Padre che ci butta le braccia al collo. Non fa altro che mettersi in cammino per cercare di riconciliarci con Lui mettendoci d’accordo tra di noi, e per insegnarci a fare lo stesso con i nostri tanti compagni di viaggio, pellegrini che cercano la vita come noi. Gesù non ci possiede perché ci ama, ci desidera ma ci rispetta.

La sua Parola è in eterno, perché non ha nessun linguaggio doppio e ci libera dai dubbi, dalle interpretazioni che ci legano a chi le amministra, ci fa credere in Lui e nella sua provvidenza perché ci ama e Lui si lega a noi per primo, fino alla fine. Gesù nutre la nostra fiducia perché la sua Parola diventa scelta. Ecco perché oggi ringraziamo di un amore così il Signore, che sceglie per noi il bene anche quando intorno e dentro di noi ci sono solo inimicizia e disprezzo, quando il suo amore può venire equivocato, perché sa che solo l’amore può liberare il cuore degli uomini imprigionato dalla paura, dalla diffidenza, dalla presunzione. Perché è Lui e solo Lui il pieno compimento della legge, cioè della promessa di Dio, e la gioia della nostra vita. Gioia che riesce a trasformare anche il buio in luce, la notte in alba, il tramonto nel meriggio. Ciascuno di noi sperimenta il male, il buio, la fatica, il dolore. La pandemia che ha travolto tutti rivela la vera pandemia della vita che è il limite, la malattia, la vulnerabilità.

È il tema della Giornata del malato di questo anno, che ci aiuta a sentirci gli uni responsabili degli altri. “Abbi cura di lui”. Riprende quello che il samaritano chiede all’albergatore, raccomandando ma non scaricando, come a dire “adesso ci pensi tu”. Farebbe così chi non ha attenzione verso quella persona, chi non è diventato il prossimo e non ha scoperto che è il suo prossimo. Gesù samaritano promette di tornare, torna, e possiamo dire che ci affida agli altri, a questo albergo che è la Chiesa, dove tornerà e metterà sempre Lui quello che manca. Promette di pagare Lui il conto! L’albergo è anche l’Unitalsi, i Volontari della Sofferenza, i tanti e le tante comunità che si prendono cura del prossimo e ai quali Gesù samaritano offre il suo amore completo, anche qui fino alla fine, cioè alla guarigione.

Siamo il prossimo e ognuno di noi può esserlo, anche nella condizione difficile. Non mette limiti: rifonda tutto, fa quello che serve, non quello che può! Tutto quello che serve, non una parte! Il suo desiderio è che il suo prossimo stia bene. Quando non è così facciamo qualcosa e magari ci sentiamo buoni e bravi, ma non risolviamo il problema. La malattia è disumana se è vissuta nell’isolamento e nell’abbandono, se non è accompagnata dalla cura e dalla compassione. E sorprende come su questo non ci sia attenzione, anzi. Ed è una grande ipocrisia. Che qualcuno mi avvicini solo per spegnere la vita oppure solo per verificare come sto ma senza aiutare è veramente un controsenso! L’esperienza che tutti abbiamo vissuto della fragilità e della malattia ci ha insegnato che siamo sulla stessa barca e che insieme possiamo uscirne.

Quello che dobbiamo sconfiggere è la solitudine, anche questa frutto di una cultura che abbandona nelle difficoltà. È quella cultura di morte. Quando una malattia non la posso sopportare, quando rimango solo, quando perdo la speranza, quando vengono a mancare le cure palliative, quando non sopporto di veder soffrire una persona cara… la via d’uscita può consistere nell’eutanasia o nel “suicidio assistito”. Gesù samaritano a noi che vogliamo seguirlo e che sperimentiamo il suo amore fa sentire la cultura della vita, fa condividere le immancabili stagioni difficili della sofferenza o della malattia devastante.

Di fronte a questa, con la sofferenza di una madre, non di una maestra, ci domandiamo se è rispettoso della libertà di chi sceglie, spesso sfinito dalla carenza di cure e relazioni. Ricordiamoci sempre che Dio non ci lascia mai soli e si fa vicino. E noi facciamo lo stesso. Se ci prendiamo cura eliminiamo l’atrocità della solitudine e possiamo anche eliminare quella, davvero insopportabile, del dolore fisico. Le cure palliative – è incredibile come possiamo accettare che non siano ancora diffuse come si richiede – sono un diritto che, questo sì, restituisce piena dignità e offre una risposta.

Per la fragilità non c’è spazio, dice Papa Francesco. È così vero che qualche volta chi è fragile si sente in colpa di questa sua condizione, che diventa una vergogna da nascondere. Abbi cura di lui. Io mi prendo cura di te. Prendiamoci cura di chi è malato. Solo per amore, come il Samaritano. Solo per quello, ma senza supponenza, solo perché è il mio prossimo. Lourdes è una profezia, una lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità. Non vale solo ciò che funziona e non conta solo chi produce. Le persone malate sono al centro del popolo di Dio, che avanza insieme a loro come profezia di un’umanità in cui ciascuno è prezioso e nessuno è mai da scartare, perché anche quando per molti non conta è tanto importante per noi e per Gesù.

Maria, Madre nostra, salute degli infermi, prega per noi e insegnaci a prenderci cura gli uni degli altri.

Bologna, San Paolo Maggiore
12/02/2023
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