“È venuta la pienezza del tempo” (Gl 4,4), tanto che lo calcoliamo proprio a partire dalla sua nascita, dal suo Natale, da quel sole che è sorto dall’alto grazie alla tenerezza e alla misericordia del nostro Dio, “per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace” (Lc 1,79). E quanto ne abbiamo bisogno! Vediamo la pienezza del tempo nella confusione del tempo, nell’ incertezza di un mondo che sembra sordo alle richieste più elementari delle persone. È un mondo che perde il buon senso e la memoria, la consapevolezza che la guerra e le guerre sono sempre distruttive per tutti e non fanno altro che riempire pericolosamente gli arsenali e svuotare i granai, tanto che una delle conseguenze immediate è la fame. Non dobbiamo mettere da parte le convinzioni personali o nazionali ma la pretesa di imporre le regole con la forza, sapendo che per vivere insieme nell’unica casa comune occorrono il dialogo, il confronto, i diritti e i doveri di tutti, la partecipazione di ognuno e il rispetto di ogni persona, sempre e per tutti. Solo così la casa può essere casa: o è per tutti o si distrugge! Caino fugge via dopo aver ucciso Abele, è drammaticamente e disperatamente solo, prigioniero della sua scellerata scelta di non dominare l’istinto finendone dominato.
Ecco perché ci stringiamo a Maria, Madre di Dio, Madre nostra e della Chiesa. Siamo figli e ognuno lo è in maniera originale, unica, irripetibile. La fede è sempre un atto libero, intimo e personale, che è nel profondo dell’anima umana, ma non diventiamo cristiani da soli e non viviamo come isole. Il cristiano è un individuo, ma non un individualista: è un fratello, una sorella! Essere figli ci fa uscire dal nostro «io» chiuso in se stesso e ci apre all’amore di un Padre e della comunità. “Non posso costruire la mia fede personale in un dialogo privato con Gesù perché la nostra fede è veramente personale solo se è anche comunitaria: può essere la mia fede solo se vive e si muove nel «noi» della Chiesa, solo se è la nostra fede, la comune fede dell’unica Chiesa” disse Papa Benedetto. “Nessuno può dire di avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa come Madre” diceva San Cipriano. Se non l’abbiamo Dio diventa uno specchio, un’entità informe e senza amore. La nostra, affidataci da Gesù, che possiamo adottare, fare nostra, è perché siamo affidati a Lei, che è Madre di un popolo grande, universale, «cattolico». È un popolo che parla la lingua compresa da tutti, il dialetto dello Spirito che rende familiare tutti e così tutti sono resi famiglia. Il nostro è un popolo aperto ed accogliente per tutti, perché chiunque è prossimo e siamo senza confini. Il mondo, al contrario, enfatizza le differenze e le contrappone, le classifica, le compara invece di unirle. “In un mondo in cui l’individualismo sembra regolare i rapporti fra le persone, rendendole sempre più fragili, la fede ci chiama ad essere Popolo di Dio, ad essere Chiesa, portatori dell’amore e della comunione di Dio per tutto il genere umano” (Udienza 6.XII.2012). Siamo adottati, eredi, solo per grazia di Dio. Ho ascoltato la considerazione che ricorda come nessuno di noi ha scelto di nascere, mentre Gesù lo ha fatto. Dio ci adotta e nasciamo come figli ma aprendo noi il cuore, consapevolmente, per grazia ma con la nostra decisione. Aiutiamo questa Madre e non indeboliamola mai, per nessuna ragione e verità, perché è nostra Madre e Lei genera la verità che è Cristo! Cambiamo il nostro cuore per aiutarla, per non umiliarla, affidandoci alla misericordia di Dio. “I miei peccati, in confronto al tuo amore, svaniscono come un nulla” cantava Isacco di Ninive.
Abbiamo iniziato solennemente il Giubileo, anno di grazia che, secondo la tradizione biblica, è un anno in cui vengono liberati i prigionieri, cancellati i debiti, in cui ci riconciliamo con il Signore e con noi stessi, con il nostro prossimo. Sia un nuovo inizio anche per nostra madre Chiesa e per le nostre comunità, perché sappiamo generare il Signore della pace, farlo conoscere cioè incontrare, vivere, in tanti modi e sempre in un rapporto affettivo perché l’adozione non è un’appartenenza anonima, ma vivere l’essere amati doppiamente, essere suoi non per diritto, o perché posseduti o costretti.
Il primo frutto della speranza deve essere pace per il mondo perché “immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta ad una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza”. “Com’è possibile che il loro grido disperato di aiuto non spinga i responsabili delle nazioni a voler porre fine ai troppi conflitti regionali, consapevoli delle conseguenze che ne possono derivare a livello mondiale? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?”. Il Giubileo ricordi che quanti si fanno “operatori di pace saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di vivere scelte personali. Maria, Madre, ci fa “ritrovare il cuore che la guerra fa perdere” (DN 22). La pace dipende certo da chi ha in mano le sorti del mondo, della diplomazia che “con coraggio e creatività deve cercare spazi di trattativa finalizzati ad una pace duratura”, ma è anche affidata ad ognuno di noi. Siamo artigiani di pace e possiamo disarmare completamente il cuore, la mente, le mani e aiutare altri a farlo.
Oggi è la Giornata Mondiale della Pace voluta da papa Paolo VI nel 1968. Perché la volle? Perché si preoccupava di promuovere la pace, cercandola, non dandola mai per scontata. Capiva che la pace è sempre, al tempo stesso, necessaria e minacciata, non è mai proprietà di qualcuno perché la pace è di tutti, dell’intero “concerto della moderna umanità”. Lo preoccupava la sopravvivenza degli egoismi nei rapporti tra le nazioni; il pericolo delle violenze, a cui alcune popolazioni possono lasciarsi trascinare per la disperazione nel non vedere riconosciuto e rispettato il loro diritto alla vita e alla dignità umana; il pericolo tremendamente cresciuto del ricorso ai terribili armamenti sterminatori di cui alcune potenze dispongono, impiegandovi enormi mezzi finanziari, il cui dispendio è motivo di penosa riflessione di fronte alle gravi necessità che angustiano lo sviluppo di tanti altri popoli; il pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, sulla giustizia e l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali. Voleva anche sostenere gli Organismi internazionali, istituiti a questo scopo, perché siano “dotati di autorità e di mezzi, idonei alla loro grande missione”. Oggi queste stesse ragioni sono molto più gravi e cogenti! Chiarì che “pace non è pacifismo, non nasconde una concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti ed universali valori della vita: la verità, la giustizia, la libertà, l’amore”. La visione era chiara: “guidare la nave della civiltà, attraverso le inevitabili tempeste della storia, al porto delle sue più alte mete”. Papa Paolo VI aveva una consapevolezza: “la pace era minacciata da avvenimenti che possono essere catastrofici per nazioni intere e forse anche per gran parte dell’umanità”. Egli non voleva che ci fosse rimproverato da Dio e dalla storia “di aver taciuto davanti al pericolo d’una nuova conflagrazione fra i popoli, la quale, come ognuno sa, potrebbe assumere forme improvvise apocalittiche e terribili”. E noi che dovremmo fare, noi che la guerra la stiamo vivendo da anni tanto che rischiamo di abituarci? La speranza ha un prezzo e volentieri lo paghiamo, perché non si vive senza speranza e non c’è futuro senza la pace.
“Rimetti a noi i nostri debiti, concedici la tua pace”, è il tema della Giornata della Pace di questo anno, rivolto “ad ogni donna e uomo, in particolare a chi si sente prostrato dalla propria condizione esistenziale, condannato dai propri errori, schiacciato dal giudizio altrui e non riesce a scorgere più alcuna prospettiva per la propria vita”. La pace è speranza per tutti e il Giubileo è una vera ripartenza, possibile per tutti. Siamo tutti responsabili della devastazione a cui è sottoposta la nostra casa comune, “a partire da quelle azioni che, anche solo indirettamente, alimentano i conflitti che stanno flagellando l’umanità”. Papa Francesco suggerisce il condono del debito, l’eliminazione della pena di morte in tutte le Nazioni, un Fondo mondiale che elimini definitivamente la fame, faciliti nei Paesi più poveri attività educative e volte a promuovere lo sviluppo sostenibile, contrastando il cambiamento climatico. Facciamo crescere la pace, partendo da noi. Cerchiamo un cuore disarmato, che “non si impunta a calcolare ciò che è mio e ciò che è tuo; un cuore che scioglie l’egoismo nella prontezza ad andare incontro agli altri; un cuore che non esita a riconoscersi debitore nei confronti di Dio e per questo è pronto a rimettere i debiti che opprimono il prossimo; un cuore che supera lo sconforto per il futuro con la speranza che ogni persona è una risorsa per questo mondo”. Perdonare e chiedere perdono. Un cuore disarmato è capace di “un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito” perché “con questi piccoli-grandi gesti, ci avviciniamo alla meta della pace e vi arriveremo più in fretta, quanto più, lungo il cammino accanto ai fratelli e sorelle ritrovati, ci scopriremo già cambiati rispetto a come eravamo partiti. Infatti, la pace non giunge solo con la fine della guerra, ma con l’inizio di un nuovo mondo, un mondo in cui ci scopriamo diversi, più uniti e più fratelli rispetto a quanto avremmo immaginato”. Ecco il Giubileo e la sua forza di preparare la pace.
Ci benedica il Signore e ci custodisca. Il Signore faccia risplendere per noi il Suo volto e ci faccia grazia. Il Signore rivolga a te e a noi il Suo volto e ci conceda pace.