Messa per i cappellani e operatori delle carceri italiane

Davvero Gesù non si stanca. Perché? Non si dà pace perché la sua pace è trovare l’amato e non smette di farlo finché non lo ha raggiunto. Non svolge un volontariato: ama. Per lui niente è perduto. L’amore non perde nulla! È l’esatto contrario di “fare marcire” in carcere o ovunque. Gesù, piuttosto, vuole far rifiorire, rigenerare, conservare. Non solo non “butta la chiave” ma non si abitua mai alle condizioni di sofferenza. Le peggiori sono quelle che diventano un sistema, tale che lo accettiamo senza accorgercene, o che fanno credere di essere immodificabili. Gesù non smette di riconoscerle e di chiederci di cambiarle, perché non cura solo gli effetti: combatte le cause del dolore!

L’amore apre le prigioni alla speranza, tutte, quelle definite tali e le tante che chiudono la vita e la condannano al non amore. San Francesco, che portava Gesù in sé (FF 1289), venne a sapere di un povero che non aveva di che pagare il debito e che era stato gettato in prigione dietro richiesta del cavaliere. Questi implorava umilmente pietà e chiedeva una dilazione proprio per amore del beato Francesco. I discepoli di Gesù, infatti, diventano sempre motivo di speranza per i poveri, gli avvocati cui ricorrono, i santi in paradiso qui sulla terra per ottenere giustizia. Il cavaliere, superbo, sprezzò quella richiesta e anzi lo mise in una prigione ancora più dura dove, secondo lui, Francesco non sarebbe mai arrivato e non avrebbe potuto aiutarlo. Francesco, invece, infranse le porte della prigione, spezzò le catene e ricondusse l’uomo a casa sua! Egli cambiò anche l’animo del protervo cavaliere tanto che divenne mitissimo. Ecco l’amore instancabile di Gesù e dei suoi discepoli, amore che non si arrende, che spezza le catene e riesce anche a cambiare chi condanna e punisce senza amore. Quanti “cavalieri” condannano con il pregiudizio e l’ignoranza, scambiando l’amore per accondiscendenza, complicità o ingenuità!

Il vostro servizio può fare cambiare le condizioni oggettivamente di sofferenza di tanti ma anche un mondo che condanna senz’appello. Voi siete il fuori che entra dentro, ma anche il dentro, sconosciuto e volutamente ignorato, che esce e aiuta il fuori ad essere consapevole, meno violento, indifferente, aggressivo. L’amore non ottunde ma fa vedere i problemi! Sono, invece, la paura, l’indifferenza, il “salva te stesso” che costruiscono un mondo pericoloso, rendendo il carcere un pianeta sconosciuto ed isolato e il mondo non più sicuro, solo più violento. L’unico realismo è praticare dentro e fuori la stessa intelligenza dell’amore, cercare una cultura umana che da questo deve scaturire, una conoscenza dei problemi reale e quindi il fastidio per gli slogan e per le liti da cosiddetto salotto. Altrimenti chi è perduto resta perduto e il mondo si affanna a dimostrare che è solo colpa sua! E se non si cerca chi è perduto c’è meno sicurezza per tutti.

L’amore è sempre il vero realismo! Per questo vogliamo essere cercatori innamorati di ciò che è perduto (il fratello lo amiamo com’è non come vorremmo fosse o immaginiamo sia), specie dei più soli e sofferenti, come gli stranieri, i minori, le donne. Se non cerchiamo chi è perduto semplicemente perdiamo Gesù, oltre che l’umanità! “Non vi conosco”, “Ero carcerato e non siete venuti a trovarmi”, è la chiarezza evangelica. Ovviamente non c’è scritto se il carcerato meritava, se aveva chiesto la visita, se aveva presentato la domandina, se strillava o era in silenzio, se se l’era cercata o se era innocente: “ero carcerato”.

Con intelligenza dobbiamo sfruttare la visita e tutti gli spazi possibili e farlo con creatività, insieme, abbattendo le mura che isolano e aprendo le celle del cuore spesso chiuse dall’interno, difficili da aprire se non con tanta pazienza e tanta insistenza, con quella psicologia più grande di tutte, con quella stabilizzazione, che nessuno psichiatra riesce a garantire, che è la sensibilità di una madre e di un padre. Ecco cosa ci chiede Gesù per i suoi e i nostri fratelli più piccoli: mettiamo i nostri occhi nei loro occhi e il nostro cuore vicino al loro cuore, come disse Giovanni XXIII.

L’amore di Gesù con voi diventa legame di amicizia e per questo esigente, instancabile, che si abbatte per le difficoltà ma non si arrende, che supera tutte le sbarre e aiuta a sentire la vera libertà. Il cristiano non scappa davanti al male. Non butteremo mai via quelle chiavi, anche se scottano, perché abbiamo scoperto che sono le stesse della nostra casa e che aprono anche le porte dei nostri cuori.

Il carcere ci porta nel mondo e ci aiuta a comprendere la sofferenza, ma anche a compiere dei miracoli come le tante iniziative di solidarietà dal carcere, come le collette tra i detenuti per l’Ucraina, per bambini malati. È il dentro che migliora il fuori, mostrando l’obolo della povera vedova, nel quale scopriamo la bellezza che è nascosta in ognuno, la tenerezza che dimostra come nessuno è mai il suo peccato, la sua condanna, che Gesù ci porta il fine pena, l’innocenza restituita, la fedina pulita. E il vostro servizio permette di compiere i prodigi della prima Pentecoste, tante guarigioni del cuore che liberano dagli spiriti immondi.

La giustizia ripara, non solo certifica le difficoltà ma ricompone quello che il male ha rotto. La giustizia è sempre riparativa se è giustizia e ripara quello che il male rompe, dentro e fuori. Cercare chi è perduto significa aiutare a trovare una casa ed essere noi casa, perché non si perda. Senza speranza ci si perde. Non chiede anche di garantire lavoro sia in carcere sia quando si esce?

La nostra presenza è l’eucarestia del Signore, spezzare quel pane che è la sua presenza, che attraverso il nostro amore tutti comprendono, anche senza conoscere Gesù, ma assaporando il suo amore attraverso il nostro. Spesso ci si domanda qual è la volontà di Dio. La domanda in realtà la rivolge Dio all’uomo: dove sei? E poi la domanda di Dio a Caino: dove sta tuo fratello? Le prime grandi domande di Dio. E sono unite tra loro: noi siamo se siamo vicini a nostro fratello!

Con Gesù non dobbiamo più interrogarci su dove sta Dio: è in carcere! E con Gesù facciamo conoscere Dio perché è suo l’amore che ci porta lì! La volontà di Dio è non perdere nulla, ma sia risuscitato nell’ultimo giorno. E quando la vita risuscita nei cuori dei prigionieri è luce di risurrezione. Non siamo collezionatori di rifiuti! Nessuno è un rifiuto e se lo è accade perché non lo amiamo! E se ci sono dei rifiuti il rischio è per tutti di diventarlo. Non vogliamo perdere nessuno condannandolo alla solitudine, a situazioni di troppo dolore tanto che diventano insostenibili, lasciarlo isolato nella disperazione che fa sentire perduti, quando la porta della cella del cuore non si apre dall’interno.

Troppi suicidi in carcere ci feriscono e ci invitano a cercare tutti perché nessuno si senta perduto! Ricucire dentro e fuori, ricucire il dentro, sperare contro ogni speranza, con il filo di tanto amore. Siete voi le finestre da dove si vede il cielo: che sia azzurro, chiaro, perché ci sia sempre futuro nel buio. Che attraverso di noi sappiano per chi vale la pena vivere e incontrino qualcuno che dia loro la voglia di essere migliori. Il primo, che non smette mai di farlo e di dare fiducia è Gesù.

Studiamo anche tante misure alternative perché i molti che possono trovare presto futuro non siano condannati ad aspettare. Liberiamo dalla sottile mormorazione, non facile da scoprire, che “perfora i sogni” perché ripete come un sussurro continuo: “Non ce la farai, non ce la farai”. Gesù non crede mai che è tutto finito.

Concludo con le parole scritte per la Via Crucis dai detenuti di Bologna. “La disperazione depone un corpo morto nel sepolcro per metterci una pietra sopra e provare a smettere di soffrire smettendo di aspettarsi qualcosa. La speranza depone nel sepolcro come l’agricoltore depone il seme nella terra, attendendo la primavera. Smettere di attendere qualcuno, di attendere qualcosa, di attendersi qualcosa da qualcuno, è il freddo di una tomba. Aspettare qualcuno, aspettare qualcosa, aspettarsi nonostante tutto qualcosa da qualcuno è il mattino del giardino della risurrezione. Sentiamo su di noi lo sguardo di Maria che osserva, in attesa, dove viene deposto il corpo del suo Figlio Gesù. Il suo sguardo non abbandona i suoi figli consegnati alla pena, nostra o altrui, meritata o non meritata, in attesa di vederci fiorire in creature nuove fino al giorno in cui sarà pienezza di vita nella risurrezione”. Nessuno è perduto.

Assisi, basilica di Santa Maria degli Angeli
04/05/2022
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