Messa nell’anniversario della strage dei carabinieri al Pilastro

Ricordare ci aiuta a vivere con maggior consapevolezza il presente e scegliere il futuro, perché certe emersioni del male non accadano più. Di fronte all’epifania del male, come la strage qui al Pilastro, dobbiamo scegliere ciò che permette di contrastarlo e vincerlo, di prevenirlo, di evitare che continui a seminare dolore e morte. C’è bisogno di tutti e per questo è importante che oggi siamo in tanti, e che le istituzioni, che ci rappresentano, siano tutte presenti. Il male a volte stordisce talmente tanto da non far lavorare insieme, così come si può, e anche ti porta a dire: “ma chi me lo fa fare, perché devo dare la vita per gli altri?”. E così si resta isolati. L’unico modo per combattere il male è stare insieme. In questi giorni di Natale, Epifania di Dio che rivela se stesso nella fragilità della nostra vita – mistero che ne spiega il mistero e che riveste la nostra vita così esposta alla morte di un valore infinito che solo l’Amore può darle – siamo aiutati a capire chi siamo: pellegrini di speranza, che la cercano, che non possono vivere senza. Non a caso nella sapienza popolare è l’ultima a morire. Se non ne abbiamo più dobbiamo dire che siamo sonnambuli! La speranza non evita i problemi e non è possibile che vi sia solo quando tutto va bene! La speranza crede nell’amore quando c’è la solitudine e la divisione, nella giustizia quando ci scontriamo con il male e il bene sembra inutile, nella luce quando siamo nel buio che scende nel cuore e diventa tristezza e rassegnazione. Ci ritroviamo questa mattina a ricordare – perché dimenticare è sempre complice del male e toglie valore alle nostre persone, così come ricordare lo restituisce lo conserva – una violenza terribile, inquietante, impietosa e ad interrogarci proprio sulla speranza.

La prima speranza che cerchiamo è quella sulla vita dopo la vita, quando tutto è interrotto, come in quella terribile realtà che apparve ai soccorritori il 4 gennaio. È una fine che non smettiamo di misurare, perché la morte è incredibile, soprattutto a vent’anni. Ne sono passati molti di più e ci confrontiamo con l’assenza, atroce, e con ciò che questa procura. La vita non si trova più, anche se la conserviamo in noi. Ma questo non basta, perché non basta che qualcuno viva nel ricordo, perché poi anche questo finisce, perché ci scalda ma anche riapre la ferita della distanza. Quale speranza allora? È questa la domanda che i discepoli avevano nel cuore cercando dove abitava. “Venite e vedrete” è la sua risposta. Non si conosce Gesù da lontano. Occorre camminare con Lui. E Lui è interessato a quello che abbiamo nel cuore. Non siamo mai per Lui esecutori che non debbono pensare ma obbedire. Che cercate? Cosa avete nel cuore? Cosa desideriamo, cosa ci agita? Così farà anche da Risorto con la Maddalena: “Donna, chi cerchi?” (Gv 20,15). Vuole che la Sua risposta sia proprio a quello che cerchiamo noi.

Oggi rispondiamo che cerchiamo la vita più forte del male. Siamo pellegrini di speranza, anche nel senso che per trovarla dobbiamo camminare. Noi spesso pensiamo il contrario, cioè prima vogliamo la sicurezza e poi ci mettiamo in movimento. Non è così! Abbiamo bisogno di speranza e la cerchiamo. A volte lo facciamo nei luoghi sbagliati. Quando la cerchiamo con Gesù, cioè andiamo dietro a lui, stando con Lui impariamo a vederla, a riconoscerla e a capire che la vita che non finisce inizia qui e rende eterna e bella la nostra fragilità. Il suo invito sarà sempre uno: seguimi. Significa anche che Lui è vicino, non lontano e che possiamo stare dietro a Lui, non ci lascia indietro, ci guida nella confusione e nell’incertezza a volte desolante e terribile della vita. Ed è la risposta che apre la via del cielo.

Ecco la speranza, che Gesù è venuto ad accendere nel mondo: sono venuto per prepararvi un posto in cielo, nella casa del Padre. E ci insegna a preparalo qui sulla terra, a vivere amando, perché questa è la strada del cielo. Perché la speranza della vita che non finisce si misura con quella che finisce ed entra in questa, e i riflessi dell’infinito e dell’eterno li vediamo nella nostra vita ordinaria, finita. Cerchiamo giustizia, anche perché vediamo la banalità terribile del male irriderla. Chi non pratica la giustizia non è da Dio e neppure lo è chi non ama il suo fratello. L’apostolo mette l’amore sullo stesso piano della giustizia, perché chiede che la nostra giustizia superi quella degli scribi, dei farisei, quella dell’occhio per occhio, tanto che Gesù chiede a tutti i suoi discepoli di amare i nemici, di combattere il male con il bene. Chi fa così cerca con ancor più convinzione e libertà la giustizia e la chiede proprio perché libero dalla vendetta, che inquina e incattivisce, che toglie lucidità e retta intenzione.

Ci troviamo a ricordare l’emersione di una trama di male, efferata, vigliacca perché utilizzava l’impunità di una divisa che hanno infangato e umiliato. Proviamo sgomento e orrore, soprattutto pensando che si possono colpire proprio tre difensori della giustizia per tutti. Il Presidente Cossiga disse, alla celebrazione del loro funerale, che vale sempre la pena difendere il bene comune.  Otello Stefanini, capo pattuglia effettivo alla Stazione Carabinieri Bologna Mazzini e i membri dell’equipaggio, Andrea Moneta e Mauro Mitilini, della Stazione Carabinieri Bologna Porta Lame, vennero colpiti e con loro vogliamo ricordare le 24 persone uccise dagli assassini della “Uno Bianca” e i 114 feriti.

Sette anni di terrore, di volenza, di assalti razzisti, di uccisioni compiute da persone lucidamente feroci e razionali. In precedenza avevano sparato anche a dei lavavetri di origine marocchina, come avevano ucciso senza motivo due operai senegalesi a San Mauro, tanti testimoni delle loro rapine e assassinii gratuiti come quello del direttore della Cassa di Risparmio di Pesaro, Ubaldo Paci. Ecco perché devono accettare la punizione, senza sconti, ma senza accanimenti, come vera e propria espiazione non solo davanti agli uomini ma anche davanti a Dio, e questo è il fine della pena, la rieducazione. Giustizia è pure la verità sui tanti punti oscuri che la verità giudiziaria non è ancora riuscita a risolvere.

Questo amareggia e sappiamo come solo la giustizia può riparare al male che infetta il delicato corpo del tessuto sociale.  Il loro testamento è il rispetto della vita sempre e in tutti, della dignità di ogni persona, dei suoi diritti. Questo è l’amore per la casa comune, che è la nostra Patria, in realtà si chiama, poi, casa comune. È una lezione di patriottismo il servizio alla sicurezza, di chi lavora con professionalità e coscienza, perché questa rimane una preoccupazione dei cittadini, e massimo sostegno deve essere assicurato alle vittime dei reati. Ecco cosa cerchiamo.

Il Signore è la nostra speranza, perché continua a insegnarci a dare la vita, a non scappare dal male salvando se stessi, a trovare la vita proteggendo quella del prossimo, che diventa anche la mia. E questi frutti non finiscono. La nostra speranza è Gesù che nasce sulla terra per aprirci le porte della casa del cielo. Così sia.

Bologna, chiesa di Santa Caterina al Pilastro
04/01/2025
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